16 maggio 2023

DAL GIARDINO ALL’INFERNO

Lettere di una nonna ebrea dalla Germania 1933-1942


Copia di Copia di rification (4) 

“Andrà tutto bene, vedrai. Perciò tutte e due vogliamo tenere la testa alta, vero?”. Parole che colpiscono per il coraggio, la dignità, persino la speranza che esprimono, e che commuovono, ancor più e oltre ogni misura, appena si legge che sono di una ragazza ebrea di diciannove anni, che morirà poco dopo in un campo di lavoro tedesco, e che tali parole sono indirizzate alla nonna, che seguirà lo stesso destino, deportata a Theresienstadt. Si potrebbe riassumere così il libro, bellissimo, che Mara Fazio ha dedicato alla sua famiglia e soprattutto a loro due, a Lina, la nonna, anno di nascita 1872, anno di morte 1943, e ad Anneliese, la nipote, anno di nascita 1923, anno di morte, ipotetico, 1942: “Dal giardino all’inferno. Lettere di una nonna ebrea dalla Germania 1933-1942” , pubblicato da Bollati Boringhieri (quest’anno Premio della Resistenza – Città di Omegna).

E’ la storia di una famiglia, buona borghesia tedesca ed ebrea (che pure ha sacrificato tanto e combattuto tanto nella prima guerra mondiale), di sentimenti liberali, che comincia, nel racconto di Mara Fazio, da Alfred Nathan Binswanger e da Lina Moos, la nonna Lina, famiglia che a un certo punto si divide, quando nel 1928 Ludwig Lindner, marito di Elisabeth Binswanger, una delle due figlie di Alfred Nathan e di Lina, riceve l’incarico di console generale della Germania a Genova. Dal matrimonio di Elisabeth e Ludwig nascerà Lore, che sposerà Cornelio Fazio, antifascista di Giustizia e Libertà. Lore e Cornelio avranno due figli, Ferruccio e, appunto, Mara.

Mia madre, testimonierà Mara Fazio, non amava parlare delle vicende della sua famiglia. Ma, ormai novantenne, decise “di imparare a usare il computer per trascrivere le centinaia di lettere che tra il 1933 e il 1942 sua nonna Lina aveva scritto a lei e a sua madre in Italia… Quelle lettere… raccontavano la vita della nonna e della sua nipotina Anneliese dal momento dell’ascesa di Hitler sino allo sterminio: nove anni di progressive privazioni e umiliazioni, di ansia, d’insicurezza, di attesa, d’impotenza e di solitudine… Nove anni in balia della dittatura che loro chiamavano ‘destino’…”. Fino alla morte, fino alla sparizione, insieme con altre milioni di persone, ebrei, zingari, malati, oppositori di ogni fede, semplici operai, braccia per l’industria bellica nazista, da ogni parte d’Europa. Con la complicità di amici e alleati fascisti, italiani compresi…

Il 1933 è l’anno in cui Hitler sale al potere, l’anno in cui “la legge dei pieni poteri” esautora il parlamento. Il primo di aprile è il giorno del Judenboykott, quando comincia la persecuzione degli ebrei: le sinagoghe vengono incendiate, i negozi vengono demoliti, le sentinelle delle SA si schierano davanti agli esercizi impedendo a chiunque di entrare… Mara Fazio tesse la trama di quella storia terribile e le lettere sono il contrappunto familiare, sono la presa di coscienza, lenta, quasi riluttante, della tragedia che si abbatte sulla Germania e sull’Europa. Le lettere sono la cronaca della progressiva spoliazione e di una speranza che non si vuole arrendere, della convinzione, di volta in volta, che non si possa andare oltre nella violenza, nella brutalità, nella sofferenza . Anche se non mancano le premonizioni: “Non ci è stato risparmiato – scrivono Lina e Alfred nello stesso mese di aprile a Ludwig Lindner in Italia – neppure questo nuovo colpo del destino le cui conseguenze  sono imprevedibili. Ma una cosa è certa: per papà e me inizia un periodo di nuove grandi preoccupazioni e ora come ora non abbiamo idea di dove trovare la forza per sopportare tutto il dolore che ci viene inflitto”. Il 15 settembre Alfred Binswanger scriverà: “Non posso nascondere che, negli ultimi mesi, abbastanza spesso mi sono detto: stringi i denti”. Due mesi dopo Alfred morirà d’infarto.

