7 giugno 2017
Il Sogno di una notte di mezza estate di George Balanchine e Il lago dei cigni di Aleksej Ratmanskij, due capolavori del XX e del XIX secolo, saranno rappresentati uno dopo l’altro al Teatro alla Scala di Milano.
Forse due balletti di repertorio da provare e inscenare così ravvicinati per la compagnia sono un osso duro, appena prima dell’estate e dopo l’intera stagione, con solo un’ultima produzione autunnale – Onegin di John Cranko – prima della chiusura. Ma se si guarda al di là delle Alpi e dell’Oceano Atlantico, accavallare balletti di repertorio è prassi comune per i maggiori teatri che offrono una programmazione serrata e quasi ininterrotta.
Identificare il Sogno di Balanchine e il Lago di Čajkovskij e Petipa riallestito in filologico da Ratmanskij entrambi con la stessa etichetta di “repertorio” non rende giustizia al lavoro nelle sale prove che la compagnia deve fare con i maîtres per la rappresentazione. Infatti, si tratta di stili coreici completamente differenti e drammaturgie opposte e complementari.
Dal «massimo del riso» per il Sogno di una notte di mezza estate di Balanchine tratto dall’omonima commedia di Shakespeare al «massimo della sventura» raccontata nella fiaba del folklore dell’Europa centrale e orientale, che è divenuta il balletto simbolo della danza classica in sé nella cultura pop non di settore.
C’è una forte dicotomia drammaturgica tra i balletti, che si può ben esemplificare con queste due espressioni «massimo del riso» e «massimo della sventura» prese a prestito dalla drammaturgia greca classica, che ha codificato la tragedia e la commedia distinguendone i tratti nettissimamente. Espressione e sentimento sono le coordinate per navigare nel mare greco del teatro. Questi due elementi Isadora Duncan ha voluto recuperare nella sua rottura con il balletto classico e nella creazione di una nuova danza ‘libera’ e ‘pura’.
Nel Sogno di Balanchine la vicenda mescola mitologia classica, mitologia celtica e humour inglese tutto è brillante e leggero: la lite tra i coniugi del bosco fatato, gli inseguimenti tra le coppie umane di amanti, la burla di Oberon e i pasticci dell’elfo Puck. Balanchine, profondo e attento lettore di Shakespeare, rende con leggerezza una danza difficile fatta di velocità e brillantezze delle punte e del basso gamba, e di complesse dinamiche e figure dei passi a due. Balanchine rende davvero la spensieratezza di Shakespeare, che diverte oggi come forse solo il comico latino Plauto riesce ancora a fare.
Tragedia senza speranza di risoluzione se non nella morte è la fiaba dell’amore impossibile di un principe per la ragazza-cigno. Una fiaba antichissima che affonda le proprie radici nella tradizione folklorica slava e germanica, che nel Lago dei cigni di Čajkovskij coreografato da Marius Petipa e Lev Ivanov trova una sublimazione e un nuovo archetipo per future revisioni e rimaneggiamenti.
La versione di Ratmanskij si pone l’obiettivo di ricostruire la versione danzata nel 1895 da Pierina Legnani al Teatro Imperiale di San Pietroburgo, oggi Teatro Mariinskij. La tecnica fa un balzo indietro di cento anni per tornare quella italiana di Enrico Cecchetti che ha creato i grandi danzatori della Russia zarina. Ma la drammaturgia – a parte il personaggio comico del precettore brillo nella festa dell’atto I – resta quella della tragedia greca classica che culmina con il trionfo della morte, catarsi offerta agli spettatori.
Domenico Giuseppe Muscianisi
Foto dall’Archivio Isadora Duncan: Isadora Duncan nel 1903 nel balletto «Bacchanale» presso il Teatro di Dioniso all’Acropoli di Atene.
questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e di Chiara Di Paola