3 luglio 2019

C’ERA UNA VOLTA… AL TEATRO ALLA SCALA

La «Bella addormentata nel bosco» di Nureyev


Tutte le fiabe iniziano con «c’era una volta…». Non importa se il soggetto sia singolare o plurale, perché sarà sempre e solo lo stesso incipit ripetuto a far sognare e trasportare gli ascoltatori o i lettori in un mondo altro.

Se prima Rudolf Nureyev con la sua Bella addormentata (e non solo) era capace di trasportare in un sogno, alla recita del 27 giugno scorso al Teatro alla Scala ci è riusciuto il primo ballerino Claudio Coviello. Applausi a scena aperta, interminabili all’inchino dopo lo splendido adagio dell’atto II del principe Désiré. Claudio non ha mai perso la concentrazione, niente fuori posto dalla prima nota all’ultima: tecnica e arte, racchiusi in cinque quasi sei lunghissimi minuti di danza da solo sul palco, che appena finiti si voleva rivederli come riavvolgendo un video.

foto_1_copertina_Claudio Coviello (2)

La fiaba inizia, perché nasce lei, Aurora. Una principessa che per madrine ha le fate, ognuna delle quali le dona una qualità. Puntuale, ritmica e a tema Virna Toppi nelle difficoltà della Fata principale. Tutto il regno gioisce di questa nascita, tranne Carabosse, la fata malvagia, irritata per non avere ricevuto l’invito, maledice la bimba condannandola a una morte precoce. E se fosse stata invitata anche lei come madrina, non avrebbe comunque fatto un dono malvagio, considerata la sua natura?

Chi lo sa. Certo è che il suo intervento rompe un equilibrio di festa, fa bandire da un regno oggetti comuni come fusi e arcolai – perché attraverso una puntura di fuso sarebbe morta la principessa –, rende ottusi i sovrani e disobbedienti i sudditi. Scompiglio. Ma poi arriva la Fata dei Lillà che con il suo ultimo dono stempera la maledizione di Carabosse, trasformando la morte in un lungo sonno per Aurora e tutto il regno, finché il vero amore non avrebbe svegliato la principessa.

foto_2_atto_1_Nicoletta Manni (2)Il tempo scorre veloce nella Bella addormentata, da neonata a sedicenne pronta alle nozze. Ecco, Nicoletta Manni è un’Aurora ragazza tutta nervi e immatura, non consapevole della portata di quella festa. Lei pensa al “qui e adesso”, figlia del suo tempo, il barocco del Seicento; e nell’immediato c’è una festa di cui è protagonista e che si vuole godere a pieno. Danza con quattro pretendenti arrivati dai quattro continenti (l’Oceania non era ancora stata scoperta al tempo in cui è rappresentato il balletto): l’Adagio della rosa mostra una solida tecnica, padronanza della scena, come anche la variazione dell’atto I che nella paritura e nella coreografia richiama quella dell’atto II del sogno.

 

Un’anziana ricurva su sé stessa le dà un mazzo di fiori bellissimi. È più bello dei fiori ricevuti dai quattro principi. La madre vorrebbe che glielo consegnasse così da essere libera di danzare, ma lei continua a danzare fino al punto di pungersi. Con una spina? No, con un fuso! Il ciambellano Calabutte (uno splendido e convicente Riccardo Massimi) se ne accorge e subito Carabosse (Marta Romagna) salta fuori dai panni della vecchia. La maledizione! I quattro principi raccolgono il corpo ‘morto’ di Aurora e lo passano a quattro donne in nero (le prefiche, dico io) che rappresentano nel simbolismo noir di Nureyev la morte. Infatti, Carabosse farà sì che si uccideranno a vicenda nel tentativo di sconfiggerla.

foto_3_atto_2_Nicoletta ManniSembra che tutti si siano scordati di cosa accadde sedici anni prima. La Fata dei Lillà torna serafica ricordando il proprio incantesimo: tutto tace immerso nel sonno in attesa del bacio del vero amore. Sarà la Fata dei Lillà a preoccuparsi di rintracciare il vero e lo trova. Bisogna arrivare a cento anni dopo. Nel Settecento galante c’è un principe un po’ fuori tempo, insoddisfatto della frivolezza rococò della società in cui vive.

