10 gennaio 2017

sipario – «PIACERE, CLAUDIO COVIELLO», PRIMO BALLERINO ALLA SCALA


Alla fine di una Giselle nel 2015 con protagonisti Maria Eichwald e Claudio Coviello, in una breve chiacchierata la prima ballerina kazako-tedesca mi dice «Claudio ist mein Schatzi!» [Claudio è il mio tesorino!] e pochi minuti dopo conosco il giovane primo ballerino scaligero che si presenta dicendo «Piacere, io sono Claudio», come se io potessi non riconoscerlo in quella specifica occasione … . Ricordo di aver pensato «Davvero è un “tesorino”!». Giovanissimo arriva all’apice della carriera di un teatro importante come quello dei Milanesi, che grazie alla sua umiltà considera sempre come un trampolino, mai un traguardo. Ecco, Claudio Coviello si racconta.

sipario01fbQuando nei miei articoli parlo di te, Claudio, cito sempre il tuo Albrecht, perché lo trovo di una profondità strepitosa! Ti ho visto in versioni differenti, quella di Patricia Rouanne, che deriva da quella di Nureev [Dreamtime Magazine 1.11.2015], e quella vostra della Scala di Yvette Chauviré. Qual è il tuo rapporto con Albrecht?
Giselle è il primo balletto in cui ho danzato da protagonista al Teatro alla Scala ed è anche il balletto che finora ho danzato di più, in quanto lo mettiamo in scena sia a Milano sia in parecchie tournées all’estero. Ho danzato anche la versione di Patricia Rouanne grazie a Eleonora Abbagnato che un anno fa mi chiamò come ospite a Roma. Giselle è un balletto cui sono particolarmente legato perché al termine di una recita a maggio 2013 il maestro Vaziev [Machar Vaziev, direttore del ballo al Teatro alla Scala dal 2009 al febbraio 2016] mi nominò primo ballerino della compagnia scaligera. Giselle mi ha sempre affascinato, è il balletto romantico per eccellenza ed è uno di quei balletti in cui, quando sono in scena, mi sento a mio agio, perché adoro interpretare i balletti in cui c’è una storia da raccontare, a maggior ragione se si tratta come in questo caso di una storia più verosimile.
Albrecht è un personaggio che mi intriga molto, perché è profondamente diverso dal primo al secondo atto: nel primo atto è un ragazzo nobile, che arriva nel villaggio in cui vive Giselle, trovandosi in un mondo che non gli appartiene ma in cui si diverte. Danza con Giselle e insieme agli altri contadini, nascondendo a tutti la sua vera identità, quasi per sfuggire dalla noia in cui vive quotidianamente, e inconsciamente si prende gioco di Giselle giurandole amore. In questo è un ragazzo diverso da quello che sono io, perché io sono molto più razionale. Nel secondo atto, invece, cambia totalmente: è pentito di quello che ha fatto nel primo atto. In fondo, non si era preso gioco di Giselle, ma l’amava sinceramente, quindi il suo prometterle amore eterno era un giuramento spontaneo dettatogli dal suo cuore.
Albrecht è diverso, maturo, nel secondo atto diventa un uomo e non più un ragazzino: è solo ed è alla continua ricerca di Giselle, perché spera che sia stato tutto frutto della sua immaginazione, vuole rivederla e riviverla a tutti i costi. È costretto a rassegnarsi quando capirà che Giselle ormai potrà soltanto vivere nei suoi ricordi. Io mi ritrovo molto di più nell’Albrecht del secondo atto, perché ha un animo più sensibile, da subito dal suo ingresso nel secondo atto si percepisce la fragilità del personaggio; nel primo atto ho dovuto fare sicuramente un lavoro maggiore per interpretarlo.

