17 dicembre 2019

SENTENZA SUGLI SCALI E FISCALITÀ PUBBLICA

Perché fare sconti?


La questione degli oneri di urbanizzazione nel caso degli scali ferroviari milanesi è fondamentale per un Comune come Milano che ha grandi necessità finanziarie per far fronte sia alla riduzione dei trasferimenti dallo Stato sia per disporre di nuove risorse necessarie alla soddisfazione di bisogni pregressi, in particolare per l'edilizia sociale. Rinunciare alla possibilità di applicare quanto previsto nel DL 12.9.2014 n. 133, è voler perdere una buona occasione per rimpinguare le casse comunali.

camagni

La sentenza del TAR della Lombardia sull’Accordo di Programma Scali Ferroviari, al di là delle perplessità e delle preoccupazioni che ha sollevato in termini generali, sul tema specifico degli oneri urbanistici (e dei famosi 50 milioni graziosamente offerti al Comune) se la cava in modo assai superficiale (e a mio avviso fuorviante) in sole sette righe: “il contributo straordinario” dovuto a norma del Testo Unico dell’Edilizia per le trasformazioni urbane “in variante urbanistica o con cambio di destinazione d’uso1non risulta applicabile alla fattispecie2.

Come se l’obiettivo generale del “necessario e doveroso perseguimento dell’interesse pubblico” che è implicito nell’utilizzo dell’Accordo di Programma riguardasse soltanto la fase di concezione e realizzazione del programma (peraltro mai valutata in questo senso: che cosa ci guadagna la città?) e non la fase di distribuzione delle plusvalenze fra il partner pubblico, cioè il Comune, e i partner privati.

Sette righe sono poche e possiamo analizzarle attentamente. La non applicabilità del contributo straordinario – che aumenterebbe le risorse a disposizione del Comune per altri interventi di pianificazione e progettazione urbanistica, sottraendole alla pura acquisizione privatistica – deriva secondo la sentenza da tre elementi:

  1. La “natura non auto-applicativa della norma” nazionale. Il giudizio appare improprio, se si tiene conto che il contributo straordinario è stato introdotto nel Testo Unico dell’edilizia nel 2014 con legge statale, alla quale spetta stabilire i princìpi fondamentali che le leggi regionali devono rispettare. Le norme statali sul contributo straordinario hanno natura di norme di principio poiché innovano profondamente la giustificazione degli oneri dovuti per le trasformazioni urbanistiche: alla giustificazione del concorso al costo delle infrastrutture e dei servizi per rendere utilizzabili gli immobili, propria degli oneri tradizionali, si aggiunge, col contributo straordinario, la nuova giustificazione della compartecipazione alla realizzazione di un plusvalore che è generato, in linea con la teoria economica classica della rendita fondiaria, dallo “sviluppo generale della società”, e dunque dall’insieme delle iniziative e degli investimenti pubblici e privati. Pertanto le norme statali sul contributo straordinario sono direttamente applicabili, anche senza norme regionali di dettaglio.

E appare improprio anche il richiamo esplicito alla sentenza del TAR del Veneto 692/2017 che imputa alla norma nazionale di non raggiungere “un livello di dettaglio sufficiente ad essere auto-applicativa”: a me sembra che, per essere una legge di principio, il suo dettaglio sia già assai ampio, indicando precisamente i casi di applicazione, la imposizione minima del 50% dei plusvalori, le modalità di pagamento da parte dei privati e di utilizzo delle risorse da parte dei Comuni. Questo si evince anche dalla sentenza stessa del TAR sul caso specifico del Comune veneto, in cui è bastata una semplice delibera consiliare comunale di applicazione a una fattispecie locale perché la imposizione del contributo straordinario fosse giudicata “corretta” e in linea con la Costituzione. Inoltre la norma nazionale esplicitamente indica che le legislazioni regionali possono intervenire sulla materia solo “con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d-ter”, e cioè sulla dimensione del contributo e sul suo calcolo, ma non sul primo periodo, e cioè sull’innovazione di principio;

  1. la “mancata adozione dei provvedimenti attuativi previsti dalla stessa norma”. Ma la norma nazionale non subordina la propria applicabilità ad atti attuativi della Regione o del Comune. Essa fa salva l’autonomia della Regione e del Comune che, nei limiti dei principi da essa stabiliti, possono articolare la disciplina di dettaglio del contributo. La Regione Lombardia non ha inteso esercitare la propria autonomia legislativa sul tema specifico e anche il Comune di Milano si è assunto la responsabilità di non regolamentare il versamento del contributo straordinario, sia in via generale e sia allorché, all’interno dell’Accordo di Programma, ha accettato oneri inferiori al dettato di legge. Basta questa “disattenzione” per vanificare il rispetto di una legge nazionale di principi? È così facile in Italia disattendere leggi nazionali facendo finta di niente? Le leggi statali di principio nelle materie di competenza regionale sono vere leggi che tutti devono osservare o sono semplici suggerimenti che possono anche essere vanificati dalle Regioni e dai Comuni con la semplice inerzia (si veda il mio articolo del 5 febbraio 2019)?

