20 dicembre 2022

IL LATO OSCURO DI RUDOLF NUREYEV

Ritorna “Lo schiaccianoci” e apre la stagione del Teatro alla Scala


 

Foto 1 Nicoletta Manni e Timofej

 

Dopo quasi vent’anni, grazie al direttore del ballo Manuel Legris, torna al Teatro alla Scala Lo schiaccianoci di Rudolf Nureyev, sostituito negli anni dallo «Schiaccianoci» di Nacho Duato e da quello di George Balanchine, i quali per motivi diversi – essenzialmente coreici e coreografici, per quanto mi riguarda – non hanno dato una ventata di freschezza al repertorio milanese.

Forse quella di Nureyev è l’unica coreografia che non se sarebbe mai dovuta andare dalla Scala, perché la più tecnica e difficile, ma anche la più ‘democratica’. Infatti, le difficoltà e lo spazio tra le danze dei ruoli e quelle del corpo di ballo si equiparano e senza l’ensemble anche i protagonisti ne risentono. Ma anche la drammaturgia con Nureyev assume un valore diverso dai soliti “Schiaccianoci”: Nureyev mette in scena un romanzo di formazione, un Bildungsroman, di Clara che entra nell’età adulta attraverso le turbolenze del primo amore e il lato oscuro della crescita.

Foto 2 il Corpo di Ballo del Tea

Ci si fa i conti subito con il lato oscuro della vita nelle coreografie di Nureyev: in fondo, dietro la vita fatta di riflettori e applausi, c’è la storia di una grande solitudine e di una malattia. L’arte come dice l’etimologia lontana nel tempo è un “assemblaggio” di più elementi per mano di un creatore, che può anche ingannare. Ma per Nureyev non c’è tempo per la falsità: infatti, la finzione del teatro ha un che di realismo, in cui tutte le sfaccettature della vita si riflettono e fanno riflettere il pubblico.

Alla casa benestante degli Stahlbaum e ai suoi ospiti selezionati tra le fasce più elitarie della società si contrappongono il vecchio suonatore di organetto, i ragazzi di strada, le prostitute e la povera senzatetto già all’apertura del sipario. E l’ombra si rivela già durante la festa, attraverso piccoli momenti di realtà come i bambini che si accapigliano di fronte ai giochi meccanici e la rottura dello schiaccianoci di Clara da parte del fratello Fritz, all’inquietante e affascinante vecchio Drosselmeyer, fino ai più psicologici fantasmi rappresentati dai ratti con il loro re e dai pipistrelli coi i volti dei genitori e dei loro invitati.

Foto 3 Nicoletta Manni ph Bresci

Dopo quel famoso Schiaccianoci del ʼ69 alla Scala che vide il ritorno di Carla Fracci sulle scene dopo la gravidanza, la versione rappresentata sabato 17 dicembre 2022 all’apertura della stagione di balletto milanese è quella finale del 1985 per l’Opéra, quando Nureyev era consapevole di trovarsi alla fine della sua vita, così la sua coreografia diventava il suo testamento, comprendendo anche citazioni di sé stesso. Infatti, nella scena delle bambole meccaniche i tre personaggi sono una dama, un soldato e un saraceno, impersonati rispettivamente dai danzatori nei ruoli di Clara, Fritz e Luisa, in cui la danza che rappresentano dopo l’attivazione da parte di Drosselmeyer mi ha rimandato alla trama di Raymonda, che è il primo balletto zarino à grand spectacle rimontato da Nureyev in Europa (e specialmente in Italia).

Un tema ricorrente nello Schiaccianoci di Nureyev è quello del doppio. Ogni danzatore di ruolo interpreta due personaggi, rappresentando la vita reale e la proiezione nell’immaginario psicologico di Clara: ogni elemento – come le danze di carattere nel secondo atto – ha poi un significato letterale e uno simbolico, se vogliamo allegorico.

Foto 4 Vittoria Valerio. ph Bres

Clara (Nicoletta Manni) vive quel delicato passaggio dell’adolescenza, la crisi del mondo di bambina con l’ingresso difficile e lento in quello – visto ancora come troppo distante – degli adulti. Infatti, non è abbastanza inserita nel gruppo delle altre bambine, solo con Luisa (Vittoria Valerio) trova un po’ di intesa, ma neanche troppa, seppur Luisa sia in grado di suonare intrattenendo gli ospiti durante la danza dei bambini. Diverso è il caso del fratello Fritz (Mattia Semperboni), che ben si integra nel gruppo degli altri bambini, tra giochi rumorosi e dispetti. Il personaggio fuori dagli schemi è Drosselmeyer (Timofej Andrijašenko), che incanta bambini e adulti con i suoi giochi di prestigio e i giocattoli meccanici. Mi sarei aspettato un vecchio Drosselmeyer recitato meno goffo e macchiettistico, perché dovrebbe rappresentare il vecchio – sì –, ma intrigante e interessante, di cui Clara s’invaghisce fino a immaginarlo Principe. L’elemento macchiettistico è già presente nei nonni (Massimo Dalla Mora e Serena Sarnataro), convincentemente comici e buffoneschi.

