4 novembre 2015

DEMOLIZIONI EXPO: SPRECO O RISORSA?


Mentre ferve il dibattito sul futuro delle aree Expo, è dedicata poca attenzione allo smantellamento dei padiglioni temporanei. Non sembra esserci un progetto esecutivo di tale smantellamento (o perlomeno, non è scaricabile dal web). Dalla stampa (Corriere della sera 15.9.2015 Milano Expo, ecco il piano che farà a pezzi i padiglioni) si apprende l’esistenza di un cronoprogramma di smantellamento in due fasi, prima gli arredi poi i manufatti, tra i soliti ritardi “ci sono paesi che non hanno ancora deciso che fare”, e il quesito dove smaltire tale massa di materiali “(…) si segnala l’urgenza delle imprese di vendere acciaio o legno”.

04longhi38FBUgualmente Il Giorno (7.10.2015, Demolizione, 200 cantieri in uno: ma è giallo sui padiglioni di Expo) fa un quadro delle molteplici parti coinvolte nello smantellamento: conferma che è stato presentato il cronoprogramma da parte di Expo spa, ma manca il piano di demolizione delle infrastrutture in capo a Arexpo, mentre annuncia che alla torre di controllo è stata confermata MM. Segnala le preoccupazioni per il controllo del rischio delle operazioni sul sito, “tra smaltimento rifiuti e movimento terra, sono di quelle ad alto rischio di infiltrazioni mafiose”.

Così, fra l’indifferenza generale, ci si appresta a smantellare una città ad alto contenuto tecnologico con una superficie di 1.1 miloni di mq, con un’occupazione di circa 20.000 persone tra volontari (18.500), lavoratori a contratto (circa 800) e i 325 impiegati di Expo 2015 Spa.(fonte: Il Giorno 23.7.2013, Expo, accordo coi sindacati). Ma un sistema informativo che indichi con certezza la forza lavoro utilizzata dalle imprese che ruotano intorno a Expo non esiste. (Lidia Baratta, Il balletto dei numeri sull’occupazione creata da Expo, LINKIESTA 20.3.2015).

Per dare un’idea del valore di quanto si va a smantellare il padiglione del Vaticano è costato 3 milioni di euro per 350 mq (Il fatto quotidiano, 26 aprile 2015) mentre il padiglione del colosso immobiliare Vanke è costato 3,8 milioni di euro per circa 200 mq di superficie utile.

Sottolineando l’assurdità di tale processo, una città di alta qualità la cui vita è definita in sei mesi, e la mancata originalità di progettazione che avrebbe dovuto essere ispirata da tale ossimoro, non si vuole qui mettere in discussione la dismissione, inevitabile per le condizioni contrattuali imposte dal BIE, ma l’impoverimento del capitale sociale, delle risorse naturali e tecnologiche che implica il modello gestionale adottato da Expo spa, sopratutto per quanto riguarda l’assenza di valutazioni di sostenibilità dell’intervento urbanistico e la mancata realizzazione di un progetto che comprenda l’intero ciclo di vita dell’esposizione: dalla realizzazione, alla dismissione, al progetto di riconversione, fino alla sua realizzazione e gestione. Comunque si guardi la vicenda pesa il privilegio dato all’immaginato incremento dei valori fondiari, l’assenza di attenzione ai beni comuni da parte delle parti pubbliche, la debolezza del mondo progettuale.

Infatti, coerentemente con lo slogan “Nutrire il pianeta, energia per la vita” sarebbe opportuno provvedere a un bilancio integrato dell’iniziativa dove le valutazioni monetarie sono accompagnate alla valutazione delle perdite ambientali causate dai materiali impiegati (ad esempio il costo della perdita di patrimonio forestale causata dal massiccio ricorso al legno come materiale ‘sostenibile’), dalla perdita di bioproduttività generata dalla realizzazione del sito, dalla pressione ambientale o impronta ecologica generata sia dalle esternalità dei padiglioni che dai consumi dei visitatori.

Questo bilancio permetterebbe di avviare i nuovi progetti secondo il criterio dei benefici integrati, anziché su quello ormai superato e insostenibile che si basa sulla valutazione delle sole grandezze economiche.

