16 gennaio 2020

CLASSICO E (È) BELLO: «SYLVIA» DI MANUEL LEGRIS ALLA SCALA

Splendida apertura della stagione con Martina Arduino e Claudio Coviello


Il 17 dicembre 2019 il balletto di apertura della stagione 2019/20 del Teatro alla Scala è stato uno spettacolo classico, ‘importato’ dopo il suo grande successo all prima assoluta presso il Wiener Staatsballett: Sylvia di Manuel Legris. Un balletto molto classico ci voleva! E allo stesso tempo ci voleva un balletto molto ‘democratico’, con tanta danza per tutti, davvero tutti i componenti del corpo di ballo. E ci voleva pure un direttore d’orchestra che amasse la danza, che ne sapesse valorizzare la partitura, per altro molto sognante e narrativa di Léo Delibes, attraverso la comunione di orchestra e corpo di ballo. Con Kevin Rhodes tutto questo c’è stato; mai ero stato testimone di una tale simbiosi e di un tale dialogo di sguardi tra danzatori e direttore alla Scala, ognuno nelle mani dell’altro, ognuno a migliorare la performance dell’altro.

Claudio Coviello (Aminta) e Martina Arduino (Sylvia) nel grand pas d’amour dell’atto III.

Claudio Coviello (Aminta) e Martina Arduino (Sylvia) nel grand pas d’amour dell’atto III.

Scene e costumi sono stati i più deficitari. La pedana fissa con gli ingressi laterali dietro il tulle condiziona tutta la drammaturgia in modo non sempre omogeneo. La sua fissità poteva diventare un’occasione chiarificatrice per la drammaturgia, emulando cioè la fissità della skené nel teatro greco, avrebbe potuto mantenere fissi i ‘ruoli’ delle entrate e delle uscite, quale l’uscita verso (e quindi entrata da) il paese degli uomini, pastori e contadini; quale quella verso/da l’interno del bosco, quindi la grotta di Orione e i fauni; e così via. Manca una certa verosimiglianza nell’atto III nella pesante porta a battenti e la tholos aperta cui apparterebbe, l’edificio (tempio di Diana) entro cui si rifugia Sylvia durante la lotta tra Orione e Aminta. Migliore sul piano drammaturgico ed estetico la scena dell’atto II di «fuoco» (Spinatelli alla conferenza stampa) della caverna di Orione.

Valerio Lunadei (pastorello), Antonella Albano (contadina), Mattia Semperboni (contadinello) e il corpo di ballo nell’atto I.

Valerio Lunadei (pastorello), Antonella Albano (contadina), Mattia Semperboni (contadinello) e il corpo di ballo nell’atto I.

Seppur molto storicizzati in chiave neoclassica di primo Ottocento, i costumi dei pastori e contadini erano molto belli e armonici, in particolare ho apprezzato i colori tenui e le vite alte dei costumi femminili con le balze aperte e lunghe sulla gonna in modo da offrire mobilità e gioco alle danzatrici, e il costume del contadinello e del pastorello solisti, raffigurati come “sanculotti” molto cari alla tradizione rivoluzionaria francese, con il berretto rosso ‘frigio’, che connota l’elemento bucolico e classico. Completamente sconnesso e dissonante è, invece, il costume di Aminta, che risulta senza legami né con il mondo degli uomini da cui proverrebbe né con quello degli dèi e creature boschive in cui si inserisce: risulta anche il più limitante sul piano coreografico ed estetico. Delicati e funzionali i costumi di Sylvia, di tutte le cacciatrici, dei fauni; meno funzionale quello lungo della naiade solista soprattutto per l’esecuzione sulla diagonale dei fouettés en tournant, la cui dinamica viene ora in parte intralciata ora nascosta; audace l’impatto della calzamaglia bianca di Endimione, come l’oro dei decori sulla tuta aderente di Eros, cui personalmente avrei preferito una nudità autentica con un costume minimo come lo Schiavo in Excelsior; bellissimi i costumi di Orione e di Diana, sia per la fattura sia per la combinazione cromatica.

