28 ottobre 2015

DOPO EXPO: NON INCIAMPARE SUBITO


03La nebbia sul dopo Expo si sta, a poco a poco, diradando. Il culmine della nebbia si è raggiunto quando Arexpo, società proprietaria delle aree, in collaborazione con i Comuni di Milano e di Rho, nel 2013 emanò uno pseudobando per avere proposte e manifestazioni di interesse per il dopo Expo. Quando la società indisse una discussione pubblica su un certo numero di proposte ricevute, il direttore generale di Arexpo mandò un messaggio molto chiaro. Essa disse: la prima se non l’unica cosa che ci interessa è la valorizzazione delle aree e il ricupero dell’investimento fatto (con i soldi delle banche). Fu questo il culmine della nebbia. A questa impostazione cieca e senza prospettive si contrappose la visione di coloro che vedevano nel dopo Expo l’occasione per un grande intervento urbanistico e sociale per la Città Metropolitana.

03vitale37FBRiprendo il tema con le parole che usammo allora: “Il progetto organico di sviluppo dell’intero ambito di intervento deve essere “glocal”, cioè sviluppare attività di rilievo nazionale e internazionale ma, al tempo stesso, realizzare uno stretto e nuovo legame con il territorio per dare una risposta innovativa e decisiva ai temi di riequilibrio ambientale e sociale oggi cruciali per la città di Milano e per la regione urbana di 7 milioni di abitanti che è quella che consente di definirla una metropoli. Il percorso da intraprendere è dunque la costruzione di un progetto culturale e sociale condiviso e partecipato che consenta a Milano e alla Lombardia di inaugurare per il 2015 una nuova fase del proprio sviluppo sociale ed economico.

Oggi, piano piano, ci si sta rendendo conto che l’impostazione di “valorizzazione delle aree” è, nella fattispecie, assurda, il che non vuol dire che gli aspetti economici non abbiano dignità e importanza, ma che essi debbano essere inquadrati in una visione strategica e quindi anche economica di sviluppo urbano di ampio respiro. E ciò dirada un po’ la nebbia che dominava la vicenda.

Ma la nebbia permane fitta su un tema centrale. Sino a che le aree restano in una Spa, il cui obiettivo è necessariamente di realizzarle al meglio, non sarà possibile sviluppare un piano strategico unitario. Le società commerciali devono, per loro natura, porre al primo posto l’obiettivo di realizzare al meglio i beni loro affidati. È dunque indispensabile uscire dal diritto commerciale e cioè dalla forma SpA per portare le aree in una forma giuridica diversa e più adatta. La partecipazione del Governo nella SpA, nella veste di socio, ingarbuglia ancora di più la situazione anziché migliorarla. La presenza e il supporto del Governo sono fondamentali ma le scelte urbanistiche fondamentali appartengono alla città e non al Governo.

La guida strategica dell’intero sito deve essere, a prescindere dalla proprietà ma come visione inequivocabilmente pubblica, caratterizzata non solo da una maggioranza pubblica (anche se singole articolazioni possono, in una certa misura, essere concesse a privati per la realizzazione di opere o attività particolari e per facilitare il finanziamento e la gestione). Ma non basta la guida pubblica. Occorre che tale guida strategica unitaria possa esprimersi con efficiente flessibilità e sfuggire alle note rigidità e pericoli di una gestione di diritto pubblico. Perciò essa deve, inequivocabilmente, porsi anche fuori dal diritto amministrativo pubblico.

La forma più adatta per conciliare le due esigenze (unitarietà strategica ed efficienza operativa) è quella della FONDAZIONE DI PARTECIPAZIONE dove gli enti pubblici principali vengano affiancati dalla partecipazione di altri soggetti pubblici e privati (università, imprese, altre fondazioni, banche). Le aree devono dunque essere trasferite a una fondazione perché questo è l’unico modo per evitare l’assillo della valorizzazione a breve termine e puntare a una valorizzazione a lungo termine che sicuramente si realizzerà se la visione unitaria strategica sarà corretta e se la gestione operativa sarà onesta e professionale. Pertanto le banche creditrici di Arexpo dovranno trasformare i loro crediti in quote di investimento nella fondazione, contribuendo così ad un investimento importantissimo per lo sviluppo della città. E fatto questo passaggio Arexpo dovrà essere posta in liquidazione.

Le possibilità di interventi per ora emersi sono appropriati e certamente coerenti con una visione urbanistica di sviluppo dell’area metropolitana. Mi riferisco all’ormai noto progetto di concentrare nel sito dell’Expo di importanti attività scientifiche della Statale. Noi avevamo parlato di un : Parco Urbano della Conoscenza. Mi riferisco anche alla proposta di un incubatore per start up. Noi parlavamo di: una specie di Campus dei Mestieri. Mi riferisco anche all’idea di concentrare una serie di servizi pubblici amministrativi oggi dispersi nella città. Tutte cose coerenti, compatibili e che possono essere ulteriormente arricchite. Noi avevamo raccomandato, e ribadisco la raccomandazione, che nasca anche un Centro Interdisciplinare di Ricerca per la Nutrizione del Pianeta per non lasciar disperdere le conoscenze e le relazioni preziose intrecciate su questo tema durante l’Expo.

Non va dimenticato che Milano è al centro di una delle aree agricole più produttive al mondo che vede concentrarsi nei milioni di metri quadrati di area agricola e forestale regionali le più significative filiere e tipologie produttive e un enorme varietà di paesaggi e di biodiversità animale e vegetale. Questo patrimonio pubblico può essere il punto di partenza per raccogliere e proiettare nel futuro l’eredità materiale e immateriale dell’Expo, intrecciando rapporti preziosi tra mondo dell’agricoltura e mondo della conoscenza. Il tema della nutrizione del Pianeta può e deve diventare il tema della buona salute attraverso la corretta nutrizione.

E qui possono e debbono confluire facoltà universitarie agro alimentari, organizzazioni di agricoltori, distretti specializzati di facoltà mediche e di altre facoltà, fondazioni finanziarie impegnate su temi dello sviluppo come la Cariplo e altro. Ma qui non voglio addentrarmi oltre perché voglio rimanere concentrato sul tema centrale: necessità assoluta di uscire dal diritto commerciale e muoversi nell’ambito di una struttura pubblica con chiara e unitaria visione e gestione.

Voglio solo concludere sottolineando che le singole iniziative devono essere inquadrate in un sapiente disegno urbanistico che le unisca, le raccordi con le strutture che devono restare (siano manufatti che piattaforme tecnologiche che verde) e dia loro vita e unità. Occorre quindi la mente e la mano sapiente dell’urbanista perché non si tratta di reggere nuovi padiglioni al posto di quelli smantellati ma di costruire un nuovo pezzo di città.

 

Marco Vitale

 

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