La Regione Lombardia nella sua legge urbanistica 12/2005 (integrata con successive modifiche fino ad oggi, e cioè dopo l’introduzione delle nuove disposizioni nazionali nel 2014) continua ad affermare all’art. 103 che l’art. 16 (complessivo) del TU (Testo Unico) nazionale sull’edilizia non si applica nella Regione, per la preesistenza di diverse disposizioni locali sugli oneri. Se questa indicazione era corretta nel 2005, ed è corretta ancora oggi ma solo per quanto concerne gli oneri tradizionali3, essa non vale per i nuovi oneri imposti dal contributo straordinario. Ma la dizione impropria della legge regionale autorizza l’equivoco, ancora oggi assai presente nella nostra regione, di quanti – professionisti, amministratori pubblici o finanche professori universitari – ritengono per superficialità, ignoranza o tornaconto che il contributo nazionale qui non vada pagato;

  1. la non assimilabilità” degli Ambiti di Trasformazione Urbana (gli ATU milanesi) “alle varianti urbanistiche parziali, cui si riferisce la disposizione” nazionale. Al contrario, si può rilevare che quest’ultima si applica a interventi “su aree” oltre che “su immobili” e che l’intervento sugli scali è comunque parziale e non generale. Semmai la grande dimensione, pur parziale, della somma degli ATU unitariamente abbracciati dall’Accordo di Programma avrebbe dovuto impedire che la sua pianificazione fosse sottratta alla diretta competenza del PGT.

Mi attardo su questa disamina non a caso: siamo in presenza di un caso eclatante, di importanza fondamentale per la città (le ultime aree libere nel comune), ma ben altre trasformazioni sono alle porte, cui il dettato di legge nazionale si applicherebbe ancora più direttamente se non esistesse il rischio di ulteriori “disattenzioni”, amministrative e regolamentari locali.

Il Sindaco Sala ha parlato, credibilmente e con una valutazione cautamente positiva, di 13 miliardi di investimenti immobiliari attesi su Milano nei prossimi anni, anche in relazione alle Olimpiadi invernali: un business 6 volte maggiore di quello degli scali ferroviari. La Milano di oggi – “modello” per l’Italia, città globale, nel mirino, quasi unica in Italia, della finanza immobiliare internazionale, porta di entrata alla terza macroregione più ricca d’Europa – è pronta a lasciare briglia sciolta a nuove costruzioni – perché? per chi? e perché sempre solo nel comune centrale? – senza imporre una compartecipazione pubblica agli enormi plusvalori che la città contribuisce a generare? Accontentandosi degli oneri tradizionali, che ormai hanno una dimensione irrisoria4, e di qualche mancia?

E dunque accodandosi, sul tema della fiscalità urbanistica, ai paradisi fiscali (patria, a quanto sembra, di molte società immobiliari internazionali o di loro affiliate, intrinsecamente non-trasparenti)? Caro Sindaco, la Germania chiede ai developer il 30% del valore di mercato del costruito (non il nostro 3-5%), per realizzare, oltre al resto, vera edilizia sociale pubblica; la Francia chiede 3-4 volte le nostre cifre per le grandi trasformazioni, con accordi pubblico/privato in cui la parte pubblica sa farsi rispettare, e sta realizzando linee metropolitane e servizi di quartiere in tutte le città medie e medio-grandi del paese. E Milano invece sembra che abbia avuto bisogno di regalare volumetrie edilizie in zona Città Studi per rifare, pare male, il fondo della piscina Ponzio! Le assicuro che non c’è bisogno che Milano faccia sconti – e che sconti! – per garantire la sua trasformazione.

Roberto Camagni

Professore emerito del Politecnico di Milano

1art. 16, comma 4, d-ter, DPR 380/2001

2punto 8.5 della Sentenza

3Questo è quanto mi insegna l’amico giurista Alberto Roccella, che voglio qui ringraziare

4In regione gli oneri tradizionali sono stati anche progressivamente ridotti. Si veda la recentissima Proposta di Progetto di Legge sulla rigenerazione urbana e territoriale della Giunta della Regione Lombardia del giugno 2019 n. 1741, oggi approvata e integrata nella l.r. 12/2005. Ho spesso ricordato la irrazionalità di normative di incentivazione che riducono oneri fiscali già limitatissimi, e dunque con effetto incentivante quasi nullo (ma devastanti per la finanza dei comuni). Gli oneri dovrebbero essere invece moltiplicati, e ridotti solo in casi di accertato vantaggio pubblico nella trasformazione.



