29 luglio 2015
CARMEN PELLEGRINO
CADE LA TERRA
Giunti Editore, Firenze, 2015
pp. 220, euro14
Finalista del premio Campiello 2015, e probabile futura vincitrice, Carmen Pellegrino fa parlare di sé. E per farlo sceglie un modo originale, la sua professione, quella di “abbandonologa”. Carmen è alla ricerca di luoghi sconosciuti e disabitati. Li mappa, li fotografa e li pubblica in rete.
Cade la terra, il suo primo romanzo edito da Giunti, della collana diretta da Benedetta Centovalli, è ambientato ad Alento, un borgo abbandonato del Cilento. È creato dall’immaginazione dell’autrice, che attinge immagini dal suo stesso passato, del quale ha conosciuto la “virtù del vuoto”, essendo vissuta in un casolare con nonni contadini.
Alento è un ammasso di pietre, giù in un fosso, dove le case sono franate a una a una. Nella polvere di queste rovine, l’autrice rievoca volti e oggetti appartenuti agli abitanti, e le storie di chi ha vissuto quando Alento non era ancora un paese di morte. Ma la frana non è mai stata il peggio, il peggio è la miseria. “Questa gente non ha tesori, ma tignole e ruggine in abbondanza” e vive “in una malora che aveva le montagne da tutte le parti, incorruttibili guardiani di un buco dove si andava a morire, mai a nascere.”
La protagonista è Estella, una squilibrata entrata in convento, giovanissima. Dopo due anni, durante la notte, scappa. Giunta davanti alla chiesa di Alento, si toglie il vestito da monaca, restando nuda. Estella è anche l’ultima abitante del borgo, e cerca di tenere in vita, rapendo dalla morte, tutti coloro che non hanno veramente voluto andarsene. Per rompere la solitudine, Estella invita a cena, nella sua casa, tutti i personaggi del romanzo, un po’ come faceva Pirandello, che, tutte le domeniche mattine, riceveva le creature dei suoi scritti. Gli ospiti prenderanno posto alla tavola di Estella, imbandita di cose buone e specialità fritte. Non porteranno regali, ma Estella gliene farà di meravigliosi: restituirà a ciascuno di loro la propria storia, tirando fuori dalla terra morta i ricordi, i desideri, le colpe e i fallimenti.
Ogni casa di Alento è un teatro, dove si possono esibire le vicende personali degli abitanti, che soccombono senza scampo. Come quella di Marcello, un ragazzino di dodici anni, che deve essere ammansito in casa, perché la scuola l’ha espulso. La storia di Libera, di nome ma non di fatto, costretta a sposarsi con uno zoticone di nome Guercio, da cui si fa ribaltare sottosopra ogni notte, per ricevere, in cambio, di giorno, un pezzo di pane. La vicenda di Mariuccia, la figlia di Consiglio, uccisa per distrazione dal medico. Racconti di uomini e donne, dimenticati dalla storia, che l’autrice restituisce al mondo dei vivi, per onorare il debito che ciascuno di noi ha verso il passato.
La descrizione accurata dei dettagli, desueta nei romanzi contemporanei, ricorda lo stile di Corrado Alvaro: “non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali”. Ad Alento, invece, “il paese, che aveva sempre camminato, ora sembrava aver camminato di più nella sua coperta di fango, con gli abitanti che si erano ritirati più a nord, sopra una porzione di terra meno tremolante. C’era un forte odore di pane appena sfornato là dove non c’erano mai stati forni …”.
Una scrittura precisa, senza sbavature, neppure dove la materia si impenna sul tragico o sul magico nella costruzione di due mondi opposti, quello dei morti e quello dei vivi, che Carmen Pellegrino ha la capacità di far coesistere.
Cristina Bellon
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questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero