9 marzo 2021

PIANO TERRITORIALE METROPOLITANO, PASSARE ALL’ATTUAZIONE

Beppe Sala, un sindaco metropolitano inesistente


Con questo intervento concludo la serie di articoli (1) dedicata ai contenuti del Piano Territoriale Metropolitano (PTM) di Milano adottato dal Consiglio metropolitano il 29 luglio 2020. Nonostante le difficili condizioni in cui si trova a operare (2) la Città metropolitana è riuscita a produrre un piano pragmatico, utilizzabile in tempi brevi. Non è un risultato da poco.

pompilio

Molti autori su questo giornale hanno correttamente individuato nella contraddittoria Legge 56/2014 (3) la causa principale dell’infelice partenza in questi anni degli enti metropolitani (non solo quello Milanese). Tuttavia la modifica di questa norma non è facile e neppure prossima. Pur continuando a mantenere viva l’attenzione sulla questione, sarebbe un peccato nel frattempo non fare buon uso di uno strumento di grande utilità per il futuro del sistema metropolitano Milanese e dei suoi cittadini.

Uso il condizionale in quanto non basta avere un piano perché quanto in esso previsto si avveri. L’attuazione delle previsioni richiede energie, molte, e perseveranza infinita, e mi domando se il piano così come l’ho descritto in questa serie di articoli sarà portato in attuazione o finirà come tanti altri piani inutilizzato in un cassetto. Al momento il piano adottato a luglio deve ancora affrontare il passaggio di approvazione in Consiglio metropolitano, con le modifiche conseguenti al parere della Regione e alle osservazioni del pubblico. Queste ultime sono arrivate nel mese di ottobre e il parere è stato recapitato dalla Regione a dicembre, quindi i tempi dovrebbero ormai essere maturi per affrontare a breve questo passaggio.

La pianificazione territoriale di area vasta (province, città metropolitane, parchi) riscuote sempre meno interesse tra i politici degli enti locali. Le cause sono molteplici.

In un mondo dove l’approccio alle informazioni e ai problemi segue sempre più le regole di approssimazione, rapidità, volatilità, imposti dai social media, accade per osmosi che anche all’esterno del web viene meno l’interesse per strumenti che, come i piani territoriali, sono complessi, lunghi da sviluppare e proceduralmente farraginosi da approvare. Si vogliono risultati subito, non importa quanto utili e ben ponderati, da esibire in processi decisionali sempre più accelerati e approssimativi.

Ai piani territoriali si preferiscono programmi o piani strategici, che sono strumenti meno normati e quindi più flessibili e facili da popolare con contenuti politici, manipolabili e modificabili all’infinito senza dovere passare attraverso faticose e farraginose procedure. Non importa che questi strumenti strategici siano per la maggiore parte poco influenti nel concreto non essendo dotati di poteri attuativi.

La pianificazione del territorio si occupa, o si dovrebbe occupare, di promuovere i beni comuni. Ma l’interesse per questi dei politici viene meno se non devono più rispondere agli elettori del loro operato. Un primo passo in tale direzione è conseguenza della riforma elettorale del 2005, il cosiddetto “porcellum”, che trasforma i Parlamentari da eletti a nominati.

Il ritorno in corso dal maggioritario al proporzionale aumenta ulteriormente il peso dei partiti, e diminuisce quello degli elettori. Viene così meno l’interesse per gli strumenti che servono per produrre beni comuni, tra questi quelli di pianificazione territoriale, soprattutto di area vasta. Diverso è il caso dei piani urbanistici comunali che continuano a interessare per i poteri conformativi dei suoli, che consento di assegnare privilegi e creare clientele.

Le due cause qui accennate non sono sole. Gli strumenti di pianificazione territoriale stessi non sono esenti da responsabilità. Sono spesso prolissi, poco comunicativi, talvolta autoreferenziali. Utilizzano un gergo tecnico, una sorta di “urbanese” per addetti ai lavori, per esprimere concetti e indirizzi che potrebbero essere presentati in modo più lineare e comprensibile. Ma la maggiore parte degli amministratori locali e degli utilizzatori dei piani non sono addetti ai lavori. Se nell’epoca dei social non si fa nulla per svecchiare gli strumenti tradizionali della pianificazione territoriale, non deve sorprendere se perdono di interesse, autorevolezza e finiscono per essere accantonati.

