22 luglio 2015
GIAN DOMENICO BORASIO
SAPER MORIRE
Bollati Boringhieri, 2015
pp. 208, euro 16
Gian Domenco Borasio autore di Saper morire è una delle massime autorità scientifiche europee nell’ambito delle ricerche sul finis vitae e sulle metodiche palliative da adottare nelle fasi terminali. Ha redatto da coautore, su incarico del Ministero federale tedesco per la Giustizia, il complesso dei principi per una legge sul testamento biologico. Ha diretto per venti anni il Gruppo di Ricerca sulla Sla del Dipartimento di Neurologia dell’Università di Monaco di Baviera, e nello stesso ateneo ha fondato il Centro interdisciplinare di medicina palliativa. Attualmente dirige la cattedra di Medicina palliativa dell’Università di Losanna.
Un grande scienziato che insegna e scrive in tedesco (“Saper morire” è infatti il titolo tradotto dell’opera) ci introduce in modo magistrale nel campo delicato e per molti versi ignoto del fine vita. Egli parte dalla constatazione che, con una gestione consapevole e razionale, la morte nella stragrande maggioranza dei casi non è un elemento doloroso, se non sul piano extracorporeo, grazie a una vastissima area di risorse mediche, che possono essere usate con successo.
Il vero problema, scrive Borasio, è che spesso non è così. Ci sono numerosi manuali di medicina che riportano ancora oggi concezioni ormai obsolete sulla presunta e pretesa dannosità di numerose sostanze e pratiche palliative. E tuttora nelle università europee si insegna poco, anzi pochissimo su questi temi e addirittura si insegnano cose sbagliate. Il volume risulta così di grande utilità non solo al lettore avvertito ma anche ai medici perché, raccomanda l’Autore “apprendano una parte tanto fondamentale del loro lavoro a beneficio di tutti.”.
Borasio fa riferimento alla nota e ormai accettata ipotesi del “DNA egoista”: tutti gli esseri viventi sono vere e proprie macchine biologiche finalizzate alla riproduzione, alla trasmissione e allo scambio di materiale genetico. La funzione biologica evolutiva di ogni essere vivente si esaurisce dunque quando questi hanno generato un numero adeguato di discendenti e ha provveduto alla loro sopravvivenza fino al raggiungimento della maturità sessuale, psichica, emotiva e funzionale in genere, in un quadro di condizioni che assicurino, in prospettiva, una quantità e qualità della vita sempre migliori e più abbondanti.
Analoghi modelli di valutazione razionali possono essere riferiti anche alle fasi terminali della vita. Osserva Borasio: “una volta la gente anziana che moriva di vecchiaia mangiava di meno, beveva meno, si affievoliva e si spegneva in pace. Oggi sappiamo perché: una lieve disidratazione ha effetti analgesici e aumenta la produzione di endorfine”. Le cure palliative e gli studi che ne sono a monte possono aiutarci a riscoprire la morte naturale.
Con una buona medicina palliativa ci potrà essere un numero sempre minore di persone che desiderano morire prima del tempo, ma ci sarà sempre qualcuno che si augura la morte. La società ha l’obbligo di porsi questi problemi. Ma prima di ciò in ogni caso dovrà garantire a tutti che alla fine della loro vita possano accedere a buone cure palliative, improntate, soprattutto, a un profondo cambiamento di prospettiva: da una medicina tecnocratica e focalizzata sui singoli organi, a una medicina incentrata sulla persona e caratterizzata da un rapporto olistico, che comprenda anche e soprattutto l’aspetto psicosociale e quello spirituale.
Paolo Bonaccorsi
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero