9 novembre 2021

IL “SENSO” RITROVATO

Un concerto esemplare


viola (1)

Dopo l’evento memorabile della Madina alla Scala, di cui ho riferito nell’ultimo numero di questa rubrica, ho ascoltato altra musica in diversi luoghi – concerti di vario genere, di solisti e di orchestre – ricavandone un sostanziale sconcerto (perdonatemi l’involontario gioco di parole), uscendone sempre più o meno amareggiato. Altri concerti non ho voluto ascoltare perché sfiduciato a priori, a causa di programmi che mi sono parsi sconclusionati o perché gli interpreti – direttori e solisti – mi avevano già deluso sufficientemente in passate occasioni.

In un’epoca come questa, in cui le difficoltà di mettere insieme programmi attraenti ed interpreti di valore (non si riescono nemmeno a programmare vacanze, viaggi, operazioni chirurgiche e via di seguito) sono tali da scoraggiare chiunque debba organizzare stagioni musicali o avere la concentrazione e l’umore necessari per sedere al pianoforte o prendere in mano una bacchetta, sarebbe veramente ingeneroso affermare che certi concerti non andrebbero proprio proposti. E non credo che renderei un buon servizio alla musica e a chi se ne occupa professionalmente, interpreti o organizzatori, criticando le loro fatiche e il loro impegno. Sono comunque degni di attenzione e di gratitudine, perché si sa che organizzare e fare musica è una azione sempre meritevole e faticosa. Per esprimere disaccordo su una interpretazione o su una scelta specifica, credo si debba essere immersi in un contesto di generale positività ed ammirazione. 

Forse però c’è anche un altro risvolto. Non potremmo essere noi, fruitori-ascoltatori, ad aver perso il ritmo, le energie, l’entusiasmo, la passione? Non siamo noi che ci annoiamo con maggiore facilità, che abbiamo meno curiosità e più aspettative, che ci lasciamo trascinare di meno, come se fossimo tutti un po’ più stanchi ed inerti di due anni fa? Lo sento dire da molti, e forse è vero anche per me se due mesi fa, alla ripresa della stagione, scrivevo di una “perdita di senso” che ci pervadeva al ritorno dalle vacanze e ci faceva passar la voglia di uscir di casa la sera. Che sia questo? E c’entra con la poca voglia di ascoltar musica?

Mentre riflettevo su questi temi, mi dirigevo controvoglia verso l’Auditorium di largo Mahler per andare a sentire quel giovane pianista giapponese, cieco fin dalla nascita, di cui si sentono dire cose così mirabolanti da avermi insospettito; anche il “titolo” del concerto me lo aveva reso sospetto (“Šostakovič secondo Nobu”, ma i concerti hanno bisogno di un titolo?) e pensavo a una trovata da marketing. Ero però rassicurato dalla presenza di un direttore che avevo già potuto apprezzare e soprattutto dal programma, semplice e preciso: Concerto per pianoforte, tromba e orchestra numero 1 in do minore opera 35 di Šostakovič, e Sinfonia numero 3 in la minore opera 56, detta “la Scozzese”, di Mendelssohn. Solista Nobuyuki Tsujii, direttore Robert Trevino.

Ebbene, con enorme soddisfazione e grande giubilo, devo dire che da anni non ascoltavo un concerto così raffinato, eccitante, prezioso – e addirittura commovente – come è accaduto domenica pomeriggio in quel teatro di cui per vari anni avevo celebrato i fasti (arrivai a sostenere, e non ero il solo, che la Verdi fosse diventata la migliore orchestra italiana) e della quale recentemente avevo osservato un malinconico declino.

Cominciamo dal pianista, che ha appena compiuto 33 anni ma ne dimostra molti di meno, ed è un grande professionista che non si capisce come possa aver studiato pianoforte senza aver mai visto una partitura, e che ha una invidiabile padronanza della tastiera, una tecnica formidabile e una squisita sensibilità. Il Concerto di Šostakovič, del 1933, è una preziosa testimonianza delle difficoltà con cui l’Autore dovette misurarsi nel difficile rapporto con il partito comunista al potere, e della abilità con cui è riuscito a divincolarsi usando l’ironia e il senso dell’umorismo. Anche per questo è un concerto difficile in cui il pianista, in duetto con la tromba (ottima la prestazione di Alessandro Caruana), deve mettere in gioco grandi energie e massima concentrazione per riuscire a sostenere la continua tensione e senza far trapelare lo sforzo richiesto dagli imponenti ardimenti tecnici.  

Nobuyuki Tsujii è stato perfetto tanto che alla fine del concerto gli sono stati richiesti ben due bis e lui, molto intelligentemente, prima ha commosso il pubblico fino alle lacrime sussurrando la Berceuse di Chopin come prima di lui solo Arturo Benedetti Michelangeli sapeva fare, poi l’ha portato alla massima eccitazione con l’eroico virtuosismo della Campanella di Paganini-Liszt, senza dare alcun segno di difficoltà, anzi volando sulle note con sorprendente leggerezza. Un vero genio.

Interessante è stata anche la lettura che il trentasettenne direttore texano di origini messicane  Robert Trevino ha dato della sinfonia mendelssohniana; il giovane Felix aveva appena compiuto trentatré anni quando per la prima volta l’ha presentata al pubblico nella famosa sala della Gewandhaus di Lipsia, dirigendola personalmente, ma ci pensava già da tredici anni, da quando cioè ancora ventenne fece quel viaggio in Scozia che gli ispirò le famose “Grotte di Fingal”, uno dei più bei poemi sinfonici mai scritti.

Trevino ha saputo cogliere tutto il senso di quel potente affresco, il racconto del paesaggio marino che sicuramente colpì l’immaginazione del giovane compositore, non solo l’urlo e il muggito delle onde che si infrangono contro gli scogli all’imboccatura della grotta, ma anche quel cielo che il ventenne amburghese, vissuto fra il Brandeburgo, la Turingia e la Sassonia, sicuramente non aveva mai incontrato. E, grazie anche a un’orchestra meravigliosamente disciplinata ed ispirata, ci ha restituito una musica da ascoltare ad occhi chiusi per evocare quei paesaggi e quei suoni. Un concerto esemplare. Finalmente.

Paolo Viola

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  1. Francesco MambrettiSì, è stato un concerto bellissimo
    15 novembre 2021 • 13:00Rispondi
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