19 marzo 2021

L’ULTIMO TRENO

Il libro di Marco Ponti e Francesco Ramella


ponti-ramellaPer un ferroviere come me, il periodo storico delle ferrovie italiane, messo sotto la lente da Marco Ponti e Francesco Ramella con approfondimenti inediti, rappresenta un pezzo della mia vita. E quella che emerge dal libro, un’analisi ancor più spietata rispetto alle idee che negli anni mi sono fatto da ferroviere, ma anche da pendolare (credo di aver fatto tre giri del mondo in treno!) che si è occupato e ha lavorato nelle ferrovie dal 1974.

La storia raccontata è resa esplicita da dati che esprimono il declino di FS, da quando l’azienda è stata spostata fuori dalle garanzie e dalla “gabbia contrattuale” del Pubblico Impiego per inserirsi in un altro alveo giuridico, che non ne ha frenato i costi e i sussidi ricevuti dallo Stato. Sono state alzate le retribuzioni dei dipendenti, ma si è ridotta le responsabilità della spesa, sia sul versante degli investimenti che delle forniture.

Come non ricordare i treni veloci in Sardegna o le “lenzuola d’oro” dei tempi di Ludovico Ligato? Il dimezzamento della mano d’opera da 200mila a 100mila ferrovieri, come è opportunamente ricordato nel libro, non è servita a rendere più efficiente l’azienda.

Ad ogni “generoso” esodo incentivato (diciamoci la verità: anche iniquo rispetto al trattamento riservato ad altre categorie) si perdevano professionalità che non venivano sostituite da incrementi tecnologici e formativi ma anzi aumentavano le esternalizzazioni, aprendo una nuova strada alle commistioni politiche e ad imprese prive di esperienza ferroviaria (in particolare sulla manutenzione della rete), che non aumentavano la produttività e la qualità dei servizi offerti da FS.

Chi vince un appalto con le ferrovie è come se vincesse alla lotteria sapendo prima quali sono i biglietti vincenti. Ad ogni esodo, poi, la piramide dirigenziale aumentava enormemente: meno operai e manovali, più promozioni di quadri e dirigenti sindacalizzati. Questa storia nel libro è raccontata senza filtri e condizionamenti (rispecchiando la personalità dei due autori), ma rischia di essere respinta da un lettore superficiale e “tifoso” delle ferrovie.

Le FS sono il fanalino di coda delle ferrovie europee. I passeggeri non sono “felici” perché le tariffe sono bassissime, sono, al contrario, molto infelici. In più di un’indagine si sono detti pronti a pagare di più per un servizio migliore.

La conclusione degli autori sembra essere un “basta” alla tanto osannata “cura del ferro” che non ha portato lo sviluppo auspicato e neppure raggiunto robusti obiettivi ambientali. Secondo me, invece, è il “ferro” che va curato. FS, se vuole avere un futuro nella transizione ecologica, va rivoltata come un calzino, vanno introdotti elementi di concorrenza e spazzata via l’incrostazione consociativa. E tutto questo andrebbe fatto prima di avviare l’enorme piano d’investimenti ferroviari previsto dal Recovery plan, altrimenti saranno guai.

Dario Balotta



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