26 aprile 2016

SCALI FERROVIARI: OLTRE L’APPROCCIO IMMOBILIARE


Milano è una città relativamente piccola, centro di gravità di una delle regioni urbane più complesse e dense di relazioni d’Europa; è caratterizzata da nodi e reti che gestiscono tutte le tipologie di flussi propri di una città con un ruolo determinante a livello nazionale e rilevante dal punto di vista internazionale. Contemporaneamente, questa vivacità del sistema urbano-metropolitano evidenzia contraddizioni profonde: gravi problemi di riequilibrio ambientale, trasformazione e ricomposizione del tessuto sociale ed economico, crisi e saturazione di alcuni importanti filiere produttive e relativi mercati, compreso quello immobiliare.

05monte15FBIl fatto che oggi, a seguito di importanti fenomeni di dismissione, si prospetti la possibilità di ri-attivare e restituire al sistema urbano-metropolitano, aree per 1.250.000 mq. in porzioni pregiate e centrali (senza computare il sito Expo e lo scalo di Segrate), è una occasione straordinaria e dovrebbe stimolare nelle Amministrazioni e nella pubblica opinione riflessioni che spaziano su orizzonti un po’ meno limitati del “qui e ora” e da un approccio di tipo gestionale.

Una condizione che richiede un protagonismo e una capacità propositiva di livello adeguato alla dimensione dei problemi in campo. La risposta dovrebbe coincidere con la costruzione di una visione urbana-metropolitana di lungo respiro e sintonizzata sui principali bisogni, sul dinamismo e le necessità che la sua comunità esprime. È abbastanza contradditorio il fatto che nello stesso momento in cui il Parlamento approva una riforma del Codice degli Appalti che prevede l’istituzione di un processo come il “Debat public” per le grandi infrastrutture, a livello locale, invece, interventi urbanistici di questa rilevanza e impatto non siano corredati da una analoga partecipazione nella costruzione e formazione delle decisioni.

Le aree degli ex scali, per localizzazione, dimensioni, qualità e dotazioni, sono da considerarsi strategiche in virtù del fatto che sono in grado, in funzione delle scelte che su di esse saranno operate, di generare importanti mutamenti con effetti territoriali di vasta scala.

Sarebbe quindi un grave errore, da parte di coloro che si candidano al governo del Comune e della Città Metropolitana, considerare chiusa la partita riproponendo tal quale l’Accordo di Programma (AdP) bocciato nello scorso dicembre dal Consiglio comunale, interpretando quell’episodio come un mero incidente di percorso.

In un precedente intervento su queste pagine sono stati avanzati una serie di quesiti ai quali l’AdP non fornisce adeguate risposte; l’insieme delle questioni irrisolte definisce un quadro nel quale è difficile distinguere in modo chiaro e univoco le stesse controparti dell’Accordo e l’interesse pubblico perseguito. Vorrei qui riprendere due aspetti di quell’intervento; il primo riguarda il fatto che il procedere per frammenti e per parti, ha portato a una sottovalutazione delle potenzialità di quelle aree dal punto di vista della capacità di generare mutamenti e trasformazioni di carattere strategico in relazione alla eccezionale accessibilità di cui esse sono dotate. La seconda questione si riferisce invece alla natura “pubblica” di quelle aree e alle modalità con le quali dovrebbe essere negoziato il loro uso.

L’immagine riportata in calce, consente una prima banale osservazione relativa al fatto che le aree coinvolte nell’AdP risultano accessibili e connesse a tutte le direttrici del trasporto pubblico su ferro da qualsiasi punto della città e da quella che si definisce regione urbana milanese. Quindi è evidente che queste aree, oltre a portare in dote straordinari valori di rendita urbana, se opportunamente pianificate con funzioni qualificate (in particolari di livello sovracomunale) potrebbero essere in grado di spostare quote importanti di mobilità sul trasporto pubblico, con effetti positivi sull’intero sistema facilmente immaginabili.

Politici e urbanisti illuminati, da anni auspicano per Roma una cura del Ferro per sottrarre la città alla condizione di selvaggia e penalizzante congestione della mobilità; cura difficile da affrontare per gli enormi costi, considerati proibitivi in relazione alle risorse disponibili. Al contrario di Roma, Milano questi investimenti li ha affrontati da tempo e risulta dotata di un sistema di infrastrutture tanto formidabile quanto scarsamente valorizzato dalle scelte urbanistiche (si pensi per esempio allo scarso utilizzo delle tratte urbane del Passante ferroviario, di cui molti milanesi hanno scoperto l’esistenza solo in occasione di Expo2015). Qualsiasi ipotesi di riutilizzo di quelle aree non può non tenerne conto. È necessario mettere in sintonia gli usi e funzioni previste con le risorse esistenti. Non farlo, rappresenterebbe uno spreco e una gestione irresponsabile della città.

