26 aprile 2016

sipario – «IL BUONO, IL BRUTTO, IL CATTIVO» CHRISTIAN FAGETTI …


«IL BUONO, IL BRUTTO, IL CATTIVO» CHRISTIAN FAGETTI …

Quando nel 1966 Sergio Leone sceglieva il cast per l’ultimo “spaghetti western” della sua trilogia, cercava un attore sensibile e dai lineamenti marcati, uno chapliniano dal naturale talento comico e uno spietato, cinico e dall’aria cupa. Christian Fagetti ha tutto questo! Milanese e scaligero fin dalla scuola di ballo, ballerino nella compagnia del Teatro alla Scala di Milano dal 2006, solista de facto – quando la promozione? Mi chiedo dal Pink Floyd Ballet -, possiede una connaturata capacità di metamorfosi nell’interpretare e dare spessore ai ruoli. Carisma e tecnica in una cornice di umiltà sono la formula algebrica dell’artista Christian Fagetti.

sipario15FBCominciamo con un po’ di storia. L’intellettuale greco del II secolo d.C. Luciano nel suo dialogo La danza (capitoli 67-78) scrive in maniera estremamente moderna che nella danza si esplica la versatilità dell’interprete, il quale deve identificarsi con il personaggio ed essere un tutt’uno con la musica; inoltre, «la danza è un esercizio più intellettuale che fisico, perché bisogna dare significato ai movimenti e ai gesti» (cap. 69).
Nei miei articoli e nelle mie analisi di te ho sempre notato e lodato la grande capacità mimica, come l’Oscurantismo [nell’Excelsior], Rothbart [nel Lago dei cigni di Rudol’f Nureev], Carabosse [nella Bella addormentata nel bosco di Aleksej Ratmanskij], Hilarion [in Giselle]. Secondo quanto ti ho raccontato di un filosofo di duemila anni fa e la tua esperienza di danzatore, qual è il tuo approccio al mimo e all’interpretazione? Lasciando da parte l’elemento tecnico nell’interpretazione di un ruolo, bisogna in primis documentarsi su quello che si sta interpretando, leggendo la storia del personaggio, guardando video, non per forza della stessa versione del balletto, ma anche di altre versioni, perché si può sempre imparare e prenderne degli appunti e poi, soprattutto, metterci del proprio. Io utilizzo degli aspetti personali “di Christian” e che a volte funzionano molto bene… [ride]

A che cosa ti riferisci? A quando devo interpretare ruoli di carattere molto forte. Per esempio, io credo di essere una persona abbastanza buona, però Madre Natura mi ha dato dei lineamenti del volto e fisici che calzano a pennello con i ruoli da cattivo! [sorridiamo] Forse anche per questo mi sento a mio agio quando interpreto quei ruoli, al posto giusto; cosa che succede un po’ meno – o meglio, devo fare un lavoro più grande e più approfondito – quando interpreto i ruoli del principe: ultimamente mi sta capitando e non l’avrei mai detto nella mia vita. È un lavoro interessante anche quello del principe, perché non si finisce mai di scoprirsi e di imparare: c’è sempre qualcosa di nuovo. Come nella tecnica c’è il battement tendu che si può ogni giorno migliorare, così nell’interpretazione si può sempre migliorare e può cambiare da recita a recita, dipende anche da come ci si sente. Mi sono sentito a mio agio immediatamente nell’Oscurantismo, che è stato il primo ruolo in assoluto che mi è stato affidato in teatro, inaspettatissimo; mi sentivo come se fosse stato creato su di me – ovviamente non lo è stato! Ma il ruolo che ho più nel cuore tra quelli che ho interpretato fino ad adesso è Rothbart della versione Nureev. La sua danza è tutta concentrata in una variazione del terzo atto, che si ricorda per tutta la vita, perché è pesante, difficile tecnicamente e nonostante tutto bisogna rimanere sempre nel ruolo. Quando però senti meno la fatica della variazione e ti senti Rothbart veramente, vuol dire che qualcosa funziona!

Quando Nureev creò il suo Lago dei cigni [nel 1984 per il Wiener Staatsballett], era già piuttosto anziano [46 anni] e ha riservato quel ruolo a se stesso … Infatti, per me è un onore ogni volta danzarlo. Spero che possa succedere di nuovo, perché più si va avanti con l’età, più si ha un bagaglio migliore e più vasto per poter interpretare ruoli mimici, soprattutto, generalmente affidati a danzatori con più esperienza. Per me è stato un onore che Rothbart mi sia stato affidato quando avevo 26 anni ed è stata una bella sfida.