Nicola Del Freo (Eros) mentre colpisce Sylvia nell’atto I.

Nicola Del Freo (Eros) mentre colpisce Sylvia nell’atto I.

Martina Arduino (Sylvia) è una ninfa delle mille espressioni, perché mille e più sono le emozioni e i pensieri che attraversano la protagonista. Da vera prima ballerina della Scala sa essere la vergine cacciatrice fiera della sua integrità, ora tituba verso Aminta e il suo amore rivelato, ora s’adira contro il dio Eros, ora è intrigante nel raggiro di Orion e il suo stuolo di fauni, ora ha paura di Artemide, ma non del suo nuovo sentimento. Martina coniuga con sapienza e bellezza il suo talento artistico e attoriale con la sua tecnica esplosiva e la sua dinamica mozzafiato. Non si possono dimenticare la sua tragica Odette e la sua tecnica Odile nel «Lago dei cigni» di Ratmanskij.

Martina Arduino (Sylvia) mentre ammalia e inganna Orione nell’atto II.

Martina Arduino (Sylvia) mentre ammalia e inganna Orione nell’atto II.

Accanto a lei, il suo Aminta è il principe malinconico del Teatro alla Scala, un elegantissimo e intenso Claudio Coviello. Ammalia tutti nei lunghi adagi in cui da solo occupa la scena, lo ha già dimostrato la scorsa estate nella «Bella addormentata» di Nureyev e lo ha riconfermato nella prima di Sylvia. Il suo temperamento lo rende perfetto per gli eroi forti e tristi, un temperamento perfettamente romantico, in linea con il grande repertorio del balletto e con il balletto francese, che Legris recupera nella sua coreografia.

Claudio Coviello (Aminta) nell’entrée dell’atto I.

Claudio Coviello (Aminta) nell’entrée dell’atto I.

Il classico o, meglio, l’elemento classicistico si nota ancora nella parte ‘di carattere’ di Sylvia, in particolare nell’atto II con le schiave nubiane (Vittoria Valerio e Alessia Auriemma), la cui indicazione geografica (Nubia, cioè attuale Sudan) drammaturgicamente non si adatta pienamente alla danza di carattere orientale. Questa coreicamente è, invece, legata a un immaginario mediorientale (arabo e persiano) e indiano, in generale a quell’orientalismo che tra la fine dell’Ottocento e la Belle Époque faceva seguito alla diffusione delle novelle a cornice delle Mille e una notte (Alf Layla wa-Layla) e alla grande popolarità di figure come Mata Hari.

Nonostante questa precisazione filologica sulla drammatrugia, Vittoria Valerio e Alessia Auriemma sono state due seduttrici formidabili, che hanno accompagnato con partecipazione e attenzione il crescendo estatico della gozzoviglia creata da Sylvia per ubriacare Orione con i fauni e riuscire così a scappare dalla grotta. Vittoria Valerio è capace di commuovere i teatri come Giselle o come Odette, ma anche di divertire il pubblico con gli scherzi di una naiade solista, che l’idea di Legris non ha risparmiato di farcire di elementi di grande tecnica; una prima ballerina di fatto, sperando sia seguito presto anche dal titolo sulla carta.

Vittoria Valerio nell’assolo della naiade nell’atto I.

Vittoria Valerio nell’assolo della naiade nell’atto I.

Uno dei principi del neoclassicismo, che diventerà propaganda per tutta l’età coloniale dell’Ottocento almeno fino al secondo dopoguerra, è quello di vedere nel mondo antico greco e romano una perfezione estetica e morale, secondo cui tutto viene ricondotto alla ‘normalità’, dettata da una chiave di lettura storicamente maschilista e borghese. Perciò, l’«addomesticamento del selvaggio», inteso come il non-ordinato nella mentalità comune, in prospettiva europea è un caposaldo che si vede ancora nella drammaturgia della Sylvia: la donna cacciatrice che rifiuta l’amore non è ‘ordine’, quindi Sylvia sposerà Aminta.