La metamorfosi arriva quando Clara addormentasi si sveglia assalita dalle sue paure, i ratti che non intendono lasciarla e il loro gigantesco, spaventoso re che la insegue senza tregua. A risollevare la situazione è l’adorato schiaccianoci donatole da Drosselmeyer, che assume le sembianze di un coraggioso e bellissimo Principe (Andrijašenko), che la incanta e la guida in uno dei più bei pas de deux, quello della radura di neve. Un passo a due cui sono personalmente molto legato, perché proprio questo di Nureyev è il primo passo a due di cui ho studiato alcuni momenti con il mio primissimo insegnante di danza, Nedo Zingoni, che alla Scala ha ballato tanto e nello Schiaccianoci faceva, ad esempio, il Re dei Topi. Alla sua memoria, prematuramente scomparso, dedico questo mio articolo, a Nedo che credeva in me, che mi accostavo alla danza un po’ troppo adulto,, insegnandomi forse un po’ troppo presto quello che non riuscivo a fare, ma che lui vedeva io potessi fare.

Foto 5 Nicoletta Manni e Timofej

La neve prende vita con i fiocchi di cristallo che danzano una delle coreografie più difficili per ensemble femminile, fatta di pulizia, velocità e precisione, che il Corpo di ballo della Scala ha eseguito splendidamente, in cui si inseriscono i momenti delle soliste María Celeste Losa e Gaia Andreanò, tecniche ed eleganti. Clara impara a conoscere il mondo, come il gioco della seduzione (danza spagnola) nel brillante cammeo di Mattia Semperboni e Vittoria Valerio, e la furbizia (danza araba), che si incornicia come una novella di Sherazade e racconta una storia di fame che accende l’ingegno dei bravi Antonella Albano e Marco Agostino ai danni di un ricco prepotente. Così, si prosegue: Clara e il Principe conoscono anche la spensieratezza (danza russa) con Beatrice Carbone e Gabriele Corrado e il gioco di equilibro e follia (danza cinese) con Domenico Di Cristo, Rinaldo Venuti e Federico Fresi, e il gioco della diplomazia con gli intrecci coreici della pastorale (danza francese) di Nicola Del Freo icone Agnese Di Clemente e Linda Giubelli.

Eppure Clara e il Principe imparano anche a vedere la bellezza: il corpo di ballo della Scala si cimenta nel valzer dei fiori, composto da molte coppie, geometrie complesse, scambi di partner e tanta velocità, salti di potenza e giri per gli uomini, salti di brillantezza e falsa punta per le donne. Questo possente valzer deve preparare e sostenere la scena per il grand pas de deux finale. Clara ha terminato l’itinerario della sua mente: è una donna, pronta all’amore e alla responsabilità delle sue scelte.

Foto 6 in primo piano Antonella

Manni e Andrijašenko danzano un ottimo passo a due: la tecnica è precisa e sicura. Lo spazio è conquistato e occupato nella sua totalità, le difficoltà tecniche (numerose e combinate tra loro) sono superate. Andrijašenko mostra una buona forza e qualità di movimento. Manni, l’ho definita “una macchina da guerra”, forte, volitiva ed elegante. Quella della Clara di Nureyev e forse una delle variazioni femminili con più tecnica in assoluto, anche solo per la maggiore durata, rispetto alle solite variazioni del repertorio che si attestano sui novanta secondi; e Nureyev non perdeva un solo secondo senza “inserire” passi e riempire la coreografia.

Un grande ritorno, di un balletto forse un po’ “vecchio” e “pesante” in certe fogge di costumi, nelle scene del primo atto, ma che non invecchia nella danza, l’elemento che con Nureyev è sempre maggiormente in risalto. E ci chiude così il sogno di Clara, accompagnando il Principe/Drosselmeyer che esce di casa con la consapevolezza di essere diventata, tra paure e crisi, in qualche modo donna.

 

Domenico Giuseppe Muscianisi

 

Foto di Marco Brescia e Rudi Amisano © Teatro alla Scala. Foto 1: Nicoletta Manni e Timofej Andrijašnko (grand pas de deux, atto 2). Foto 2: il Corpo di Ballo (fiocchi di neve, atto 1). Foto 3: Nicoletta Manni e i pipistrelli (atto 2). Foto 4: Vittoria Valerio (bambola saracena, atto 1). Foto 5: Nicoletta Manni e Timofej Andrijašnko (pas de deux della neve, atto 1). Foto 6: Antonella Albano e Marco Agostino (danza araba, atto 2).



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  1. Francesco PavoncelliMi piace come scrive Muscianisi. Buon critico che conosce bene gli interpreti e ancora meglio le opere che vengono rappresentate. Niente parole inutili, come è giusto che sia per il balletto, il quale, nella semplicità dei suoi volteggi, ci lascia sempre senza parole. Grazie.
    17 febbraio 2023 • 03:39Rispondi
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