«Perché piangi?» gli chiede la Fata dei Lillà. «Perché sono infelice» risponde il principe Désiré, «e il mio cuore non si innamora». Tutta questa inquietudine è espressa da Claudio Coviello nel suo assolo, che ha rappresentato il momento più alto del balletto. «Ecco» riprende la Fata dei Lillà, «ho io la soluzione: una principessa in attesa del bacio del vero amore». Un ologramma, un sogno, presenta un atto ‘bianco’ di ninfe boschive e un’eterea Aurora, che si fa vedere e non toccare da Désiré, che subito capisce di esserne innamorato.

foto_4_ph.Bragagnoli_Coviello_atto_2_moscacieca

In realtà, non si capisce se Nureyev non ci abbia ingannato tutti, facendo sì che il Principe Désiré (‘desiderato’ in francese) non sia il sogno di Aurora, e non viceversa. Questo è Nureyev: un intreccio di passi, geometrie e note, ma anche un intreccio drammaturgico aperto alla risoluzione del pubblico. Nureyev amava così tanto tutte le componenti del teatro che non smette di far riflettere tutti, dai danzatori (uomini e donne) con un passo a ogni nota, ai figuranti e comparse con molti spostamenti e cambi, agli attrezzisti e macchinisti con luci e scene, al pubblico con le molteplici letture dell’azione scenica.

foto_5_atto_2_Nicoletta Manni - Claudio Coviello (2)

Scortato dalla Fata dei Lillà nel palazzo incantato fermo a cento anni prima, Désiré bacia la bella Aurora. Tutto riprende vita. Il programma di cento anni prima non viene disatteso: bisognava celebrare il fidanzamento di Aurora. E infatti, se ne celebrano addiruttura le nozze!

foto_6_atto_3_Nicoletta Manni - Claudio Coviello (8)

Gli invitati a corte sono tanti. Il pas de cinq con una gemma d’arte come Martina Arduino, insieme a Marco Agostino solido tecnicamente nella danza ‘nervosa’ del passo e le tre pietre preziose Gaia Andreanò, Alessia Auriemma e Greta Giacon. Il Gatto con gli stivali (Christian Fagetti) con un pantalone a sbuffo corto che non gli rende giustizia e la Gatta bianca (Denise Gazzo), felpati e divertenti nel passo a due del cammeo nell’atto III. E infine l’Uccello azzurro e Fiorina per un passo a due completo (adagio, variazioni, coda) di uno splendido Antonino Sutera con una debuttante, nervosa, ma deliziosa, Agnese Di Clemente.

foto_7_ph.Bragagnoli_DiClemente_Sutera_uccello_azzurro

foto_8_ph.Bragagnoli_Gazzo_Fagetti_gatti

Il grand pas d’amour di Désiré e Aurora è stato intrepretato con grande pienezza. Poco evidente l’intimità ‘drammaturgica’ di sguardi, ma era del tutto evidente ’affinità tecnica. Manni si affida completamente a Coviello nei fuori asse, nelle multiple prese a poisson; e Coviello è perfettamente consapevole nel rassicurare e trattare la partner. Ottime le variazioni, nonostante la preoccupante esecuzione dell’orchestra e la direzione che non rispettava a pieno le esigenze coreutiche. Velocità e brillantezza, eccesso barocco e stupore sono le parole d’ordine per la Bella di Nureyev e così è avvenuto. E vissero per sempre felici e contenti.

foto_9_atto_3_poisson_Nicoletta Manni - Claudio Coviello (1)

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto 1, 2, 3, 5, 6, 9 di Marco Brescia e Rudy Amisano © Teatro alla Scala. Foto 1: Claudio Coviello nell’assolo dell’atto 2. Foto 2: Nicoletta Manni nell’atto 1. Foto 3: Nicoletta Manni nella variazione dell’atto 2. Foto 5: Nicoletta Manni e Claudio Coviello nell’adagio dell’atto 2. Foto 6: Nicoletta Manni e Claudio Coviello nel grand pas d’amour dell’atto 3. Foto 9: Nicoletta Manni e Claudio Coviello nella presa poisson dell’atto 3.

Foto 4, 7, 8 di Monica Bragagnoli (per concessione). Foto 4: Claudio Coviello con Emanuela Montanari (la contessa) e il corpo di ballo nella mosca cieca dell’atto 2. Foto 7: Agnese Di Clemente e Antonino Sutera nell’Uccello azzurro e Fiorina. Foto 8: Denise Gazzo e Christian Fagetti nei Gatti.



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