3 maggio 2017

sipario – IL FAVOLOSO MONDO DI MARTINA ARDUINO


Mentre a Milano imperversa la frenesia per il Fuorisalone e la settimana del design 2017, seduti al bar veniamo cacciati dal dehors perché ora dell’aperitivo, ma io non mi offendo (troppo), mi sento trasportato come dalle note di Comptine d’un autre été di Yann Tiersen (dal film Il favoloso mondo di Amélie del 2001) nel «favoloso mondo» della danzatrice della compagnia di balletto del Teatro alla Scala che sto intervistando. Martina Arduino a 21 anni ha già interpretato importanti ruoli di prima ballerina e di étoile, ha vinto il Premio Europaindanza 2017 (Accademia Nazionale di Danza di Roma) al merito per l’interpretazione di Giulietta di MacMillan. Viene da Torino, ma entrata al primo corso della scuola di ballo dell’Accademia Teatro alla Scala si trasferisce a Milano con tutta la famiglia che la supporta e la segue nella sua scelta di vita da artista. Capace di far venire la pelle d’oca a chi la ascolta e la vede ballare, Martina racconta il mondo di sogni e d’emozione in cui vive, «fatto al 99% di duro lavoro» e studio.

sipario16FBTi ho visto la prima volta nella Fata dei Lillà per la Bella addormentata nel bosco di Aleksej Ratmanskij (Dreamtime Magazine 28.10.2015), poi nel Lago dei cigni sempre di Ratmanskij sia come Odette/Odile sia nel pas de trois. Tu all’epoca della Bella eri appena diplomata, notavo quanto il tuo debutto fosse particolarissimo con una tecnica complessa, storica, ricostruttiva dell’Ottocento, completamente diversa da quella che avevi studiato fino all’estate precedente il diploma.

Due mesi dopo il diploma, avevo appena compiuto 19 anni, mi hanno affidato questa grandissima responsabilità e occasione di debuttare il 1° ottobre 2015 nel ruolo della Fata dei Lillà. È stato proprio il coreografo che mi ha scelto: era il mio primo, “primissimo” ruolo principale. Mi ha affascinato moltissimo la ricostruzione della Bella addormentata di Ratmanskij [vedi il mio articolo su Dreamtime Magazine del 6 ottobre 2015] – che per me era la prima Bella e in generale il primo balletto che ho eseguito per intero nella mia vita! Ho amato la ricerca di pirouettes a metà polpaccio, gambe a 90º, regole nelle quali all’inizio facevo un po’ fatica venendo da otto anni di Accademia con pirouettes a passé altissimo non incrociato, gambe altissime, arabesques svettanti.

Il lavoro è stato meraviglioso, perché si entrava nella ricerca del dettaglio e della storicità del passato, della raffinatezza del movimento per renderlo delicato e antico. Un lavoro particolare, ma bellissimo. Io ho studiato il ruolo proprio con gli insegnamenti di Ratmanskij di prima mano, perché in quel periodo era venuto a rimontare di persona il balletto. Spiegava esattamente quello che voleva, la ricerca e lo stile che intendeva, i modi di inclinare la testa, di mantenere le mani e le braccia sempre morbide. Nella seconda parte del balletto la Fata dei Lillà era principalmente mimica – infatti, indossavi l’abito lungo e le scarpe col tacco – quindi non c’era più la presenza della tecnica, ma mi dovevo concentrare sul mimo e i dialoghi, che oggi nei balletti è sempre più raro vedere.

Ho dovuto svolgere un lavoro impegnativo per rendere i gesti chiari al pubblico com’erano nella mia mente: un linguaggio che ho imparato dall’inizio per me del tutto sconosciuto prima. La variazione del primo atto era, invece, tecnicamente molto difficile – Ratmanskij ha ricostruito due versioni di questa variazione, tu eseguivi la prima con i giri in arabesque che è quella più originale e più complessa – esatto! Le pirouettes uguali a destra e sinistra con il passé basso al polpaccio su quella partitura originale e veloce, e la sequenza finale di fouettés in arabesque e pirouettes en dedans sono di grande complessità. Per me è stata una grande sfida, un’esperienza che non dimenticherò mai, di dimostrare di essere tecnicamente all’altezza della scelta del coreografo e delle aspettative: era la mia occasione!