Per fortuna a livello locale il sistema elettorale è ancora maggioritario. Qualche dubbio viene su quanto a lungo i partiti siano disposti a tollerare la contemporanea presenza di un sistema elettorale proporzionale a livello nazionale e uno maggioritario a livello locale, con il primo che porta al frazionamento mentre il secondo richiede di formare alleanze, nel primo contano di più i partiti, nel secondo hanno più voce gli elettori. Tuttavia per il momento il problema non è ancora stato posto in tutta la sua evidenza, per cui assumiamo che per un po’ si vada avanti così.

Nelle province gli organi sono individuati da amministratori comunali, che di tale scelta rispondono ai rispettivi elettori. Quindi in via teorica la rappresentanza è fatta salva anche nell’elezione indiretta, come peraltro evidenziato dalla Sentenza n.50/2015 della Corte Costituzionale.

Il sistema entra in crisi quando il Sindaco del comune capoluogo è per legge anche sindaco metropolitano, e non deve rispondere della sua azione ai cittadini degli altri comuni della Città metropolitana. Potrebbe anzi da questa vantaggiosa posizione decidere di accentrare sul capoluogo tutte le risorse destinate al funzionamento dell’area metropolitana, a discapito dei cittadini degli altri comuni, e avere il plauso e anche il riconoscimento alle elezioni da parte dei cittadini del comune capoluogo.

Se si vuole che il Sindaco metropolitano si occupi di produrre beni comuni e vantaggi per l’area metropolitana tutta, il sistema deve fare in modo che risponda delle sue azioni a tutti i cittadini della Città metropolitana.

Non ci si può certo aspettare che il Sindaco di Milano, chiunque esso sia, si occupi di dare voce ai cittadini degli altri comuni. In realtà lo dovrebbe fare se fosse un Sindaco lungimirante, capace di comprendere che in un sistema metropolitano il destino del capoluogo, delle sue imprese e della qualità di vita dei suoi cittadini, è intrinsecamente legato a quello degli altri comuni, tutti fino al più piccolo e al più periferico. Se lo comprendesse si occuperebbe di fare bene il Sindaco metropolitano, e a tale fine utilizzerebbe tutti gli strumenti a disposizione, e tra questi il Piano territoriale metropolitano.

Non è il caso del Sindaco uscente che non ha nascosto in questi cinque anni il disinteresse per l’ente Città metropolitana, senza comprendere che il danno arrecato agli altri comuni e al sistema metropolitano finisce per ricadere anche sul capoluogo, in termini ad esempio di congestione veicolare, inquinamento, perdita di opportunità produttive.

La diffusione sul territorio metropolitano di impianti di logistica e giganteschi centri commerciali ha portato un incremento esponenziale di traffico pesante e inquinamento atmosferico, di cui anche i cittadini di Milano ne subiscono le conseguenze. La Città metropolitana ha lasciato alla Regione campo libero nella gestione della nuova Tangenziale Est Esterna. Doveva servire a decongestionare il traffico della vecchia Tangenziale Est e delle aree urbane più dense nell’Est Milanese, ma le politiche tariffarie decise dalla Regione l’hanno trasformata in un’autostrada deserta che assieme alla Bre.Be.Mi. (la nuova autostrada Milano-Brescia) costituisce un ideale corridoio di penetrazione della grande logistica nella cintura urbana più prossima al capoluogo.

Molti sono gli esempi come questo che possono essere citati. Senza un solido ente metropolitano e strumenti come il PTM il capoluogo Milano non riesce a intervenire su questi fenomeni e finisce per subirli. Ma Milano con supponenza pensa di fare da sola anche sui problemi di area vasta, di non avere bisogno degli altri comuni.

Milano gode solitaria di un buon bilancio, bene rifornito dagli oneri urbanizzativi di un mercato immobiliare comunque vivace nonostante la crisi, mentre gli altri comuni, soprattutto quelli periferici, fanno sempre più fatica a dare servizi decenti ai propri cittadini (4), che sono anche buona parte di quel mezzo milione e più di pendolari che in tempi normali entrano in città quotidianamente, e le permettono di funzionare. Così facendo penalizza se stessa. In un sistema metropolitano tutti i comuni sono strettamente connessi e condividono, volenti o nolenti, un unico destino. Milano non può pensare di ballare da sola quando sono in gioco i grandi temi di area vasta. Non ha senso, non è lungimirante, è miope.

A Milano ogni ragionamento di coordinamento metropolitano è fermo, la politica è in stallo, e quando la politica entra in stallo, in democrazia per sbloccarla si ricorre alla voce dei cittadini elettori. Ma siamo daccapo, le elezioni del Sindaco metropolitano non esistono, né dirette né indirette.

