21 giugno 2016

sipario – POESIA = ATERBALLETTO


Piccolo Teatro Strehler di Milano, Prima 14 giugno 2016.
L’eco dell’acqua. Coreografia e scene di Philippe Kratz. Musiche di Federico Albanese, Jonny Greenwood, Howling, Arvo Pärt, Sufjan Stevens, The Haxan Clock. Costumi di Costanza Maramotti e Philippe Kratz. Luci di Carlo Cerri.
Lost Shadows. Coreografia di Eugenio Scigliano. Musiche di Franz Schubert. Costumi di Kristopher Millar e Lois Swandale. Luci di Carlo Cerri. Interpreti: Serena Vinzio e Roberto Tedesco.
#hybrid. Coreografia e costumi di Philippe Kratz. Musiche di Romare. Luci di Carlo Cerri. Interpreti: Martina Forioso e Valerio Longo.
Bliss. Coreografia di Johan Inger. Musica di Keith Jarrett. Costumi di Johan Inger e Francesca Messori. Luci di Peter Lundin.

 

Tre atti di sperimentazione con l’Aterballetto di Reggio Emilia allo Strehler. Quattro titoli ben presentati di facile presa sul pubblico, che toccano elementi del più attuale quotidiano, come l’hashtag del terzo titolo, l’elemento più spiccatamente contemporaneo nel suo parlare per parole chiave tipico dei social network.

sipario23FBLa disposizione dei titoli descrive un’architettura con simmetrie precise: nei contenuti baciata, del tipo AABB, e nella struttura incrociata, del tipo ABBA (prendo a prestito termini e simbologia della rima nella poesia italiana). Infatti, all’Eco dell’acqua corrisponde Bliss, entrambi titoli a mezza serata, e a Lost Shadows corrisponde #hybrid, entrambi passi a due (ABBA); mentre i contenuti riflessivi, un po’ nostalgici dell’Eco dell’acqua e di Lost Shadows si ripropongono invertiti nel maggiore brio e nella novità musicale di #hybrid e Bliss (AABB).

I passi a due dell’atto centrale hanno colto l’attenzione in maniera diversa: infatti, sono stati pensati come ‘freddo’ Lost Shadows e ‘caldo’ #hybrid. Entrambi parlano di una sorta di incomprensione e l’affrontano con sviluppi differenti: un’incomprensione degenerativa, il primo, che sfocia nella ‘dispersione delle ombre’ (come dice il titolo Lost Shadows), che ho immaginato come una sorta di ‘continuazione’ nell’Aldilà della Kameliendame [Dama delle camelie] di John Neumeier; il secondo sviluppa la diversità costruttiva che diventa parola chiave di ibridismo.

A un uso della punta estetico e non sempre funzionale del titolo di Scigliano, ha fatto pendante la punta in #hybrid di Kratz, usata con estremo dinamismo e sperimentazione, che mi ha evocato il passo a due Amelia dei La La La Human Steps di Édouard Lock. L’ibridismo ha coinvolto anche gli altri elementi teatrali come musica del blues afroamericano, all’R&B, al lounge e come le luci, che mescolavano forme tonde di un interprete e forme quadrate dell’altro per sottolinearne la diversità e la mescolanza.

Bliss è la storia di un’ordinaria alienazione che diventa alla fine divertente, anche nel titolo che in inglese vuol dire ‘beatitudine’! Colori distonici mescolati a movimenti ritmici, dinoccolati di tanti soli, che ogni tanto si combinano in passi a due o a tre. L’immaginario suscitatomi si realizza in una palestra, nella quale ognuno corre stando fermo sui diversi tapis roulants schierati nella sala: immagine più beata di alienazione credo non ci sia! Infatti, Bliss coinvolge e ‘aliena’ tutti, pubblico compreso: l’abbattimento totale delle quinte e le luci accese nella platea e nella galleria durante la prima parte dello spettacolo travalicano l’esperienza teatrale per inglobare tutti. Di grande impatto la geometria e l’elemento coreico della ripresa nell’ensemble finale in cui a progressiva aggiunta di uno tutta la compagnia sincronizza i movimenti per restare in quell’unico che ha coinvolto tutti e alla fine resta solo senza musica, a luci spente.

Nato dal Gesang der Geister über den Wassern [canto degli spiriti sopra le acque] di Goethe, che è stato recitato durante la danza, L’eco dell’acqua di Kratz ha solleticato di più il mio immaginario. Come l’anima fluida di Goethe, anche la mia lettura scorre libera. Nella poesia originale la fluidità è suggerita anche da un gioco di parole etimologico in tedesco tra Seele ‘anima’ (versi 1 e 32 nelle strofe di apertura e chiusura) e See ‘mare’, elemento di acqua per eccellenza (verso 25), come recitano i versi 25-27 e 32-33 nella mia traduzione «Nel piatto mare / godono del proprio volto / tutte le stelle. […] O anima dell’uomo, / quanto sei uguale all’acqua!». La danza morbida, fluida e continua della compagnia descrive una metafora continua dell’acqua, come lo specchio dell’assolo iniziale, che mi ricorda Narciso che affoga specchiandosi nell’acqua nel tentativo di raggiungersi.

I danzatori entrano in scena come le onde, progressive e costanti disperdendosi. Il contrappunto descrive magnificamente l’essenza dell’acqua. La coreografia era giocata tutta sul concetto di sfumato e ripresa, facendo sì che non si avvertisse mai una pausa. Interessante il passo a due di una solista con l’acqua, rappresentata con un ampio velo scuro perpendicolare, mimesi di una donna che si perde nell’abisso oscuro di flutti, come Andromeda che aspetta un Bellorofonte che non arriva, perciò si salva da sé diventando parte stessa dell’acqua un po’ sirena, un po’ nereide. Il progetto dell’Eco dell’acqua assorbe tutti i sensi, dalla vista (coreografia), all’udito (musica e recitazione) al tatto, perché la danza come l’acqua si adatta e riempie tutto lo spazio a disposizione gradualmente in modo perpetuo.

Domenico Giuseppe Muscianisi

 

Foto di Nadir Bonazzi (L’eco dell’acqua) per concessione del Piccolo Teatro Strehler.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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