Che cosa pensi cha abbia visto in te Ratmanskij scegliendoti?

Io ho dato il mio massimo nelle prove prima che Ratmanskij scegliesse i suoi cast. Penso che di me siano piaciuti il mio viso un po’ “antico” e il mio modo di ballare romantico, perciò è ricaduta la scelta su di me per questo ruolo. Sono così affezionata alla Fata dei Lillà che anche nei balletti successivi i maîtres mi dicevano «Guarda che non sei più la Fata dei Lillà!» [sorride]: sono entrata nel ruolo anche al di fuori del teatro.

Ti senti per così dire “antica”?

Non proprio, ma mi sono ritrovata molto a mio agio in quello stile antico. L’ho sentito mio. Anche dopo che conoscevo già lo stile di Ratmanskij nel Lago dei cigni, ho avuto occasione di approfondire questa ricerca. Ogni tanto, però, penso di esser dovuta nascere nell’Ottocento… .

Che cosa sono la tecnica e il suo studio?

Ogni giorno lavoro sulla tecnica, ma non è il primo pensiero quando ballo. Ho fatto otto anni di Accademia per acquisire la tecnica, ma ogni giorno studio e miglioro sempre qualcosa di nuovo. Non smetto mai di studiare, non lascio mai la sbarra, perché sono lo studio e la ricerca al primo posto. Io sono molto pignola e pretendo molto da me. La lezione è anche allenamento fisico, non fine a sé stesso o alla performance di un esercizio come per le ginnaste, però alleniamo muscoli, rinforziamo le articolazioni, come gli atleti. Infatti, un balletto intero richiede resistenza fisica, fiato, e va preparato atleticamente.

Quando non riesco in qualcosa, mi arrabbio e riprovo continuamente finché non riesco o almeno non sono sicura al 100%. Sto ore e ore a lavorare il lato tecnico, come mi è capitato per il Lago e per Giulietta, sì da poter ballare “tranquillamente”, cioè con spontaneità e calma – non perché eseguo un passo. L’anima viene fuori in base alla persona e all’interpretazione libera del movimento.

Hai parlato di spontaneità, romanticismo e naturalezza del ballo. Infatti, quest’anno sei approdata al ruolo più modernamente romantico per eccellenza, quello di Giulietta di MacMillan. Come ci sei arrivata?

Alle spalle avevo già l’esperienza del Lago dei cigni, un balletto intero nel ruolo da protagonista, però il Romeo e Giulietta è stato come cominciare da zero: tutto era diverso. Ogni movimento di MacMillan ha un suo proprio fine nel sentimento e nel significato, un développé o un rond de jambe di Giulietta ha un senso.

Nella variazione [del primo atto] “dialogo in movimento” con Romeo visto per la prima volta e con Paride che mi sorveglia dall’altro lato mentre io, invece, cerco Romeo … Ogni passo con Giulietta parla da sé! [le brillano gli occhi] Questo è stato un lavoro difficile, ma meraviglioso, grazie all’aiuto dei maîtres come Massimo Murru, che mi ha aiutata tantissimo sul versante espressivo. Lui mi raccontava ogni movimento e io sarei rimasta lì ore ad ascoltarlo e a guardare il suo muoversi che ai miei occhi parlava.

Ho avuto un’esperienza meravigliosa nella recita con Claudio [Coviello, primo ballerino del Teatro alla Scala]. All’inizio in classe con lui ero emozionatissima, non ci credevo: ero preoccupata di non essere all’altezza di un primo ballerino che ha ballato Romeo con partner incredibili e internazionali [per esempio Natal’ja Osipova, prima ballerina del Royal Opera House di Londra, precedentemente al Teatro Bol’šoj di Mosca e al Teatro Michajlovskij di San Pietroburgo]. Claudio fin dalla prima prova non mi mai, mai fatta sentire inadeguata o inferiore o incapace: mi sono trovata benissimo.

