25 novembre 2015

AREE EXPO. UN ERRORE E DUE QUESTIONI


In attesa di avere qualche risposta alla Lettera aperta che ArcipelagoMilano ha inviato ai decisori del futuro di Expo, riprendo tre questioni poste da diversi interventi dopo l’invio della lettera.

Ancora spesa pubblica? – Il Governo ha deciso di intervenire sul dopo Expo con uno stanziamento di 1,5 miliardi in dieci anni. Marco Ponti si chiede se sia giusto spendere altri denari pubblici (tratti dalle “tasche” dei cittadini) per il dopo Expo. Sull’operazione Expo il “patto implicito” con i cittadini, dice Ponti, era che l’operazione, almeno per il costo delle aree pagate dagli enti pubblici (non per le infrastrutture di contorno) venisse pareggiato dalla successiva vendita e che le aree già di proprietà di Milano e Rho fossero valorizzate. Il patto non si può rispettare perché era fondato su un’ipotesi di valorizzazione immobiliare errata: la gara per la vendita delle aree infatti è andata deserta.

09targetti41FBIn realtà il “patto” era viziato fin dall’origine e già molti ne hanno scritto. Riassumo l’esito: i proprietari privati sono usciti dall’operazione e hanno tratto beneficio dal cambio di destinazione d’uso delle aree deciso prima dell’acquisto da parte degli enti pubblici. Il pubblico, Regione e comuni di Milano e di Rho, sono rimasti con il cerino in mano: hanno pagato come edificabili aree che ora non riescono più a vendere.

Ciò che non va fatto ora è di consentire anche alla Fondazione Fiera Milano (privata) di portare a buon fine la speculazione edilizia con altro denaro pubblico, questa volta dello Stato. Ovvero far comprare dallo Stato come edificabili aree che erano agricole il cui maggior valore attuale rispetto al valore agricolo è dovuto solo all’investimento pubblico in infrastrutture. Il Governo dunque (o la Cassa DDPP che è lo stesso) non deve comprare le aree, ovvero la quota di azioni di Arexpo di proprietà della Fondazione Fiera Milano.

Se invece la nuova spesa pubblica dello Stato porterà concretamente innovazione e crescita, anche se è in deficit, va bene. È bene per il bilancio pubblico e quindi per le “nostre tasche” che lo Stato faccia investimenti di lungo termine per l’innovazione e la crescita, ciò che i privati non fanno e che non è compito dei comuni fare (della Regione forse si).

Allora la questione principale per il dopo Expo non è se l’assetto urbanistico lo devono decidere gli enti locali o lo Stato (vedi più avanti). La questione è che tipo di investimenti farà lo Stato in termini di innovazione e crescita (di buona occupazione) e chi ne controllerà l’esito. Lo Stato non deve comprare aree ma investire in impianti e attrezzature per la ricerca, sostenere i rapporti tra ricerca e imprese, attrarre e pagare i “cervelli” ecc. e magari far valutare gli esiti dell’investimento nei prossimi anni, in termini di invenzioni, brevetti, nuove imprese, posti di lavoro qualificati, ecc. da parte di organismi autonomi, di estrazione europea. A proposito chi si occuperà di sostenere il Dopo Expo come progetto europeo, era una delle domande della lettera aperta.

Lo Stato potrebbe intervenire anche per agevolare l’operazione Dopo Expo sotto il profilo industriale (produzione di beni ovvero edifici e impianti) e non immobiliare (valorizzazione delle aree); potrebbe prevedere agevolazioni fiscali per esempio estendendo le detrazioni fiscali fin’ora limitate alla ristrutturazione di edifici esistenti residenziali, alla ristrutturazione urbanistica e ad altre destinazioni d’uso. Anche in questo caso la riduzione delle entrate fiscali sarà nel tempo compensata dalle entrate garantite dalla crescita.

Chi deve decidere l’assetto urbanistico – Non i proprietari delle aree (Arexpo), ma le amministrazioni pubbliche locali che hanno il compito del governo del territorio.

La Città metropolitana – Come da molti e più volte affermato la Città metropolitana sarebbe l’istituzione naturalmente preposta a decidere circa il ruolo del Dopo Expo nell’assetto territoriale metropolitano. Ma di fatto l’istituzione, per ora, sulle questioni rilevanti come il Dopo Expo sembra non esserci (a che punto è il Piano strategico ?). Comunque la Città Metropolitana, come l’ha concepita la riforma Del Rio è politicamente debole e finanziariamente asfittica.

