10 maggio 2017

sipario – SPEZZATI E LEGATI: LA VALSE, SYMPHONY IN C, SHÉHÉRAZADE


Teatro alla Scala di Milano, recita del 27 aprile 2017

La Valse. Coreografia di Stefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina. Musica di Maurice Ravel. Costumi di Irene Monti. Luci di Valerio Tiberi. Nuova produzione del Teatro alla Scala.
Mariafrancesca Garritano (una donna), Christian Fagetti (un uomo), Coppia: Giulia Schembri e Gioacchino Starace. Interpreti: Marta Gerani, Azzurra Esposito, Agnese Di Clemente, Denise Gazzo, Eugenio Lepera, Frank Lloyd Aduca, Walter Madau, Valerio Lunadei.

Symphony in C. Coreografia di George Balanchine © The School of American Ballet, ripresa da Colleen Neary. Musica di Georges Bizet. Costumi di Karinska. Luci di Andrea Giretti. Produzione del Teatro alla Scala.
Interpreti principali: Nicoletta Manni e Nicola Del Freo (primo movimento), María Celeste Losa e Marco Agostino (secondo movimento), Antonella Albano e Antonino Sutera (terzo movimento), Martina Arduino e Massimo Garon (quarto movimento).

Shéhérazade. Coreografia di Eugenio Scigliano. Musica di Nikolaj Rimskij-Korsakov. Scene e luci di Carlo Cerri. Costumi di Kristopher Millar e Lois Swandale. Nuova produzione del Teatro alla Scala.
Alessandra Vassallo (Zobeide), Nicola Del Freo (Schiavo d’oro), Christian Fagetti (Shahriyar), Walter Madau (Zahman), Beatrice Carbone (Ombra di Shéhérazade).
Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Frédéric Olivieri. Orchestra del Teatro alla Scala, direttore: Paavo Järvi.

Chiaroscuri, pause e silenzi, movimenti e linee fratte. Un trittico composito di stili e musiche diversi, spezzato come una Z, che si disegna con un continuo cambio di direzione, trova il suo collante nel contrasto che declinato in tutte le sue forme genera l’azione e attrae.

Esattamente un anno fa, quando l’allora direttore Mauro Bigonzetti presentava alla stampa la stagione 2016/17, le polemiche sono state tante, ma su un progetto di valorizzazione del “Made in Italy” si era tutti curiosi: affidare a tre coreografi emergenti, attualmente danzatori della compagnia scaligera, la nuova creazione della Valse di Maurice Ravel, diversa da quella che sir Frederick Ashton nel ’58 creò al e per il Teatro alla Scala.

sipario17FBStefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina hanno voluto «valorizzare il più possibile» le potenzialità tecniche ed espressive dei danzatori della compagnia «colleghi e amici» in una Valse intesa come «balletto della Compagnia» nella sua interezza (dall’intervista di Patrizia Veroli ai tre coreografi “La Valse, creare con gli altri” sul libro di sala La Valse / Symphony in C / Shéhérazade del Teatro alla Scala).

Nel contrasto di luci e ombre, nei contrasti di costumi e copricapi dal preziosismo Belle Époque con la modernità tutta metropolitana della rampa “da skateboard” si sviluppa un intreccio non-intreccio fatto di personaggi senza nome che danzano valzer da soli e interagiscono tra loro ora seguendosi ora disperdendosi sulla scena.

Il ritmo a tre tempi del valzer è cadenzato coreicamente da tre momenti: contraction e tilt tipici della danza contemporanea, quando rispettivamente i corpi si chiudono su sé stessi oppure si inclinano e allungano le linee, e dalla ‘sorpresa’, che si esplica in un salto oppure in un passaggio al pavimento oppure ancora in una scena da valzer ‘urbano’ dei ballerini sulla pedana rialzata, come se scivolassero sugli skateboard o volassero sui tetti nel fare parkour.

Quindici minuti di valzer da sala da ballo e di cultura underground ben congegnati tra i giochi di luci e ombre e di specchi: infatti, la lucidità della rampa rialzata riflette le sagome dei danzatori sul palco, dando l’impressione che siano raddoppiati. I costumi danno un senso trasognate che accresce lo ‘spaesamento’ della drammaturgia; le braccia troppo spesso sollevate sulla testa nascondono un po’ i bei copricapi, di grande importanza per l’atmosfera senza tempo del balletto.

Dall’antico palazzo di cristallo di Balanchine il balletto Le Palais de cristal perde ogni elemento ‘reale’ per risorgere astratto e immateriale fin dal titolo che prende il nome dalla Sinfonia in do maggiore di Georges Bizet, fedele alla propria poetica del balletto concertante: «“Symphony in C” – dice Balanchine – non si basa su una storia, ma sulla musica […] in quattro movimenti, ognuno dei quali sviluppa differenti temi e melodie; parallelamente nel balletto c’è un diverso schema coreografico e un diverso sviluppo per ognuno dei quattro movimenti».