Chi è dunque il non-ordinato per eccellenza? Orione, un satiro o fauno, creatura selvatica che vive secondo la legge del più forte nella foresta, incontrollato, violento, ma anche ingenuo: rapisce Sylvia con la forza, si lascia ingannare da lei vinto dall’ebbrezza smodata ed eccitazione fino al collasso, ritorna alla violenza arrivando persino all’empietà di tentar di profanare il tempio di Diana entro cui si ripara Sylvia. Dopo le tante esperienze di cattivo, Christian Fagetti ha mostrato un Orion brusco e manesco, forte nella tecnica del partnering, preciso e atletico nei salti ampi e nella presa dello spazio, dal mimo intenso e spiccate capacità attoriali di grande effetto e attrazione, un successo di pubblico.

Christian Fagetti e le schiave nubiane nell’atto II.

Christian Fagetti e le schiave nubiane nell’atto II.

Restano gli dèi e gli eroi. María Celeste Losa ormai si è specializzata nei ruoli ‘autoritari’, come la regina Myrtha delle Willi, ha presentato una dea Diana di grande presenza scenica, nervosa e scattante nella tecnica, che insieme a un elegantissimo Gabriele Corrado (Endimione) ha danzato un ottimo prologo. Eros, infine, ha preso le sembianze di Nicola Del Freo nel suo fisico di perfette proporzioni, il quale ha eseguito difficilissime variazioni piene di tecnica e di danza, a tratti ‘bournonvilliane’ per l’altissima presenza di sequenze e combinazioni di piccoli e medi salti e batterie. Ha inoltre dato prova delle capacità mimiche soprattutto nella parte in cui travestito da stregone risveglia con l’alloro il trafitto Aminta.

Gabriele Corrado (Endimione) e María Celeste Losa (Diana) nel prologo.

Gabriele Corrado (Endimione) e María Celeste Losa (Diana) nel prologo.

La Francia e il suo stile coreico sono sovrani nella coreografia di Legris. Si vede la lezione francese in alcuni ports de bras, soprattutto nei démi ports de bras en dedans, nelle attitudes en avant che si accompagnano con quella che nel metodo Cecchetti è chiamata quarta posizione delle braccia e nelle arabesques le cui braccia risultano con le mani leggermente flesse all’insù. Ho trovato un po’ troppo rigido il gomito del braccio sollevato nella “posa dell’arco”, sicuramente dettato da una volontà coreografica, ma per il mio gusto sarebbe stato più ‘classico’ il mantenimento di un quasi chiasmo policleteo tra il braccio teso con l’arco e il tendu en arrière della gamba opposta in incrocio con il braccio arrotondato al gomito sollevato sulla testa.

Domenico Giuseppe Muscianisi

 

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano © Teatro alla Scala. Foto1: Claudio Coviello (Aminta) e Martina Arduino (Sylvia) nel grand pas d’amour dell’atto III. Foto 2: Valerio Lunadei (pastorello), Antonella Albano (contadina), Mattia Semperboni (contadinello) e il corpo di ballo nell’atto I. Foto 3: Nicola Del Freo (Eros) mentre colpisce Sylvia nell’atto I. Foto 4: Martina Arduino (Sylvia) mentre ammalia e inganna Orione nell’atto II. Foto 5: Claudio Coviello (Aminta) nell’entrée dell’atto I. Foto 6: Vittoria Valerio nell’assolo della naiade nell’atto I. Foto 7: Christian Fagetti e le schiave nubiane nell’atto II. Foto 8: Gabriele Corrado (Endimione) e María Celeste Losa (Diana) nel prologo.



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


20 dicembre 2022

IL LATO OSCURO DI RUDOLF NUREYEV

Domenico G. Muscianisi






9 novembre 2021

IL “SENSO” RITROVATO

Paolo Viola



26 ottobre 2021

MADINA ALLA SCALA

Paolo Viola



15 maggio 2021

IL PRIMO CONCERTO DAL VIVO

Paolo Viola



2 maggio 2021

DA DOVE RIPARTIRÀ IL TEATRO FRANCO PARENTI?

Andrée Ruth Shammah


Ultimi commenti