28 ottobre 2015

UN POLO TECNOLOGICO IN AREA EXPO? MA CHE SIA UN VERO POLO DI RICERCA


Sappiamo bene che la politica ha bisogno di parole d’ordine efficaci e ben comprensibili e dunque comprendiamo come, nel caso del riuso delle aree Expo, si sia rapidamente impossessata di un’idea come quella di localizzarvi un nuovo Polo Tecnologico al servizio dello sviluppo dell’intera regione settentrionale, e come un altrettanto rapido consenso di stampa e di opinione pubblica sia subito seguito. Tuttavia sembra necessario prestare una attenzione particolare a questo tema perché questa parola d’ordine – a mio avviso molto coerente e opportuna nel caso in esame – si è prestata molte volte, non solo in Italia e non solo a Milano (ricordate il progetto del Polo tecnologico alla Pirelli Bicocca negli anni ’80?) a nascondere obiettivi assai diversi, in genere di natura meramente immobiliare, o a realizzare progetti anche non sbagliati ma assai distanti da quelli inizialmente sbandierati.

04camagni37FBMilano e la Lombardia con Piemonte e Liguria si presentano certamente come le regioni più avanzate in senso tecnologico e di ricerca in Italia. Tuttavia anch’esse scontano la debolezza di un sistema paese che non investe a sufficienza. In una recente ricerca che abbiamo condotto al Politecnico di Milano per l’Unione Europea su Knowledge, Innovation and TerritoryKIT (1), queste tre regioni appaiono assai distanziate dalle regioni che in Europa mostrano le migliori pratiche in questo ambito. Esse non fanno parte di un primo gruppo di regioni che abbiamo classificato come ‘science-based‘ e neppure di un secondo gruppo che abbiamo classificato come ‘applied science‘, tutte localizzate nel centro e nord-Europa.

Le abbiamo classificate – in base a una serie di indicatori sia di investimento in ricerca, sia di innovazione che di vantaggi competitivi di contesto – come regioni di ‘smart technological application‘: regioni che applicano in modo creativo e intelligente i risultati di ricerche di base e di ricerche applicate realizzate per la maggior parte all’estero, attraverso forme diverse di cooperazione e trasferimento tecnologico. Ciò non significa che il risultato economico di questi processi non possa essere anche più che rilevante e profittevole, e anche fonte di un interessante flusso di brevetti applicativi, ma che certamente sul lungo periodo rimarremo sempre ampiamente tributari del lavoro di ricerca altrui.

Milano presenta uno dei contesti più favorevoli e vantaggiosi per localizzare e concentrare uno sforzo di investimento, anche nazionale, sui temi della ricerca e della tecnologia e già un vasto hinterland padano si rivolge alle sue istituzioni universitarie e di ricerca – in particolare a quella in cui io opero, il Politecnico di Milano, con il suo Poli-hub, il suo Ufficio di Trasferimento Tecnologico – TTO, il CEFRIEL, le sue molte iniziative di spin-off universitario e di start-up tecnologiche – per alimentare in termini di conoscenza e di tecnologia il suo enorme potenziale imprenditoriale. Inoltre l’area Expo presenta, almeno a livello macro-territoriale, una rilevante accessibilità: alla città, all’hinterland nord-occidentale e al sistema aeroportuale lombardo (per l’accessibilità a livello micro-territoriale si vedano comunque i limiti indicati recentemente da Giorgio Goggi su ArcipelagoMilano).

Allo stato attuale, quello che viene presentato come un progetto di Polo Tecnologico ha bisogno di essere orientato in modo assai più deciso e convincente verso un obiettivo di vera ricerca. Occorrerebbe, anche grazie all’intervento del governo che giudico cruciale, un progetto simile a quello che è stato oltre dieci anni fa la costituzione e il decollo dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che si è imposto come una delle realtà più avanzate in campo internazionale nella ricerca di base e applicata in campi ad alto contenuto etico come l’ambiente e la sanità; un progetto per Milano, magari appoggiato su solide istituzioni già presenti.

Purtroppo fra le iniziative che compongono il progetto – ben note e che ho potuto iniziare ad analizzare con i colleghi del Gruppo di Valutazione del dopo Expo, costituito dalla società proprietaria delle aree, Arexpo, ma subito licenziato – di vere risorse per un vero grande progetto di ricerca non vedo l’ombra. Il ministro Martina che più e meglio si è speso in questa giusta direzione ha potuto soltanto trovare risorse per finanziare il trasferimento parziale sull’area Expo del Crea, una struttura che svolge un ruolo dignitoso e utile ma che vedo lontana da un impegno di ricerca a livello internazionale, come mostra l’assenza di un portafoglio di brevetti e di ricavi da royalties nel suo bilancio, fatto per la massima parte di trasferimenti pubblici.