L’idea che mi sono fatto io riguardo al tuo carattere è che abbia un carattere “lunare”, nel senso di ‘notturno, riflessivo’ e che quindi a te vengano particolarmente bene i ruoli dei principi ‘tristi’, come Siegfried [del Lago dei cigni], che hai ballato nelle due versioni di Nureev e di Ratmanskij, o Des Grieux e Romeo [rispettivamente dell’Histoire de Manon e del Romeo e Giulietta entrambi di sir Kenneth MacMillan]. Questi personaggi rientrano nella stessa sfera della sensibilità, del principe e dell’uomo sensibile, che cosa prendi da loro e dai loro?
Fuori dalla scena io non sono molto estroverso, faccio anche difficoltà a esternare i miei sentimenti. Questi personaggi mi danno la forza di esternare l’emotività sulla scena che nella vita quotidiana non riesco a trasmettere, e questo mi aiuta anche nella vita a lasciarmi andare: se devo piangere, piango; se devo ridere, mi diverto a pieno, emozioni che prima cercavo sempre più di trattenere e contenere. A questi personaggi io cerco sempre di dare qualcosa di me stesso. Quando ho cominciato a interpretare questi ruoli e a studiarli, mi documentavo molto, leggendo l’opera da cui era tratta la storia, come il Romeo e Giulietta [dalla tragedia di William Shakespeare], Onegin [dal romanzo in versi di Aleksandr Puškin] o Notre-Dame de Paris [dal romanzo di Victor Hugo] e guardando molto i video di diversi ballerini per capire le varie interpretazioni. Non ho mai seguito solo un artista, ma facevo riferimento a vari artisti per poter poi esprimere quello che era il mio personaggio.

Quali difficoltà hai trovato e trovi nell’approcciarti a un ruolo?
All’inizio è stato difficile tutto, la tecnica e la parte attoriale, perché uscito dalla scuola io ho iniziato subito a fare i ruoli dopo un anno che ero nella compagnia della Scala. La maggiore difficoltà era riuscire sia a portare a termine il balletto tecnicamente sia a rimanere nello stile del personaggio per tutta l’interpretazione. Magari all’inizio mi focalizzavo solo sulla tecnica e davo meno peso al personaggio e alla sua interpretazione, cosa che adesso non riuscirei mai a fare: in primo luogo c’è il personaggio su cui si delinea la tecnica. Quello che arriva al pubblico è la storia, l’emozione, se si riesce a trasmettere questo si perdona anche qualche imperfezione tecnica durante lo spettacolo.

Nella tecnica ogni tanto ci si nasconde, perché la timidezza rende più semplice l’esecuzione di una regola, che non la sua interpretazione. A quanto mi dici, immagino che interpretare Basilio [del Don Chisciotte] ti sia venuto particolarmente complesso.
Infatti, è un ruolo che è completamente diverso dal mio carattere. Quando era a scuola, mai avrei immaginato di fare Basilio; sognavo di fare Albrecht o di fare Siegfried, ma non Basilio – addirittura quello di Nureev! – che è molto difficile tecnicamente! [sorridiamo] Quando il Maestro Vaziev aveva deciso di farmi fare Basilio, sapeva benissimo quali fossero le mie preferenze; ma lui mi aveva convocato nel suo ufficio e mi aveva detto: «Claudio, voglio vederti anche in Basilio» e io l’ho presa come una vera e propria sfida. E adesso devo ammettere che è un ruolo che mi diverte, completamente diverso dagli altri, nonostante le difficoltà tecniche che sono tantissime, perché la versione di Nureev è molto concentrata nel personaggio dell’uomo, che è in scena dall’inizio alla fine e i suoi passi sono in egual misura tecnici sia a destra sia a sinistra. Basilio è un personaggio che più interpreto, più mi piace, perché è del tutto distante dal mio modo di essere e mi piace andare in scena, mostrando un lato esuberante del mio carattere: nella vita non sarei mai come Basilio!

Qual è la responsabilità del primo ballerino?
Le responsabilità sono tante. Primo ballerino non è un punto di arrivo, ma anzi un punto di inizio, perché molti pensano di aver raggiunto il massimo, invece proprio perché sono stato nominato primo ballerino a 21 anni, ho sempre dovuto dimostrare di essere all’altezza di questo titolo sia al pubblico sia ai miei colleghi (magari quelli più grandi che stavano nella compagnia da più tempo). La difficoltà è quella di saper essere sempre all’altezza di questa categoria. – non significa, quindi, soltanto avere un camerino privato, peccato! No, per niente! [ridiamo].

Domenico Giuseppe Muscianisi

 

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano (Teatro alla Scala): il giovane ne «Le Jeune homme et la mort» di Roland Petit, per concessione di Claudio Coviello.

 

 

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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