15 maggio 2021

IL PRIMO CONCERTO DAL VIVO

C'è chi non è d'accordo


Non riesco a descrivere l’emozione del primo concerto dal vivo dopo 14 mesi e mezzo di astinenza! Un’emozione che non ho voluto affrontare alla Scala ai concerti di Chailly e di Muti, amareggiato da quella stupida bagarre – prima io perché l’ho detto prima (o peggio perché sono più bravo!) contro il prima io perché sono il padron di casa – dalla quale sono stati preceduti. Ovviamente aveva ragione Chailly – anche o soprattutto per rispetto della sua orchestra, che giustamente voleva esser lei ad avviare la ripresa dopo il blackout – e torto marcio Muti che in questa occasione ha tolto la maschera ed ha platealmente rivelato la volgare arroganza che da sempre nutre nei confronti del mondo intero e in particolare dei colleghi (chi può dimenticare le prodezze del duetto Muti-Isotta contro Abbado?). Ma chi crede di essere? Pochi, fra coloro che masticano un po’ di musica, hanno di lui la considerazione ch’egli ha di sé stesso; basta aver assistito ad alcune di quelle noiosissime prove/lezioni in cui si è esibito per mesi in televisione per capire quanto fumo e quanto poco arrosto…

viola

Ho preferito una atmosfera più sottotono, come quella dell’orchestra Verdi all’Auditorium, dove hanno riaperto il teatro al pubblico con un direttore e un pianista che non fanno ancora parte dello star system e un programma poco ambizioso ma molto “confortevole”. Il trentottenne direttore polacco Krzysztof Urbanski, con il quarantaquattrenne pianista croato Dejan Lazić, ha proposto tre pezzi del più puro classicismo viennese, incastonando un gioiello mozartiano come il Concerto per pianoforte e orchestra in la maggiore K. 488 fra l’Ouverture del Coriolano (opera 62) e la prima Sinfonia in do maggiore (opera 21) di Beethoven.

Il concerto di Mozart è del 1786 mentre le due opere di Beethoven sono del 1801 e del 1807: i primi due lavori, scritti da due trentenni, appartengono a un’epoca in cui non si era ancora risvegliato il vulcano del romanticismo; nel terzo – la musica di scena per l’omonima tragedia “Coriolano” di Von Collin – cominciano a vibrare i forti sentimenti beethoveniani, di colui che giusto in quel periodo, fra l’aprile del 1807 e l’aprile del 1808, concludeva la stesura della potente Quinta Sinfonia. Molto improprio dunque averla posta all’inizio anziché alla fine del concerto perché inevitabilmente, dopo l’Ouverture, il K. 488 e la Sinfonia si ammosciano, i loro toni si smorzano, ed è un peccato perché sono due opere suggestive in cui si possono scorgere i fremiti che preludono agli anni successivi.

Che dire dell’esecuzione? L’ho apprezzata ed ho ammirato sia la grinta del giovane direttore, sia la lievità, il rigore e la consapevolezza del più maturo pianista, nato sì a Zagabria ma cresciuto, guarda caso, a Salisburgo; forse anche per reazione agli ultimi concerti della Verdi diretti da Flor, che mi avevano lasciato a dir poco perplesso, Urbansky e Lazić mi sono apparsi come una ventata di aria fresca e di positività. Ho trovato molto interessante l’energia rapsodica dei forti chiaroscuri del Coriolano (benché sia rimasta oscurata l’affettuosa melodia intermedia, in mi bemolle maggiore, che racconta i sentimenti della madre e della moglie dell’eroe) e sono rimasto incantato dalla leggerezza, o come dicevo meglio dalla lievità, delle mani di Lazić sul pianoforte nelle fantasmagoriche scale di Mozart. Ma mi è parso degno di attenzione, per il rigore che non ne ha mortificato l’intrinseca tenerezza, anche l’incipit dell’Andante cantabile con moto della Prima Sinfonia di Beethoven, quello straordinario omaggio a Mozart che riprende il tema dell’Andante della Sinfonia in sol minore K. 550.

Finito il concerto, nel commentarlo con l’amico e attento musicofilo Eduardo Szego – che i miei lettori conoscono bene per i suoi sempre acuti e intelligenti interventi in questa rubrica – sono stato raggelato dal suo giudizio totalmente opposto. E così, facendo una operazione del tutto insolita, gli lascio ora la parola ed ascolto le sue ragioni.

***

Sì, in effetti mi è di spiaciuto raggelare la soddisfazione dell’ottimo Paolo Viola, quando ci siamo incontrati fuori sala, subito dopo la fine del concerto. Ma ero io stesso raggelato, perché tutta l’eccitazione con cui siamo entrati in sala dopo così tanta astinenza è stata bloccata da un’esecuzione priva di pathos, di intimismo, oltre che assai fallosa in vari momenti. Devo dire che, a mio parere, l’orchestra non esce bene dal letargo pandemico, almeno a giudicare da questo concerto; sarà certamente meglio in seguito, almeno ce lo auguriamo, visto che aspettiamo da anni che si trovi il buon Direttore (stabile, ma davvero) che la riporti all’ottimo livello in cui la lasciò Chailly 16 anni fa. Se lo merita l’Auditorium, se lo merita Milano, se lo merita il fedele pubblico che stenta ad abbandonarla anche quando verrebbe voglia di farlo.

Ma veniamo al concerto di riapertura, forse c’è stato poco tempo per conoscersi tra direttore, orchestra, e solista, poco tempo per le prove, fors’anche meno di quanto negli ultimi anni sono soliti concedersi gli artisti, i teatri e le orchestre. Gli strumenti a fiato sovrastavano il piano dove cercava di dare il meglio di sé il pianista croato, fino a farne scomparire il suono già di suo senza particolare fascino e con poco intimismo. La prima sinfonia di Beethoven in certi momenti ha rasentato l’irriconoscibilità.

Resta comunque il plauso sincero all’Auditorium per non aver tardato di un attimo la riapertura, secondo solo alla Scala!

***

Grazie anche a te, caro Eduardo. E come vedete “tot capita tot sententiae”, anche a dispetto di chi come me pensa che i giudizi sulle opere d’arte, e in particolare sulla musica e la sua esecuzione, debbano e possano essere rigorosamente obiettivi! Una grande illusione?

O forse – e le due cose potrebbero essere legate – è arrivato anche per me e per questa rubrica il momento di arrendersi e di “tirar giù la claire”, come dice l’amico e direttore di questo giornale, di cui rispetto la grave e dolorosa decisione annunciata oggi, al quale va la mia profonda e sincera gratitudine per avermi offerto l’opportunità di esprimere in totale libertà, e per più di dodici anni (questo è il 490esimo “pezzo”!) sentimenti, opinioni, giudizi. E per avermi obbligato a riflettere e ad approfondire giorno dopo giorno uno dei misteri più affascinanti in cui mi sono imbattuto, quello della creazione, dell’esecuzione e dell’ascolto della grande musica. Un grazie particolare, infine, ai pazienti e generosi lettori che mi hanno seguito per tutto questo tempo con commovente attenzione.

Paolo Viola



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