Il contrasto è netto, quasi manicheo, come in un matrimonio ortodosso russo in cui la sposa è interamente di bianco e lo sposo interamente di nero – i due estremi che si fondono. Quattro movimenti con colori musicali e coreici prima distinti per quattro coppie principali più due di solisti per ogni movimento, che si mescolano nell’esplosivo finale.

Nicoletta Manni con la sua tecnica solida mostra di essere un’elegante signora nell’Allegro vivo del primo movimento, insieme al preciso Nicola Del Freo, dal salto pulito, forte e controllato. L’Adagio del secondo movimento per lunghezza e incastri di passo a due è il più difficile: la coppia María Celeste Losa e Marco Agostino padroneggia la tecnica del pas de deux a dispetto dell’imprevista sostituzione e delle poche prove, Losa al debutto balanchiniano, ancora troppo attenta all’esecuzione, avrà modo di familiarizzare di più con lo stile brillante del coreografo.

sipario17FB2Ottima riuscita del Minuetto del terzo movimento. Brillanti, senza cali di tensione – anzi sempre in crescendo – Antonella Albano e il primo ballerino Nino Sutera, in un pezzo coreografico giocoso e scherzoso come una tarantella del Sud con la precisione millimetrica tipica di Balanchine. Breve e virtuoso ‘alla russa’ l’Allegro vivace del quarto movimento, nel quale Martina Arduino risulta perfetta nel ruolo e nello stile femminile del coreografo insieme a Massimo Garon, sicuro partner e veloce nei giri. Tra tutte le coppie di solisti una menzione particolare per la precisione tecnica e il “credo” sulla scena meritano Walter Madau e Mariafrancesca Garritano, che già nella Valse riempie la scena con la sua mimica ricca e convincente, insieme a Christian Fagetti.

Nell’ultimo tratto della Z che simboleggia il trittico, la nuova Shéhérazade di Eugenio Scigliano mostra un’ambientazione noir – degna delle riflessioni poetiche dell’Aterballetto – fin dall’uso claustrofobico della scenografia e dalla metafora del burqa d’oro dell’Ombra di Shéhérazade: prigione dorata della protagonista che cerca conforto nell’amore – stavolta d’oro ‘puro’ – dello Schiavo. Il contrasto tra l’amore e il possesso si tatua sulla pelle di Zobeide con un tribale indelebile. Alessandra Vassallo danza un ruolo fortemente combattuto, fatto di slanci a coda di pavone della gonna plissettata (come quella delle regine del Nilo) e bruschi passaggi fratti a terra.

Viene maltrattata dal possessivo marito, Shahriyar, uno splendido, “cattivissimo” Christian Fagetti, sinuoso, scattoso come uno scorpione in preda ai nervi del pericolo. Ruolo molto ‘poetico’ nella fluidità, velocità ed eleganza dei movimenti, ben disegnati e soprattutto interpretati. In perfetta armonia tecnica ed espressiva è Madau nei panni di Zahman; nella novella originale delle Mille e una notte, a causa del tradimento della propria moglie, è Zahman l’ispiratore dell’odio verso le donne nel fratello.

sipario17FB3Non così ben disegnato è, purtroppo, il passo a due di Zobeide e lo Schiavo d’oro. Quello che dovrebbe essere il picco drammaturgico e coreico dell’intero balletto (un elegantissimo e sensualissimo pas de deux di circa dieci minuti) nella creazione di Scigliano risulta, invece, un calo di tensione emotiva. Troppo ancorato a un orientalismo di maniera di primo Novecento, addirittura alcuni movimenti restano uguali all’originale di Fokin, per esempio il contatto delle schiene e il roteare delle teste all’indietro scambiandosi i lati. Peccato! Infatti, Nicola Del Freo ha la presenza fisica e il temperamento dello schiavo, Vassallo è una Zobeide intensa e profonda, padrona della tecnica.

Interessanti le costruzioni degli insiemi del corpo di ballo. Fluide come onde, impotenti come barche in avaria sono le donne, ancelle e mogli in contrasto con la regolarità dei movimenti squadrati e netti delle guardie in nero di Shahriyar e Zahman, fatti di brevi passaggi spesso ripetuti che ripercorrono i principi del physical theatre di forte impatto emotivo.

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano (Teatro alla Scala): (1) «La Valse», preludio; (2) Antonella Albano e Antonino Sutera in «Symphony in C» di George Balanchine © The School of American Ballet; (3) Alessandra Vassallo e Nicola Del Freo nel pas de deux di «Shéhérazade».

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e di Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org



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