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  1. Cesare MocchiLa norma statale sul versamento del 50% dell'incremento di valore è senza senso (perché mai si dovrebbe applicare solo alle varianti di piano regolatore e non agli incrementi di valore generati dal piano regolatore stesso?) e bene ha fatto il TAR a ricordare ancora una volta che in Lombardia non si applica (c'è chi non l'ha ancora capito). Altro tema è quello della fiscalità urbanistica, che effettivamente richiederebbe una revisione complessiva, fatta però su ben altri principi. E spero che in quell'occasione la norma statale citata venga cancellata (o perlomeno profondamente rivista)
    18 dicembre 2019 • 08:08Rispondi
    • Roberto CamagniDisattendere le leggi nazionali è uno sport nazionale, fra i più deleteri come ben sappiamo, anche se l'istigazione proviene dalla Regione Lombardia (o dall'Emilia-Romagna, che sulla materia la segue da vicino). Mi aspetterei ben altra risposta dai tribunali amministrativi, anche se il quesito non è ancora stato loro posto in modo diretto. Concordo invece sulla irragionevolezza della distinzione fra plusvalori consentiti da un piano e quelli consentiti da una variante: ma quello della legge è stato un primo passo, benvenuto in un'ottica di bene collettivo, che oltretutto configura una condizione win-win fra pubblico e privato laddove obbliga il comune a reimmettere le risorse ottenute nel circuito della domanda di opere edilizie.
      19 dicembre 2019 • 19:40
  2. Sergio BrennaSono stato promotore e finanziatore del ricorso al TAR da parte di alcuni cittadini residenti ai margini degli ex scali ferroviari milanesi contro l'Accordo di programma tra Comune e FS/Sistemi Urbani per il loro riuso edificatorio. Concordo totalmente con le considerazioni di Camagni sulla sentenza, ma devo ricordare che i cittadini possono ricorrere solo su argomenti di cui si dimostri "l'interesse legittimo" a farlo in quanto agenti sui loro interessi diretti. Abbiamo quindi necessariamente dovuto limitarci agli aspetti di carenza degli standard di spazi pubblici che con la loro carenza avrebbero fatto sì che i nuovi abitanti/utenti insediati finissero per gravare su quelli dei quartieri circostanti e sulle illegittimità procedurali di pubblicazione degli atti impedenti la facoltà di fare osservazioni al riguardo. Contrariamente ad altri ricorsi la legittimazione a ricorrere è stata pacificamente ammessa, anche se poi le doglianze sono state rigettate nel merito. Stiamo valutando la possibilità di ricorrere in appello al Consiglio di Stato entro i primi di febbraio prossimo, stante la superficialità delle motivazioni di merito nel rigetto. Occorre però trovare nuovi soggetti disposti a farsi carico del costo economico di tale ricorso da parte dei medesimi cittadini sui medesimi argomenti già sollevati in primo grado di giudizio. Non è, quindi, né giuridicamente possibile né - ove lo fosse - probabilmente sostenibile la legittimazione a ricorrere sull'applicazione o meno del contributo straordinario.
    18 dicembre 2019 • 10:35Rispondi
  3. Gregorio PraderioIl tema della fiscalità urbanistica ha una sua complessità (IMU sui terreni fabbricabili, tassazione delle plusvalenze, ecc.) che a mio parere non può essere ridotto al solo tema "oneri", come avevo cercato di argomentare in un mio precedente articolo https://www.arcipelagomilano.org/archives/47967. Comunque, l'importante è che ci sia certezza nel tempo sulla fiscalità complessiva, perché questa può essere facilmente riassorbita dai developer nel prezzo dei terreni (è un costo preventivo che si può dedurre). E' quando varia troppo, troppo di frequente o in modo troppo soggetto alla discrezionalità amministrativa che nascono i problemi, perché si rischia di favorire la rendita e penalizzare lo sviluppo.
    18 dicembre 2019 • 14:02Rispondi