Più complessa la questione dell’assenza di un progetto del ciclo di vita dell’operazione, perché si dovrà pagare l’onere della mancata simmetria fra gli investimenti “Expo” e quelli utili alle destinazioni future. A questo punto non esiste alternativa a riprendere il ‘ciclo del progetto’ dalla fase di smantellamento, che in base ai principi della sostenibilità dovrà trasformarsi da una fase di demolizione a una di rigenerazione attiva e creativa. Questo trasformerebbe una passiva azione di demolizione ad alto costo ambientale e sociale, in una realizzazione collettiva di mercato tesa a massimizzare il beneficio sociale e il patrimonio naturale.

A questo fine occorre rapidamente elaborare un piano particolareggiato delle operazioni di demolizione e recupero, che definisca gli spazi e la logistica della raccolta dei materiali e il loro processo di eventuale smaltimento. Il piano particolareggiato dovrebbe avere l’obiettivo di fissare la qualità ambientale finale del sito e l’incremento di bio produttività dello stesso.

Il piano particolareggiato dovrebbe essere accompagnato da un piano di rivalutazione delle risorse umane e del capitale organizzativo, che sono gli aspetti più positivi di Expo, e da un piano di sfruttamento delle risorse tecnologiche, in particolare dell’ecosistema digitale, che è di alta qualità e particolarmente utile per la costruzione di una governance metropolitana proattiva.

Questo screening operativo rende armonico il passaggio dalla fase di recupero/rigenerazione a quella di futuro utilizzo in quanto mette in luce la disponibilità di un robusto capitale organizzativo e tecnologico che è in grado di avviare un nuovo progetto strategico metropolitano: la città a bassa entropia, ossia una città a basso costo e ad alta patrimonializzazione, in grado di autoprodurre una quantità significativa del cibo necessario ai suoi abitanti, una città autonoma nella produzione di energia, una città con residenze che, nella fase iniziale, puntano al recupero dei materiali di dismissione.

Questa città sarà progettata in forma collaborativa, su base metropolitana, vi parteciperanno le culture di tutto il mondo, sfruttando le nuove tecnologie di elaborazione dei progetti. Le fondazioni ed il non profit parteciperanno con una capillare azione di crowd funding.

Il responsabile utilizzo delle risorse sarà la prima tappa di una città nuova ospitale per i processi di innovazione compatibili con i nuovi settori abilitanti promossi dall’UE, in particolare le nano e le bio tecnologie.

Sarà il primo progetto urbano antropocenetico a grande scala, destinato alla rivalutazione delle risorse umane e delle risorse naturali, coerente, almeno nella fase di rigenerazione, con la vera missione di Expo: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.

 

Giuseppe Longhi

 

LETTERA APERTA AI DECISORI DEL DOPO EXPO

Emilio Battisti DOPO EXPO. L’ABDICARE AL PROPRIO RUOLO. PERCHÉ?

Luciano Pilotti EXPO VERSO POST-EXPO: QUALI LEZIONI PER IL FUTURO?

Giorgio Goggi  DOPO EXPO: FARE BENE PRIMA CHE FARE PRESTO

Damiano Di Simine DOPO L’EXPO, C’E’ UNA CITTÀ?

Giorgio Spatti DOPO EXPO: MA DA DOVE SI DEVE PARTIRE?

Lamberto Bertolè COME RISPONDO ALLA “LETTERA APERTA AI DECISORI”

Francesco Memo VALUTARE GLI IMPATTI URBANI DI UN GRANDE EVENTO

Roberto Camagni UN POLO TECNOLOGICO IN AREA EXPO? MA CHE SIA UN VERO POLO DI RICERCA

Marco Vitale DOPO EXPO: NON INCIAMPARE SUBITO

Federico Pontoni Niccolò Cusumano NON SOLO EXPO, MA MILANO. L’OPZIONE ZERO

Giovanni Battista Costa UN FUTURO STRATEGICO DEL DOPO EXPO

Giuseppe Longhi DEMOLOZIONI EXPO: SPRECO O RISORSA?

Sergio Brenna EXPO E AREE FERROVIARIE: UN’URBANISTICA A LA CARTE

Alessandro Galbusera IL RUOLO DELLA RESIDENZA NEL DOPO EXPO



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Comments are closed.


Sullo stesso tema








20 gennaio 2016

TRAIETTORIE: EXPO, DONNE, POTERE, LIBERTÀ

Giulia Mattace Raso



12 gennaio 2016

EXPO DOPO EXPO: SEI ANNI DOPO

Valeria Bottelli



16 dicembre 2015

NEBBIA SUL DOPO EXPO

Luca Rinaldi



10 dicembre 2015

DOPO EXPO. MA COSA SERVE A MILANO?

Lanfranco Senn


Ultimi commenti