14 ottobre 2015

DOPO EXPO: FARE BENE PRIMA CHE FARE PRESTO


Mi ha stupito il coro delle sollecitazioni a “fare presto” nel decidere sui progetti del dopo Expo e a individuare da subito un “commissario” per sveltire il tutto, dando per scontato che i progetti già ci siano e vadano bene. Se, come dice Giuseppe Sala, “bisogna sapere chi comanda”, il commissario interverrà nella fase dell’attuazione. Per la fase della scelta, invece, si sa già chi comanda: le istituzioni democratiche, i consigli comunali e quelli metropolitano e regionale. La scelta non può essere spostata in altra sede senza vulnus all’ordinamento democratico.

06goggi35FBQuanto al fare presto, è meglio meditare la scelta ponderatamente: l’urbanizzazione di un milione di metri quadri è opera di tale rilevanza da modificare non poco l’assetto dell’intera città. Anche le proposte formulate vanno valutate con attenzione, non per rifiutarle, ma per renderle fattibili ed evitare che comportino costi e disagi ai cittadini, nonché ingenti oneri a carico del bilancio dello Stato e degli Enti locali.

Accenno solo brevemente all’aspetto finanziario del problema: alla Statale mancano 160 milioni di euro, la Cassa Depositi e Prestiti non comprende nei suoi conti i 295 milioni del valore nominale dell’area.  Non sono propriamente bruscolini, se ne farà carico lo Stato? Più importante è considerare gli aspetti urbanistici critici. Ne citerò sommariamente alcuni, rilevanti sul piano pratico.

La Cassa depositi e Prestiti intende trasferire a Expo tutti gli uffici statali presenti a Milano. Assolombarda intende insediare aziende tecnologiche su 20 ettari. L’Università Statale vuole trasferire nell’area tutte le facoltà scientifiche ad eccezione di medicina. Cosa ne sarà dell’assetto urbanistico di Città Studi, che già verrà colpita dal trasferimento a Sesto del suo sistema ospedaliero, Besta e Istituto dei Tumori, chi si prenderà carico del suo futuro assetto urbanistico?

L’area Expo è giudicata molto accessibile, perché è collegata a passante e M1 al suo accesso Ovest, ma non è facile l’accesso alle sue parti interne e, cosa di non poco conto per i milanesi, si trova fuori dall’area di tariffa urbana dell’ATM.  Con il territorio circostante i collegamenti stradali sono ridottissimi, quelli di trasporto pubblico inesistenti e gli accessi alla grande rete stradale complicati.  I parcheggi sono tutti remoti.

L’ampio spazio esclusivamente pedonale all’interno va benissimo per un’esposizione, dove si trascorre tutta la giornata, ma non per spostamenti di lavoro e studio.  Le lunghezze dei percorsi per raggiungere dagli accessi l’incrocio tra cardo e decumano (Piazza Italia) sono le seguenti: 1.495 m dai tram 12-19, 1.560 m dalla stazione del passante, 1.986 m dalla M1. Non si tratta quindi di distanze pedonali (si considera normalmente distanza pedonale per una persona media quella di 250 m, per un anziano può essere assai minore). Dovremo dire a uno studente che va a lezione o a un anziano che va a sbrigare una pratica all’Agenzia delle Entrate che deve percorre a piedi un chilometro e mezzo o anche due?

Nessun progetto finora considera il costo dei necessari trasporti pubblici; vedremo anche che non si può parlare solo di navette. Infatti, la Statale vuole trasferire 18.000 studenti e 2.500 addetti, gli Uffici statali trasferiranno qualche migliaio di addetti, oltre al pubblico che vi accederà. Studenti e addetti arriveranno e partiranno tutti nelle ore di punta. Considerato il volume degli spostamenti, un servizio di trasporto pubblico dovrebbe avere la capacità di 10.000 pax/h/direzione, come un metrò leggero. Per di più, come è caratteristico delle funzioni previste, la massa si muoverà prevalentemente al mattino in un senso, in senso contrario alla sera, ne risulta un modello d’esercizio squilibrato e deficitario, se privo di una mobilità diffusa che lo riequilibri nelle morbide.

L’eventuale apertura della stazione FS di Stephenson migliorerebbe la situazione, ma non la risolverebbe del tutto.  La nuova stazione, peraltro, necessita ancora di studi di fattibilità e di non interferenza con l’esercizio del passante e, successivamente, di quattro anni per la realizzazione; inoltre richiederebbe circa 900 m di percorso pedonale per giungere al decumano e circa 1,5 chilometri per Piazza Italia. Le funzioni finora ipotizzate, inoltre, lascerebbero l’area del tutto deserta alla sera. I 600 abitanti previsti nei 30.000 mq di edilizia sociale si troverebbero totalmente isolati in un’area di cento ettari (confinata perché circondata da ogni parte da autostrade e ferrovie). Avranno seri problemi di sicurezza e i costi per mantenerla saranno ingenti.

L’impianto urbano, poi, non potrà essere ricalcato sugli isolati espositivi lunghi 300 m con una sola strada interna longitudinale, altrimenti questo non diventerà mai un pezzo di città, non sarà il motore urbano del “quadrante Nord-Ovest”, ma resterà sempre un’esposizione.

Faccio queste osservazioni non per rigettare i progetti di Assolombarda, Statale e Agenzia del Demanio, ma perché va trovata una ragionevole mediazione tra le esigenze dei progetti insediativi e le caratteristiche urbane dell’area e del territorio circostante, che renda questi progetti fattibili. Una scelta sbagliata costerà molto cara a tutti noi. Una maggiore quantità di laboratori di ricerca e una minore di spazi didattici e di sportelli per il pubblico mitigherebbe i problemi di trasporto. Un campus residenziale li migliorerebbe ulteriormente. La realizzazione di linee di trasporto che attraversassero l’area mettendola in rete con i comuni vicini aiuterebbe molto.  Un più vasto mix di funzioni sarebbe necessario. L’insediamento di attività serali (anche a carattere ludico, sportivo o di intrattenimento) contribuirebbe alla sicurezza.

Per trovare questa ragionevole mediazione occorre però calma, ponderazione, dibattito aperto e inquadramento delle azioni nell’assetto complessivo della città di Milano e in quella metropolitana. E il potere di scelta saldamente nelle mani delle istituzioni milanesi e lombarde.

 

Giorgio Goggi

 

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