I comuni di Milano e di Rho – Dunque sono i Comuni di Milano e di Rho che devono aprire il confronto con i possibili utilizzatori del Polo Expo, come le Università e perché no i centri di ricerca indicati dal Governo, e quanti altri hanno espresso interesse in questi mesi, decidere le funzioni da inserire nel nuovo Polo (anche private) e definire l’assetto urbanistico dell’area. D’altra parte il trasferimento dell’Università e di grandi uffici pubblici dalla città alle aree Expo coinvolge direttamente l’assetto urbanistico di parti importanti di Milano. La questione è stata già affrontata da molti su ArcipelagoMilano e, come sostiene tra gli altri Sergio Brenna,  sarebbe bene che il futuro delle aree Expo venisse impostato insieme al destino delle altre grandi aree da riusare (scali, caserme, ecc) in un’ottica d’area metropolitana.

D’altra parte il sindaco di Milano è pur sempre anche sindaco della Città Metropolitana. Cosa dice il Consiglio comunale? Temi della prossima campagna elettorale del capoluogo metropolitano.

La Regione – Nella questione Dopo Expo la Regione  ha diritto a un ruolo centrale, non perché è comproprietaria delle aree, ma per i poteri che deve esercitare come istituzione. Sotto il profilo del governo del territorio il Dopo Expo andrebbe inserita in un’operazione di “rigenerazione del territorio” di scala ampia. L’asse del Sempione (fino a Busto e Gallarate) costituisce, dopo l’area di Milano e dei comuni di prima cintura, la maggior concentrazione di aree dismesse della Lombardia. La Regione potrebbe usare gli strumenti istituzionali, per esempio un Piano territoriale d’area regionale per la rigenerazione territoriale, per inserire PostExpo nella giusta ottica metropolitana. La regione ha un ruolo anche sotto il profilo del sostegno allo sviluppo e ha gli strumenti e le risorse per sostenere l’operazione Dopo Expo, per esempio con le agevolazioni previste con la legge 11 del 2014 per il sostegno alle imprese e per il recupero delle aree dismesse. Il Consiglio regionale, non Arexpo, dovrebbe stabilire gli indirizzi dell’azione regionale per Dopo Expo.

Lo Stato – Lo Stato potrebbe istituire un’Agenzia sul modello francese per le operazioni di rilievo nazionale in ambito metropolitano che assuma i poteri dei ministeri e delle agenzie statali interessate (Ministero della Difesa, dei Trasporti, dello Sviluppo, Ferrovie, Finanza, Dogane, ecc.) per decidere con la Regione e la Città metropolitana, gli assetti urbanistici e le condizioni attuative di operazioni che da decenni stentano a partire, come il riuso degli scali ferroviari, delle dogane, delle caserme. La questione PostExpo potrebbe essere così affrontata nell’ottica metropolitana da molti auspicata. Ma presuppone una vera riforma dello Stato che scardini gli assetti dei poteri della burocrazia romana.

Più praticamente se lo Stato diventa partner dell’operazione Dopo Expo è giusto che venga coinvolto nelle decisioni sull’assetto urbanistico ed edilizio che deve garantire l’efficienza dell’investimento. Naturalmente non significa sostituire Arexpo con Cassa DDPP. Una forma dell’Accordo di programma Stato, Regione e Comuni, che garantisca con chiarezza i ruoli potrebbe funzionare.

Chi gestirà l’operazione – Arexpo come società privata ha l’obbligo di fare profitti e dunque di valorizzare il suo patrimonio immobiliare; non ha il compito di realizzare operazioni di interesse pubblico. Marco Vitale sostiene che la forma migliore per gestire l’operazione “Polo per la ricerca” sarebbe una Fondazione finalizzata all’obbiettivo di interesse pubblico, con poteri decisionali di tipo commissariale anche in campo urbanistico (se ho capito bene).

Non so quale sia le forma giuridica migliore per il futuro gestore del Dopo Expo, ma bisogna capire quale deve essere la missione. La missione del futuro ente di gestione non sarò decidere le funzioni e l’assetto urbanistico delle aree che è compito degli enti locali, ma prendere in carico l’operazione decisa dalle istituzioni pubbliche  e organizzarne la gestione; una gestione che sarà complessa e di lunga durata, dovrà garantirne l’equilibrio economico senza nuova spesa pubblica.

L’ente di gestione non dovrà avere l’obbiettivo centrale della valorizzazione speculativa delle aree ma potrà venderne una parte per funzioni private, dovrà realizzare e gestire gli edifici per le funzioni di interesse pubblico in un’ottica di ammortamento degli investimenti (le banche dovrebbero trasformare il prestito per l’acquisto delle aree da breve a lungo termine; hanno le condizioni per farlo), erogare i servizi, ecc. Varrebbe la pena di andare a vedere come funziona l’ente di gestione dell’EUR. Altri si dovranno occupare di gestire la spesa pubblica per la ricerca e lo sviluppo.

 

Ugo Targetti

 

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