La negoziazione dell’accordo sul riuso degli scali, nelle sue diverse versioni, è stato fortemente condizionato dalla pressione svolta dalle società del gruppo RFI per la massima valorizzazione immobiliare di quelle stesse aree. È giusto ricordare che queste sono state a suo tempo acquisite con risorse collettive (pubbliche) per uno specifico scopo, oggi sostanzialmente decaduto. Il fatto che il gestore del servizio per il quale quelle aree erano state acquisite abbia nel frattempo cambiato il proprio profilo giuridico introduce una complicazione (o una argomentazione) di carattere tecnico che sposta il piano del discorso (non si discute: il valore di quelle aree è stato inserito nei bilanci della società).

In realtà questa argomentazione elude il nocciolo della questione: ovvero, quante volte i cittadini (milanesi e non) dovranno pagare per disporre di quelle aree? Qui non stiamo parlando di questioni tecniche relative alla formazione di un bilancio ma di un problema la cui soluzione risiede esclusivamente sul piano delle scelte politiche. È un tema rispetto al quale le Amministrazioni locali devono attrezzarsi e confrontarsi anche con il Governo centrale poiché investe una questione generale relativa a tutti quei demani (ferrovie, caserme, ospedali) che in ragione di dismissioni della funzione di scopo per cui erano stati costituiti, oggi rivendicano pretese immobiliari condizionando le scelte urbanistiche delle stesse amministrazioni.

A proposito delle scelte urbanistiche, l’esperienza storica degli ultimi anni (dall’assessore Lupi in poi) ha visto l’Amministrazione comunale operare sostanzialmente con un profilo di gestione delle trasformazioni urbanistiche (male con le amministrazioni di centrodestra, molto bene con l’amministrazione uscente).

Questo approccio deve essere necessariamente aggiornato, proponendo un ruolo diverso dell’amministrazione e attualizzando un sistema che oggi non regge e che evidenzia i suoi limiti anche nella crisi del mercato immobiliare e nel fallimento o nello scarso successo di numerosi interventi realizzati anche in tempi recenti. Assumendo che la città si realizza anche e soprattutto con il contributo e il ruolo attivo dei soggetti privati, la regia deve però essere pubblica e in grado di ancorarne la dialettica a uno schema e una strategia territoriale che Milano non ha da tempo

L’idea del “Fiume verde” lanciata dal Stefano Boeri compie un importante passo in questa direzione. Anche se si tratta di un progetto che dovrà necessariamente evolversi nei suoi dettagli, sviluppando sia gli elementi costitutivi che i percorsi realizzativi, esprime valori di grande interesse  in quanto, con le stesse volumetrie consentite dall’AdP, ne declina l’utilizzo secondo uno schema e una visione territoriale estremamente attuali e in sintonia con le esigenze dell’area metropolitana milanese.

Dal mio punto di vista ci sono tre aspetti principali che lo qualificano:

– il primo è dato dalla chiarezza e dalla leggibilità, attraverso gli obiettivi di rigenerazione urbana e di riequilibrio ambientale, del patto di utilità sociale e collettivo che sostiene lo “scambio di funzioni” e l’idea di riuso dei vecchi scali;

– il secondo aspetto è dato dall’assumere una dimensione e uno sguardo di tipo metropolitano che valorizza e mette a sistema le risorse urbane, ambientali e infrastrutturali esistenti in antitesi a un approccio meramente immobiliare e introflesso come quello rappresentato nell’ultima versione dell’AdP;

– il terzo aspetto si identifica nella proposta di inserire funzioni qualificate e di servizio nelle aree di maggior pregio che giustificherebbe i grandi valori di rendita messi in gioco.

Questo progetto dimostra che ci sono altre strade percorribili. Strade che potrebbero anche arricchirsi con ipotesi nuove e ancora più interessanti. L’importante è che ci si rimetta al lavoro per dare a Milano opzioni credibili, sostenibili e realizzabili. L’importante è non chiuderla qui e sprecare una grande occasione.

Michele M. Monte

 

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