Tra la nonna Lina e la nipote Anneliese, trascurata dal padre, assente la madre colpita dalla sclerosi multipla (morirà nel 1937) crescerà una solidarietà sempre più forte, le preoccupazioni dell’una si salderanno all’ingenua fiducia dell’altra, ad uno sguardo che anche nei momenti più duri della deportazione non apparirà mai rassegnato, quando resistere, attendendo il futuro, immaginando un orizzonte, era diventato l’unica via per opporsi. Di volta in volta, Lina e Annaliese si “adattano”: espropriate della libertà, di una casa, di ogni parvenza di tranquillità domestica, persino delle più elementari condizioni di sopravvivenza, tuttavia resistono: “…promettiamoci a vicenda di resistere finché è possibile, in un modo o nell’altro”, scrive Lina alla figlia Elisabeth, a Genova.

Lina cercherà in tutti i modi di preservare l’esistenza della nipote: con la scuola, inseguendo la possibilità di un viaggio in Inghilterra, inviando pacchi di generi alimentari e di vestiti ad Annaliese, ormai costretta nei campi di lavoro, nelle paludi, senza mai la certezza che quegli aiuti giungano mai a destinazione. Finché la Gestapo non preleverà anche lei: con un preavviso di quindici giorni, perché i nazisti non rinunciano ad organizzare con scrupolo anche il viaggio della morte verso Theresienstadt, la cittadina ceca divenuta lager per gli ebrei anziani, come previsto dalla conferenza di Wansee. In una delle sue ultime lettere, Lina scriverà: “Mi sostiene solo la consapevolezza che soffriamo senza avere colpa”.

Ultima testimone di quella tragica vicenda fu la proprietaria di un piccolo albergo di Monaco, Anni Hauser, “indescrivibilmente buona e gentile, da non poterle mai esserle abbastanza grate”. Anni Hauser cercherà in ogni modo di aiutare Lina e Anneliese, ormai lontana, fino alla conclusione del loro destino… a riprova dell’esistenza di un paese diverso da quello imposto da Hitler e dal nazismo.

Dal “giardino” (quello della villa di famiglia a Regensburg, sul Danubio) all’inferno dei campi di sterminio, attraverso la voce  e i pensieri degli incolpevoli protagonisti si riesce a vivere qualcosa che molta altra letteratura ci ha offerto, raramente in modo così diretto e in modo così “centellinato”, intimo, nei vari progressivi passaggi: dal poco o quasi nulla ad una immane inimmaginabile catastrofe, dal benessere, dalla solidarietà, dai progetti, persino dalla felicità di un piccolo mondo borghese, alla fame, ai pidocchi, a un tavolato per letto, ai forni (non alla guerra, curiosamente assente in quegli scambi epistolari).

L’incredulità si sposa alla sopportazione, l’invenzione di ogni espediente per sopravvivere alla accettazione di un”destino”. La rivolta non è in quelle lettere. L’unica rivolta possibile era nella difesa della propria dignità: “a testa alta”.

 Nel principio e nella fine di Lina e di Anneliese, si può cogliere qualcosa che sa di politica, qualcosa che vale sempre. Non è solo la “banalità del male” di Hannah Arendt, a volte è anche la mediocrità degli atti, di leggi, ordinanze, regolamenti, divieti, nella loro coerente successione, che dovrebbe mettere in guardia: la somma potrebbe sempre condurci ad Auschwitz.

Oreste Pivetta

P.s. Ad un ramo collaterale della famiglia Binswanger apparteneva Ludwig, nato nel 1881 a Kreuzlingen, in Svizzera, dove morì nel 1966, psichiatra e filosofo, capofila dell’analisi esistenziale e della psichiatria fenomenologica, un profondo innovatore, cui guardò con grande interesse Franco Basaglia.

Mara Fazio Dal giardino all’inferno

Bollati Boringhieri Pagg. 230, 16 euro

 



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