20 settembre 2016

SCALI FERROVIARI: IL MEGLIO È NEMICO DEL BENE

Non buttare via il lavoro fatto


Le rituali (e banali) fibrillazioni politiche da scadenza di legislatura hanno impedito l’approvazione dell’Accordo di Programma per la trasformazione degli scali ferroviari dismessi. Un Accordo sottoscritto nel novembre 2015 da Comune, Regione e Ferrovie dello Stato e giunto in Consiglio Comunale una storia lunga e articolata: promosso nel 2007, sottoscritto una prima volta nel 2009 (Sindaco Moratti), si interrompe nel 2010 e viene aggiornato nel novembre 2012 in coerenza con la nuova impostazione del PGT.

07oliva30fbUno sviluppo urbanistico essenzialmente affidato a dotazioni utili per la città (servizi, verde, edilizia sociale), messo in relazione con la riqualificazione del sistema ferroviario e la sua strategica utilizzazione per il trasporto collettivo.

I 120 ettari dei sette scali ferroviari, l’ultima occasione (assieme alle Caserme e all’area del post-Expo) di grande trasformazione urbana per la città, rappresentano un enorme potenziale di rigenerazione, dislocato strategicamente lungo il semianello ferroviario che racchiude la città compatta della prima metà del Novecento. Le previsioni dell’Accordo di Programma riguardavano in particolare i carichi urbanistici, ridotti in misura assai significativa rispetto alla prima stesura e soprattutto alla prima versione del PGT adottato nel 2010 (-33%), un articolato mix di funzioni urbane, una significativa presenza di Edilizia residenziale sociale con 2.600 alloggi “prioritari” oggetto di uno studio di fattibilità avviato con Cassa Depositi e Prestiti, un uso pubblico del suolo al 50%, nuove connessioni ciclabili e pedonali e nuove regole generali per la successiva fase di pianificazione attuativa, delineate anche sulla base di un percorso di ascolto della cittadinanza (coordinato da Politecnico).

Oltre a ciò, la riqualificazione delle stazioni esistenti (Romana, Greco, San Cristoforo, Lancetti) e la realizzazione di nuove stazioni del Sistema ferroviario sulla cintura ferroviaria (Tibaldi, Dergano, Istria). Un programma quindi molto concreto, nel quale gli interventi prioritari del trasporto ferroviario suburbano e regionale (50 milioni di €) erano affidati a plusvalenze attendibili, mentre i successivi interventi di potenziamento ferroviario erano collegati al maturare di successive plusvalenze; raro caso di un programma urbanistico che si misura con il tema fondamentale delle risorse. Un Accordo costruito quindi con concretezza e serietà dal Vice Sindaco De Cesaris, frutto di anni di negoziazione e di un impegnativo lavoro degli Uffici comunali, nel quale erano presenti tutti i buoni ingredienti della rigenerazione urbana: consistenti ricadute pubbliche, integrazione con i temi della mobilità e delle infrastrutture, potenziamento del nodo ferroviario della città.

In campagna elettorale, l’allora candidato Sindaco Sala aveva dichiarato di voler riadottare la delibera non approvata dal precedente Consiglio comunale. Il Sindaco Sala e l’Assessore Maran hanno invece deciso un percorso differente: la predisposizione di nuove Linee guida da portare in Consiglio comunale e approvare “in tempi brevi”. La nuova Giunta ha evidentemente voluto introdurre una discontinuità con l’Amministrazione precedente: ma perché cambiare un accordo già definito con tanto contenuti positivi? Di quali nuovi interessi bisogna tenere conto? E quali diverse prospettive per la città si sono nel frattempo delineate?

Riaprire il procedimento comporta tre rischi significativi, di tempo e di contenuti.

I tempi sono fondamentali per i ritmi di trasformazione della città. La riapertura del procedimento, anche trascurando eventuali ricorsi, farà perdere tempo prezioso, con rischiosi passaggi procedurali che potrebbero peraltro portare alla necessità di aggiornare la VAS; inoltre spostando l’attuazione di almeno due/tre anni si esclude ogni realistica possibilità di chiudere l’operazione entro il mandato amministrativo; dilapidando così il patrimonio di attenzione, interesse e credibilità generato dall’esperienza di Expo. E’ questo che la città chiede?

Un’ulteriore riduzione dei carichi insediativi, già significativamente ridimensionati, non appare fattibile, pena la perdita di consistenti ricadute pubbliche. Mentre i contenuti qualitativi (dotazioni di ERS e di servizi) avrebbero potuto invece essere perfezionati prima dell’attuazione delle trasformazioni già sulla base dell’Accordo sottoscritto, con la costruzione di un disegno organico delle dotazioni e delle relazioni fra scali e città. Le nuove Linee Guida potevano infatti essere costruite fra la ratifica dell’Accordo e la sua attuazione, lasciando un tempo ragionevole per la loro formulazione.

Il degrado delle aree e i rischi per la sicurezza dei cittadini avanzano inesorabilmente e sfumano le opportunità di virtuosi e rivitalizzanti riusi temporanei; l’interruzione dell’accordo ha di fatto bloccato un Protocollo d’intesa per promuovere l’uso temporaneo di porzioni degli scali (Farini, Romana e Genova); mentre nel frattempo, il format del Mercato metropolitano, un’operazione di successo dell’Expo in città, trasloca a Londra, in una vecchia fabbrica a sud del Tamigi.

Concludendo, non vorrei che alla fine di un lungo e faticoso percorso, il presunto meglio (tutto ancora da definire) fosse nemico del bene, come spesso accade nelle vicende urbanistiche nostrane.

Federico Oliva
Professore di Urbanistica, Politecnico di Milano

 

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