Per quanto concerne l’iniziativa proposta dalla Università Statale di Milano, essa al momento non è altro che un trasferimento di facoltà scientifiche da un luogo all’altro della città; manca un progetto scientifico (la prima ipotesi, avanzata in modo abbastanza estemporaneo, di un possibile investimento sulle tecnologie della luce, è stata già ritirata) e non è dato intravedere quali nuove sinergie potrebbero essere attivate nel Polo Tecnologico aldilà di quelle che non siano già state attivate nella localizzazione attuale di Città Studi, peraltro in futuro più difficilmente conservabili. Le ipotesi di trasferimento di attività pubbliche del Demanio e dell’Agenzia delle entrate obbediscono ancora una volta a logiche localizzative di risparmio di costi ma non certo a una logica di ricerca e tecnologia. Infine la parte privata del progetto guidata da Assolombarda risulta ancora molto aperta e imprecisa – e pour cause! – non essendo chiare le condizioni di costo della nuova localizzazione.

Ma veniamo al problema del possibile finanziamento del grande progetto. Esso sconta il costo derivante dal peccato originale di aver pagato con denaro pubblico in modo eccessivo l’uso di aree private per finalità pubbliche, per di più temporanee (2). Questo costituisce un problema perché le attività di ricerca tecnologica e le start-up industriali richiedono bassi costi di localizzazione. L’ottimo studio effettuato da Cassa Depositi e Prestiti (CDP) sulla valutazione economico-finanziaria del progetto implicitamente riconosce questo problema: esso garantisce l’economicità e la finanziabilità del progetto stesso (anche attraverso l’intervento della stessa Cassa) ma solo a condizione di lasciar fuori dal computo il tema dei costi delle aree e degli investimenti tecnologici che devono trovare altra soluzione.

Oggi si fa molto conto sull’intervento del Governo in questo senso. Ma sarebbe un intervento già molto gravoso per le casse pubbliche e non molto giustificabile: esso non farebbe che completare il disegno del peccato originale, rilevando con risorse pubbliche i terreni della Fiera di Milano conferiti in Arexpo in conto capitale (46 milioni) e i debiti derivati dalla quota dei terreni di Comune e Regione non ancora coperta (68 milioni), per la quale sarà indispensabile un aumento del capitale Arexpo. Dovendosi aggiungere a tutto ciò il debito verso Expo di 50 milioni per gli investimenti infrastrutturali già effettuati, i costi di bonifica dei terreni che si temono assai elevati (fino a 50 milioni), i nuovi costi prevedibili di rifunzionalizzazione dell’area nonché il necessario finanziamento della CDP per la parte immobiliare del progetto (si parla di 200 milioni), è lecito nutrire alcuni dubbi sul possibile impegno del Governo per un ulteriore investimento, quello cruciale, sulla ricerca. Almeno fin qui tale investimento non è proprio in vista (ma sarei felice di sbagliarmi).

Ma se tutto questo è vero siamo ricondotti al punto di partenza: il progetto di Polo tecnologico, al suo stato attuale, potrebbe stare in piedi (comunque con un supporto pubblico, governativo o locale) soltanto come progetto immobiliare con ben poco valore aggiunto in termini di ricerca e tecnologia.

 

Roberto Camagni

Politecnico di Milano

 

(1) Si veda: R. Capello e C. Lenzi (2013), Territorial patterns of innovation: an inquiry on the knowledge economy in European regions, Routledge, Abingdon UK; R. Camagni, R. Capello, C. Lenzi (2014),”A territorial taxonomy of innovative regions and the European regional policy reform: smart innovation policies“, Scienze Regionali – Italian Journal of Regional Science, v. 13, n. 1, 69-105.

(2) Il valore di acquisto dei terreni, pari a 164,9 euro/mq, “è stato oggetto di valutazione di conformità da parte dell’Agenzia del Territorio”, confermata dalla Corte dei Conti, ma tale “affermazione di conformità … è posta in relazione allo sviluppo urbanistico che le aree interessate all’evento potranno avere” (Corte dei Conti, Determinazione n. 93/2011), e cioè agli effetti della improvvida (diciamo) decisione del Consiglio comunale di esplicitare e anticipare la futura edificabilità dell’area, precedentemente agricola, una indicazione già manifestata almeno dal 2007, e cioè prima di ottenere l’assegnazione dell’Expo 2015 dal BIE.

 

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