Ho cercato il più in fretta possibile di imparare tutto il balletto soprattutto per rispetto nei suoi confronti. I passi a due sono molto complicati. A vederli sembrano facilissimi, poi esaminando le varie prese si rivelano difficilissimi, oltre allo stile di MacMillan che io non l’avevo mai ballato: non è classico puro, come poteva essere Ratmanskij, ma un mondo nuovo nella dinamica, nella coordinazione, gli incastri di mani e corpi. Dopo averlo studiato a fondo, il balletto scorre liscio – io, infatti, scrivo che i balletti di MacMillan scorrono come un film al cinema – davvero sembra così! Dopo la tecnica mi sono dedicata al ruolo di Giulietta. Mi vengono ancora i brividi a pensarci, è stata un’esperienza bellissima e un lavoro enorme!

Non ho un mio Romeo fuori dal teatro, perciò Claudio è stato il mio primo Romeo. Tutte le emozioni che ho espresso sul palco, le ho sentite per la prima volta con Claudio: il mio personaggio l’ho creato emozione dopo emozione nella sala prove. Il discorso mimico con Paride e il passo a due di quando io lo rifiuto sono stati un lavoro immenso.

Ma più difficile di tutto è stato l’ultimo passo a due, quando lei è apparentemente morta e danza con Romeo disperato: io non avevo mai ballato niente del genere, non sapevo nemmeno come aiutare lui senza pesargli, ma dando sempre l’impressione di non essere viva. Non potevo aggrapparmi a lui, dovevo concentrarmi di sentire l’aria nelle mani, tra le dita, perché altrimenti non sembrava reale.

Mi sono ispirata ad Alessandra Ferri, soprattutto al suo “primissimo” video, quello del debutto, alla sua Giulietta di 19 o 20 anni, fresca come potrei esserlo io alla stessa età. Ho avuto la grande fortuna di vederla ballare dal vivo a Capodanno questo stesso ruolo alla Scala: mi vengono i brividi ancora. [sorride emozionata] Ho potuto vedere lì a pochi metri tutta la sua maturità, la sua storia, una Giulietta più vissuta e intensa.

Il mio desiderio è di poter riprendere Giulietta tantissime altre volte, per maturare il personaggio ed entrare sempre più nel ruolo. Questa sensazione mi è capitata già nelle settimane di prova prima dell’unica recita, immagino che cosa potrebbe avvenire dopo anni!

Che cosa ti piace vedere nella danza?

Mi piace tutto quello che possiede un significato con una forte base tecnica, costruzione e precisione delle regole. Il bello è vedere l’armonia che sta dietro. A me piace scoprire il significato di ciò che vivo: mi piace scoprire e scoprirmi, sperimentare su di me.

Amo i balletti di Balanchine e tra poco [prima del 19 aprile 2017] debutterò in Symphony in C, un altro stile nuovo ancora! Questo balletto tecnicamente è di una difficoltà tremenda – tu fai quale movimento? – il primo … – Ah, difficilissimo! – [ridiamo] il quarto poi e anche le demi-solistes del primo movimento. Quindi conosco praticamente tutto il balletto – anche quello che fanno gli uomini [sorridiamo].

Balanchine è veloce, brillante e complesso nelle sequenze da sola e negli incastri con il partner, ma tutto deve sembrare semplice, leggero e fluido. Mi piace questo del mio mestiere, che a ogni prova scopro qualcosa di nuovo, nel ripetere le sequenze che mi vengono più complesse. Cerco e alleno il corpo perché mi vada comodo, in automatico per concerntrarmi sui dettagli che fanno lo stile di Balanchine.

Dalla prima prova con Colleen Neary [coreografa e maître répétiteur del George Balanchine Trust, per il corretto allestimento dei balletti di Balanchine] ho amato la grande femminilità che devo trasmettere con le linee, i ports de bras incrociati, le pose delle teste mentre le gambe vanno a tutta velocità in movimenti di fino e precisi.

Tutto a teatro sembra semplice, ma dietro ce n’è di lavoro che solo noi sappiamo. Sula palco non penso più ai passi, devo pensare a trasmettere quello che provo io in sala prove. Oggi [6 aprile 2017] mi è piaciuto quello che ci ha detto Colleen durante i filages completi del balletto: «Non pensate, fate! Ballate, godetevi il momento: Enjoy it!». Quando ballo, mi godo ogni momento e movimento, anche se difficile o ho tanti pensieri. Lì sono nel mio mondo.

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto di Rudy Amisano (Teatro alla Scala, ritratto), per concessione di Martina Arduino.

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e di Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org



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