Nella scuola di ballo o nella compagnia esistono degli insegnanti specificatamente dedicati al mimo, esistono delle tecniche di mimo? Nella scuola di ballo insegnanti dedicati non ci sono; nella compagnia, certo: ci sono i maîtres durante le prove dei ruoli e spesso i ripetitori e i coreografi che vengono a insegnarci i balletti: loro tutti indirizzano sulle caratteristiche del ruolo da interpretare. Dopo le indicazioni, inizia il lavoro personale e si cerca di plasmare il ruolo su se stessi; ovviamente veniamo sempre aiutati dai maîtres che ci curano la preparazione del ruolo.

All’interno di gesti mimici sostanzialmente codificati nei balletti di repertorio, non si può escludere la libertà del singolo interprete, cui tu avevi accennato all’inizio con il «metterci del proprio». In che cosa consiste e come si realizza praticamente sul palco? Alle prove sono arrivato persino a provare le espressioni da solo davanti allo specchio … [sorridiamo] per esempio, quando ho interpretato Carabosse, che ho molto amato, nella Bella addormentata di Ratmanskij, per me è stato molto divertente, senza danza, solo mimo e interpretazione: ho fatto molto divertire i miei colleghi. Anche a casa davanti allo specchio, cercavo di capire quale espressione fosse meglio in un determinato momento. Questo è il grande lavoro che faccio su me stesso prima di andare in scena, ma poi durante ogni spettacolo, uno sempre diverso dall’altro, mi sento a mio agio con il ruolo. Se mi sento Carabosse e non Christian, viene tutto naturale e per me è un grandissimo traguardo, perché c’è l’ho fatta a ottenere quello cui personalmente aspiravo. Poi che cosa arrivi al pubblico non posso mai saperlo … .

Se il pubblico risponde con un applauso, possiamo dire che qualcosa è stato suscitato. E a te di applausi ne sono arrivati! [arrossisceHo, infine, particolarmente apprezzato la tua presenza nella Cinderella di Mauro Bigonzetti, che ha aperto la stagione. Nella mia recensione ho messo in risalto l’originalità unica di Bigonzetti di caratterizzare personaggi in una certa parte di contorno, come il padre, che è vivo. Nella fiaba originale di Perrault e nella versione tedesca dei fratelli Grimm il padre non c’è, Cenerentola compare già orfana a casa con la matrigna e le sorellastre; solo nel film d’animazione della Disney il padre muore quando lei è piccola, ma anche lì non ha alcun ruolo nella diegesi. Tu, Christian, sei stato il padre (nel primo cast con Roberto Bolle e Polina Semionova protagonisti) e danzi con Cenerentola un passo a due, che io chiamo “del rimprovero”, nel primo atto e poi alla fine sei l’artefice del suo felice destino, perché tu porti Cenerentola dal principe. Mauro Bigonzetti ci spiegava che il padre è una sorta di «veggente» della vita di sua figlia. Vede che lei è contrariata della nuova compagna [la Matrigna], soffre della cattiveria di questa donna e delle sorellastre; però lui sa che il destino di sua figlia le porterà solo cose belle. Quando nel primo atto finisce il mio momento con Cenerentola, appare la Fata madrina, il padre di fatto affida sua figlia alla fata, prefigurando quello che accadrà. Il rimprovero iniziale avviene per il carattere della figlia, che non immagina il futuro e vive con troppa durezza il presente.

E che cosa ha significato per te interpretare anche il principe nel secondo cast della Cinderella di Bigonzetti? Se mi permetti una nota personalissima, il ruolo ti è realmente e davvero congeniale … Per me è stata una bellissima esperienza e una grande opportunità! Mi sono divertito molto, perché è stato un principe un po’ “diverso” con il quale mi sentivo veramente a mio agio. Ho sentito di essere un principe moderno, fresco, con tanta energia e con tanta sensibilità, come “Christian”.

Domenico Giuseppe Muscianisi

 

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano (Teatro alla Scala) per concessione di Christian Fagetti Pink Floyd Ballet di Roland Petit.

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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