21 ottobre 2015

VALUTARE GLI IMPATTI URBANI DI UN GRANDE EVENTO


Expo è ormai quasi giunto al termine ed è il momento per cominciare a ragionare sulla sua riuscita, sulle ricadute che ha avuto sulla vita urbana e sugli impatti che lascerà in eredità alla città. E il dibattito infatti è già in corso, benché appaia schiacciato su una polemica di breve termine che non necessita di dimostrazioni: chi afferma d’emblée l’insindacabile successo di Expo come propulsore di effervescenza urbana e chi, al contrario, ne decreta l’irrilevanza in quanto manifestazione effimera senza rilevanti effetti sulla città. In verità occorre riconoscere che è ancora presto per un giudizio ponderato sulla questione. Certo, se negli anni passati ci si fosse meglio preparati a questa analisi – ad esempio predisponendo con le Università milanesi un Osservatorio che producesse dati indipendenti e autorevoli – il compito sarebbero oggi agevolato.

06memo36FBTroppo presto per un giudizio ponderato, ma non per proporre elementi utili alla valutazione. Il punto di partenza è il rapporto tra città e globalizzazione e in particolare l’imporsi di una crescente competizione urbana a livello globale. La diffusione di grandi eventi urbani di natura diversa (sportiva, culturale, religiosa, commerciale …) risponde all’obiettivo di intercettare flussi internazionali di investimenti, persone, informazioni e dati. I grandi eventi sono come dei magneti che promettono di attrarre nuove risorse materiali e immateriali per lo sviluppo urbano. Se e come queste risorse siano effettivamente intercettate, “a quale prezzo” in termini di costi ed esternalità negative e con quali effetti di medio e lungo termine (legacy) sulla società urbana, è materia che deve essere oggetto di ricerca e dibattito. Non esiste uno schema univoco e predittivo di come i grandi eventi agiscano a livello locale: dipende da come le spinte sottese alla competizione urbana sono gestite e metabolizzate dalla città.

Se questo è il quadro teorico che dobbiamo avere in mente, il passo successivo è domandarsi quali siano i campi da tenere sotto controllo nell’analisi. Schematizzando possiamo indicare tre dimensioni: a) socio-economica (che pone al centro le risorse materiali e la crescita economica nella città), b) socio-relazionale (risorse di tipo immateriale: relazionali, cognitive, culturali), c) urbanistica (impatti sull’ambiente della città e sul funzionamento del sistema territoriale). Dall’analisi di queste dimensioni potrà tratteggiarsi un bilancio complessivo degli impatti che Expo ha avuto sulla città e la regione urbana milanese.

La valutazione socio-economica non si può ridurre al numero di visitatori e alle entrate conseguenti (dati che in ogni caso devono essere resi pubblici) o a stime più o meno credibili dell’effetto moltiplicativo di Expo sull’economia urbana. L’analisi deve ovviamente guardare ai bilanci per così dire “interni” al grande evento, ma non limitarsi a questo. Ad esempio dovrebbe guardare al rapporto tra risorse investite per l’evento in sé e per la realizzazione di infrastrutture e amenities che rimarranno alla città, all’equilibrio tra investimenti pubblici e privati, anche per capire chi, tra gli attori coinvolti, si accollerà i debiti e le eredità finanziarie passive.

L’obiettivo insomma è una valutazione dei costi e dei ricavi non solo per i promotori dell’evento ma per la città (flussi attivati, produzione e consumo di beni pubblici, ricadute in termini di sviluppo e occupazione, sostenibilità nel tempo). Avendo bene in mente che gli impatti si distribuiscono su un sistema locale costituito da diversi settori, stakeholder e gruppi sociali, che riceveranno dal grande evento costi e benefici differenziati. Tra questi non vanno dimenticati gli interessi illeciti, dato che i grandi eventi sono occasioni di espansione dell’economia criminale e di pratiche di corruzione dentro e fuori l’amministrazione pubblica.

La valutazione della dimensione socio-relazionale introduce a un campo più sfumato del precedente, ma non per questo meno rilevante. Esempi di risorse immateriali sono l’immagine con la quale la città è identificata a livello internazionale, la produzione di innovazione sociale e di nuove competenze cognitive e relazionali, il senso di appartenenza e orgoglio civico tra gli abitanti. Ancora, la creazione di nuove coalizioni tra gli attori locali (istituzioni, attori economici, società civile) o l’elaborazione di nuove politiche urbane. Elementi che influenzano in senso ampio le dinamiche sociali nella città (e la stessa economia, si pensi agli effetti di marketing territoriale) e, a date condizioni, anche la qualità della vita urbana. Nel valutarne gli effetti di legacy bisogna però distinguere tra le retoriche elaborate al solo scopo di mobilitare gli attori e l’opinione pubblica e le risorse intangibili effettivamente attivate e “lasciate in circolo” nel sistema urbano.

Ad esempio, grazie ad Expo molto è stato predisposto sui temi dell’accessibilità al cibo, dell’agricoltura urbana, della lotta allo spreco alimentare. Occorrerà valutare come questi quadri cognitivi indubbiamente nuovi – è la prima volta che la città attiva una riflessività su questi temi – si tradurranno in pratiche, progetti, politiche. Per valutare se sono stati effettivamente innovati i “software” che permettono il funzionamento del sistema alimentare milanese – ma il discorso vale anche per altri campi – bisognerà capire se gli effetti di cambiamento rimarranno efficaci nel tempo e/o sopravvivono a shock di sistema (ad es. la prossima tornata elettorale).

La dimensione urbanistica, infine, rimanda agli impatti sull’ambiente della città, ovvero all’analisi delle dinamiche di rinnovo urbano messe in atto sul territorio. Quartieri, strutture, infrastrutture e servizi atterrano sul tessuto urbano per rispondere alle necessità della manifestazione e lasciano tracce di durabilità che incidono sul funzionamento futuro del sistema territoriale. E con questa consapevolezza che assume rilevanza un’analisi a doppio binario: da una parte il percorso che ha portato all’individuazione del sito espositivo, delle scelte progettuali e di dotazione infrastrutturale, per valutarne l’adeguatezza, i benefici e le esternalità prodotte; dall’altra, capirne il destino post-evento, in termini di destinazione d’uso e di funzioni ospitate, in rapporto ai bisogni della città e alla loro sostenibilità sociale, economica e ambientale. Questione, questa, che nel caso di Milano sembra ancora lontana dall’essere definita.

 

Francesco Memo

 
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