  4. ugo targettiCondivido pienamente l’articolo di Roberto Camagni. In un articolo del 5 ottobre 2016 calcolavo che il margine di ricavo dell’operazione Scali ammontasse a 1.180 milioni. L’ordine di grandezza corrisponde alle stime di Gabriele Mariani citato da Battisti in questo stesso numero di Arcipelgomilano. Poiché all’epoca l’Adp non era stato ancora siglato, proponevo agli amministratori di Milano di costituire una società mista Comune – FS Sistemi urbani per la gestione dell’operazione e la ripartizione dei profitti, dal momento che le aree di proprietà di FS erano pubbliche e con destinazione pubblica. Per mio difetto non facevo riferimento all’articolo 16.4.d.ter del DPR 380 (introdotto dalla legge 164 del 2014) che prevede un contributo al comune non inferiore al 50% del maggior valore determinato dalle varianti allo strumento urbanistico, ma la sostanza non sarebbe cambiata, ovvero la partecipazione del Comune alle plusvalenze immobiliari dell’operazione. Ora mi chiedo perché mai l’amministrazione di Milano si rifiuti di applicare una legge dello Stato che porterebbe notevoli risorse al Comune. Poiché escludo ogni connivenza illegittima (ho fiducia nell’onestà degli amministratori di Milano) penso che le ragioni siano due. La prima riguarda la volontà di non scontrarsi con lo Stato proprietario di FS Sistemi urbani ritenendo essenziale per il Comune un buon rapporto con il Governo; in tal senso la sentenza del TAR che mi pare assai debole sotto il profilo giuridico, è evidentemente “politica”. La seconda ragione che immagino determini la scelta dell’amministrazione è il timore che un eccessivo carico di oneri freni gli investimenti privati nell’operazione. In effetti l’applicazione della norma all’inizio dell’operazione può costituire un deterrente data la aleatorietà intrinseca delle operazioni immobiliari. Bisognerebbe invece applicare il prelievo agli atti conclusivi delle operazioni immobiliari (collocamento sul mercato del costruito) quando costi e ricavi sono certi. In tal senso una normativa regionale sarebbe stata utile, come sarebbe utile modulare il prelievo in ragione delle condizioni economiche del contesto. La Regione invece ha deciso di non regolare con propria normativa la legge dello Stato per una chiara scelta politica, in linea con la recente legge sulla rigenerazione, cioè incentivare il ciclo edilizio a spese delle finanze comunali, indipendentemente dalle diverse condizioni del mercato immobiliare (vedi sulla nuova legge regionale sulla rigenerazione urbana l’articolo di Serena Righini in questo numero e il mio articolo nel numero dell’ 8 dicembre). Anche in questo caso si dimostra l’incapacità della regione di governare le differenze territoriali. Un prelievo del 50% del maggior valore determinato dalla variante di PGT in condizioni di mercato marginale (per esempio un’area industriale dismessa in Val Trompia) può effettivamente disincentivare l’investimento. Non altrettanto avviene nel caso degli scali ferroviari di Milano dove un margine di mezzo miliardo anziché di un miliardo remunererebbe comunque ampiamente i capitali investiti. La scelta di non applicare l’articolo 16 del DPR 380 all’AdP per gli Scali ferroviari ha risvolti rilevantissimi nell’attuazione del “nuovo” PGT che in realtà è una variante generale al PGT vigente e dunque determina le condizioni di applicazione del DPR, quanto meno laddove sono previste operazioni di concentrazione o rigenerazione rilevanti. Rinunciare alla quota di plusvalenze per tutte le future operazioni di attuazione del PGT è una decisione pesante. Una risposta alle domande poste da ARCIPELAGOMILANO gli amministratori di Milano dovrebbero proprio darla.
    19 dicembre 2019 • 12:55Rispondi
  5. Michele SacerdotiNon solo la Regione ma anche il Comune nel suo ultimo PGT fa uno sconto sugli standard urbanistici del 40% per gli interventi negli Ambiti di Rigenezaione Urbana e negli Ambiti di Rigenerazione Ambientale, e quindi in tutte le aree periferiche. Ne ho parlato nel mio articolo sulle mie osservazioni al PGT. Questa è stata respinta in quanto è ritenuto un incentivo alla rigenerazione del patrimonio esistente. La legge regionale sulla rigenerazione. La Regione nella legge sulla rigenerazione urbana concere poi un aumento fino al 20% delle volumetrie in deroga a tutte le norme dei PGT dei Comuni per tutti gli interventi che perseguono una serie di finalità molto ampio, c'è addirittura compresa la tutela e restauro degli immobili di interesse storicoartistico ai sensi del d.lgs. 42/2004 ovvero degli immobili espressamente dichiarati come di valenza storico documentale dal PGT comunale. Proprio quelli che non dovrebbero essere ampliati !
    19 dicembre 2019 • 15:50Rispondi
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