12 luglio 2016

sipario – VITTORIA VALERIO E CLAUDIO COVIELLO ESPRESSIONISTI NEL LAGO VINTAGE DI RATMANSKIJ


Teatro alla Scala di Milano, recita del 4 luglio 2016

Il Lago dei cigni Balletto fantastico in tre atti e quattro scene. Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Libretto di Vladimir Petrovič Begičev e Vasilij Fëdorovič Gel’cer. Coreografia di Marius Petipa (scene 1, 3) e Lev Ivanov (scene 2, 4), riallestita e integrata da Aleksej Ratmanskij. Scene e costumi di Jérôme Kaplan. Luci di Martin Gebhardt. Nuova produzione del Teatro alla Scala, coprodotta con l’Opernhaus Zürich.
Vittoria Valerio (Odette / Odile), Claudio Coviello (Siegfried), Alessandro Grillo (Rothbart), Daniela Siegrist (Regina madre), Andrea Pujatti (Wolfgang, il precettore), Marco Agostino (Benno, il migliore amico di Siegfried), Pas de trois della scena 1: Martina Arduino, Chiara Fiandra, Marco Agostino. Piccoli cigni: Daniela Cavalleri, Lusymay Di Stefano, Christelle Cennerelli, Agnese Di Clemente. Grandi cigni: Francesca Podini, Virna Toppi, Alessandra Vassallo, Maria Celeste Losa. Cigni solisti: Virna Toppi e Alessandra Vassallo. Danza spagnola: Paola Giovenzana, Giulia Lunardi, Edoardo Caporaletti, Emanuele Cazzato. Coppia ungherese: Maria Celeste Losa e Mick Zeni.
Corpo di ballo del Teatro alla Scala di Milano diretto da Mauro Bigonzetti. Allievi della Scuola di ballo dell’Accademia Teatro alla Scala diretta da Frédéric Olivieri. Orchestra del Teatro alla Scala, direttore: Michail Jurovskij.

 

sipario26FBDal Lago dei cigni di Ratmanskij riemerge la storia, intesa come storia della danza, danza storica, sentimento antico, un’operazione filologico-interpretativa che vuole offrire allo spettatore di oggi un’occasione per sentirsi per una sera (o almeno provarci) pubblico zarista di fine Ottocento. Il riallestimento di Ratmanskij rientra pienamente nell’attuale corrente culturale che ‘sperimenta’ tornando indietro a riscoprire il passato. Non è, tuttavia, una mera operazione intellettuale: interpreta e cerca di dare soddisfazione a un bisogno di antico, o di vintage, che la società sente.

Il corpo di ballo della Teatro alla Scala, con i suoi ventiquattro cigni, completo degli uomini nelle scene 1 e 3, è stato il portabandiera del senso dell’antico: come ho già scritto, è stato sempre partecipe e ‘umanizzato’ in senso femminile dalla treccia sciolta, per esempio nel primo incontro con i cacciatori, una scena in cui i cigni spaventati e poi riconoscenti rendono pienamente quella che è la teatralità ottocentesca. Ottocentesca, ma manieristico per il pubblico odierno è la presenza del precettore ubriaco e di un Rothbart un po’ troppo marionetta.

La tecnica Cecchetti fa il suo ritorno al Piermarini, mostrando nella velocità e modalità di esecuzione dei salti, simili – se non uguali – per uomini e donne, il differente studio delle danzatrici di oggi: saggio particolare di questo sono stati la variazione costantemente brillante di Martina Arduino e la tecnica di partnering Marco Agostino con Arduino e Chiara Fiandra all’interno del pas de trois dell’atto I scena 1, specie nell’accompagnamento delle pirouettes che avviene con un solo braccio che tracci e sostenga l’asse portante della danzatrice. Importanti ricostruzioni sono state le danze di carattere, elemento chiave della poetica di Petipa, cui teneva molto in tutti i suoi balletti: coppia tecnica, musicale e ritmica quella di Mick Zeni e Maria Celeste Losa, protagonista nella csárdás ungherese; nonché l’insieme dei giovani interpreti della mazurka della danza russa.

Gli interpreti principali Vittoria Valerio e Claudio Coviello sono una coppia consolidata, protagonista già in molto recite delle scorse stagioni, tra cui la Bella addormentata nel bosco riallestita in filologico da Aleksej Ratmanskij: due danzatori molto tecnici e interpreti ‘discreti’. Coviello è perfettamente addentro al ruolo dei principi ‘tristi’, già Albrecht dell’atto II di Giselle è particolarmente congeniale alla sua sensibilità, mostra in Siegfried una padronanza e pienezza della scena. Purtroppo, il primo ballerino in una ricostruzione del ballo ottocentesco è fortemente penalizzato, perché il suo unico momento di danza è circoscritto al passo a due del Cigno nero nell’atto II, eseguito con sicurezza e forza, come richiesto; mentre nel resto delle scene il ruolo risulta più mimico e da collante emotivo delle scene, che coreico.

Da un punto di vista dei danzatori, forse proprio questa ristrettezza di danza per gli uomini si configura come la più grande debolezza dell’operazione Ratmanskij, che potrebbe apparire più  efficace come una nuova produzione da ‘esportare’ in tournée (come avverrà nella prossima stagione al Palais des Congrès di Parigi), che non come repertorio sostitutivo del Lago di Nureev, ricco di interpretazione e soprattutto di danza per tutti gli elementi del corpo di ballo.

Se Vittoria Valerio non avesse le linee e il fisico filiforme delle danzatrici di oggi, sembrerebbe direttamente riemersa dall’Ottocento, per la sua sicurezza e morbidezza nei movimenti e nelle isolazioni tra metà inferiore e metà superiore del corpo e per la sua delicatezza dell’esecuzione. Molto più presente Vittoria nel personaggio di Odette – forse a lei più vicino per sensibilità -, che in Odile, ma in ogni caso mostra agio e personalità insieme al suo partner Coviello secondo una poetica ‘espressionista’, come nell’arte che si andava diffondendo nell’Europa di fine Ottocento.

Domenico Giuseppe Muscianisi

 

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano (Teatro alla Scala): Vittoria Valerio e Claudio Coviello, scena 2

 

 

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org



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