26 aprile 2016

L’ACCORDO SUGLI SCALI: UNA STORIA, I CONTENUTI


La vicenda degli scali ferroviari costituisce una ferita nella vicenda politico amministrativa di Milano e nel corpo vivo della città. Complessivamente gli scali interessano una superficie di oltre un milione di mq, paragonabile per dimensione a quella di Expo, ma articolata in 7 scali da quelli di maggiori dimensioni di Farini e Romana, a quelli minori di Rogoredo, Greco e Lambrate.

02balducci15FBLa vicenda come sappiamo è iniziata con la proposta di accordi bilaterali oltre 10 anni addietro, ha avuto un primo momento di formalizzazione nel 2007 che ha visto lo sviluppo di trattative fino all’inserimento del PGT promosso dall’amministrazione Moratti nel 2010, una ripresa del negoziato una volta approvato il PGT modificato dalla Giunta Pisapia, che è approdato alla formalizzazione dell’accordo siglato dalla Vicesindaco e Assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris nel luglio 2015 pochi giorni prima di lasciare l’incarico.

Come ho detto più volte si trattava di un buon risultato negoziale per l’Amministrazione che otteneva, nella proposta siglata dalle parti, una riduzione della edificabilità del 34% rispetto a quanto era previsto nel PGT adottato nel 2010, mantenendo l’impegno alla realizzazione di aree verdi per 545.000 mq (oltre il 50% di quelle disponibili), di extra-oneri di 80 milioni di euro per la ricucitura del tessuto urbano nelle due più grandi aree di Romana e di Farini, e di 50 milioni di euro per il potenziamento e la realizzazione di nuove stazioni sulla cintura ferroviaria. L’accordo prevedeva anche la realizzazione di 2600 alloggi di edilizia sociale, prevalentemente concentrati nelle aree di Greco, Lambrate e Rogoredo, l’azzeramento delle previsioni di sviluppo nello scalo di San Cristoforo da destinare integralmente a parco, e l’eliminazione dei binari verso Porta Genova, che avrebbe consentito la ricucitura dei quartieri Savona-Tortona con l’area dei Navigli.

Si trattava quindi di un buon accordo, di un documento di pianificazione che affrontava in modo integrato le problematiche dello sviluppo con quelle del trasporto pubblico, dell’esito di un negoziato decennale, cui hanno lavorato diverse amministrazioni di diverso colore politico del Comune, della Regione assieme alle Ferrovie dello Stato. Un accordo che consentiva rilevanti benefici pubblici e che in fase di pianificazione attuativa avrebbe permesso di affrontare molti dei temi che sono stati sollevati nel dibattito.

Ciò che deve essere chiaro è infatti che l’Accordo si poneva al livello della Pianificazione generale, dal momento che il PGT rimandava all’Accordo l’individuazione dei contenuti di pianificazione generale, inserendo però nelle previsioni quantitative gli oneri aggiuntivi che ho citato più sopra. Si trattava quindi del primo passo di un processo che avrebbe dovuto poi passare alla pianificazione attuativa lasciando ampio margine di discussione e di valutazione sugli aspetti morfologici e funzionali dei diversi interventi, singolarmente e nel loro insieme.

La ratifica avrebbe consentito di fare il primo passo di un percorso che già la città affrontava con notevole ritardo rispetto alle altre città europee con le quali si confronta, da Monaco a Barcellona a Parigi. Una città che si era abituata a tollerare grandi aree di degrado nel suo tessuto, e grandi fratture nella sua permeabilità, con un effetto fortemente deprimente sulla sua qualità spaziale che non è determinata solo da “più verde e meno costruzioni” ma anche dalla permanenza di barriere e aree di abbandono.

La ratifica dell’accordo è finita vittima di una tipica battaglia preelettorale: l’opposizione che in Commissione aveva manifestato solo qualche critica all’Accordo, quando si è resa conto del fatto che la maggioranza appariva indebolita dal dissenso di alcuni consiglieri tra cui il Presidente del Consiglio Comunale e il Presidente della Commissione urbanistica, ha deciso di approfittare dell’assenza di due consiglieri del PD, che avrebbero comunque garantito l’approvazione, per mettere in minoranza il governo della città e poter dimostrare che la Giunta non era stata in grado di approvare una delibera così importante.

Non mi soffermo su quanto è seguito dopo, con le lunghe notti di Consiglio Comunale per riproporre la delibera di ratifica, perché non si è più usciti da quella contrapposizione nella quale il contenuto della decisione è di fatto sparito: basta leggere le centinaia di emendamenti quasi tutti privi di attinenza con l’oggetto dell’accordo per rendersene conto.

Per quanto riguarda le questioni di merito che sono state sollevate nel concitato dibattito, tre mi sembrano degne di attenzione: la limitata presenza di edilizia sociale, la sua concentrazione prevalente nei tre scali più periferici, la necessità di una visione di insieme sul ruolo dei diversi scali come sistema nella città piuttosto che come singole occasioni di sviluppo.

Per quanto riguarda la quota di edilizia sociale, inferiore a quanto previsto negli altri Ambiti di Trasformazione Urbana, essa è l’esito di un negoziato che ha privilegiato altri aspetti: la diminuzione della capacità insediativa complessiva, l’espansione delle quote di verde e gli extra-oneri di 80+50 milioni di euro cui ho fatto cenno prima. Va considerato anche però che la proposta iniziale d’Accordo, pubblicata nel 2009 e salvaguardata dal PGT e quindi posta alla base della rinegoziazione di questa amministrazione, non prevedeva quote di edilizia sociale, come nell’Accordo siglato, ma solo convenzionata ordinaria.

Per quanto riguarda la concentrazione prevalente degli interventi di edilizia sociale in alcuni scali si tratta di una scelta, anch’essa opinabile, che faceva riferimento ad accordi preliminari di FS con Cassa Depositi e Prestiti per la realizzazione degli interventi in comparti unitari. Per quanto riguarda infine la necessità di una discussione approfondita sullo scenario complessivo dell’insieme degli scali, certamente si tratta di un giusto obiettivo che avrebbe potuto comunque essere perseguito anche a valle della approvazione dell’Accordo nel passaggio alla fase attuativa.

Come ho detto ho trovato un accordo già siglato, e certamente questi punti avrebbero potuto essere discussi prima di firmare, procedendo ad alcune modifiche e integrazioni che non ne avrebbero messo in discussione il valore e la sostanza. Resta però una domanda aperta. Valeva la pena buttare a mare anni di elaborazione per contestazioni specifiche che avrebbero potuto essere inserite in fase attuativa o con atti integrativi ? La mia risposta è no.

Le trasformazioni urbane sono processi complessi che durano negli anni, che sono fatti di obiettivi iniziali e adattamenti successivi: pensate solo a come sono cambiati profondamente nel corso dei decenni progetti come il Passante Ferroviario, il Centro Direzionale Garibaldi -Repubblica, il Portello, Bicocca e Bovisa. Azzerare tutto significa dover impiegare ancora almeno due anni per ritornare al punto nel quale le modifiche richieste potranno essere messe in discussione.

 

Alessandro Balducci
Assessore all’Urbanistica, Edilizia Privata, Agricoltura del Comune di Milano

 

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