Che fare? In democrazia, quando la politica non vuole o non è più capace di riparare o cambiare le regole che manifestamente non funzionano, e i politici non possono essere sottoposti a verifica, ai cittadini non resta che scendere nelle piazze a protestare, dove la piazza può essere quella fisica ma anche quella virtuale. Farlo è sacrosanto, la democrazia è bella, ma fragile, e va difesa senza indugi in tutti i casi in cui i principi e le libertà rischiano di venire limitati. Anche quando le limitazioni sono state introdotte con una legge (che non funziona) del Parlamento.

Può Arcipelago Milano in tale senso contribuire? Riesce a intercettare gli abitanti degli altri comuni, i direttamente interessati dal problema? Leggendo da anni articoli e interventi su questo giornale ho la sensazione che pochi siano i lettori che abitano oltre la circolare 90/91, e probabilmente la maggioranza vive all’interno della Cerchia dei Bastioni. Vorrei tanto sbagliarmi, e vorrei che sì Arcipelago Milano fosse capace di parlare ai cittadini degli altri comuni e di coinvolgerli. E’ una delle poche piazze virtuali indipendenti. Senza il loro contributo il capoluogo e chi ci abita continuerà a comportarsi in modo autoreferenziale, e a danneggiare gli altri comuni oltre che stesso.

Negli anni Settanta Italo Calvino scrive un libro allo stesso tempo arguto e visionario “Le città invisibili”. In ogni capitolo il ritratto di una città fantastica, con le sue scelte di libertà e i relativi limiti. In uno di questi si parla dell’immaginaria Città di Leonia. Concludo questa serie sul PTM di Milano riportando per intero il brano, per gli spunti ancora attuali che offre, anche per l’odierna questione metropolitana.

“La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove.

Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità.

Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare. Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni.

E’ una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altrieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti.

Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.

Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai “. (Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, 1972).

Marco Pompilio

NOTE

  1. Gli articoli di questa serie sono

    1. Un sistema aperto e resiliente per la Città metropolitana, pubblicato il 3 ottobre 2020 https://www.arcipelagomilano.org/archives/56957
    2. Mobilità e trasporto pubblico nella Città metropolitana, pubblicato il 20 ottobre 2020 https://www.arcipelagomilano.org/archives/57113
    3. Questione città metropolitana, questione di equità, pubblicato il 9 dicembre 2020 https://www.arcipelagomilano.org/archives/57332
    4. Un piano ambientale per la Città metropolitana, pubblicato il 16 gennaio 2021 https://www.arcipelagomilano.org/archives/57540
    5. Una dotazione di aree industriali al passo con i tempi, pubblicato il 29 gennaio 2021 https://www.arcipelagomilano.org/archives/57644
    6. I luoghi urbani per la mobilità, pubblicato il 12 febbraio 2021 https://www.arcipelagomilano.org/archives/57738
  2. Le condizioni al contorno che rendono difficile l’azione della Città metropolitana sono state approfondite nel primo articolo introduttivo della serie, del 3 ottobre 2020 (vedi nota 1).

  3. La Legge 56/2014 ha istituito le città metropolitane, e ha preparato la strada per la cancellazione delle province, processo interrotto dalla bocciatura della riforma costituzionale con il referendum tenutosi il 4 dicembre 2016. Nelle città metropolitane il sindaco del comune capoluogo è per legge anche sindaco metropolitano.

  4. Sulla sperequazione metropolitana di risorse e servizi tra capoluogo e altri comuni si veda il terzo articolo della serie, del 16 gennaio 2021 (vedi nota 1).



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  1. Lucia GraciliEstremamente interessante e tristemente veritiero ciò che scrive il pregevole Marco Pompilio con cui abbiamo condiviso, anche se da territori diversi, analoghe battaglie sul ruolo decisivo della pianificazione territoriale, probabilmente incompresi dai più, sicuramente non dagli addetti ai lavori che svolgono ruoli tecnici.
    19 marzo 2021 • 02:10Rispondi
  2. Luca BergoMarco Pompilio ha ragione, e lo dico da abitante abbastanza lontano dal capoluogo. Da un luogo che un tempo è stato esso stesso piccolo centro d'attrazione per i minori centri limitorfi, per diventare, grazie a politiche suicide del centrosinistra come la riforma del titolo V, sempre più spogliato di servizi. Un tempo alcune milgiaia di pendolari convergevano sulle industrie e i servizi di Abbiategrasso; oggi, ogni mattina ne escono migliaia in auto e un po' meno in treno, per andare al lavoro o servizi a MIlano o d' altri centri. Il triste sonno di una politica incapace di concepire alcunché oltre la prossima scadenza elettorale rischia di spegnere quel po' che resta... E vi assicuro che i politici milanesi sono dei Periche in confornto a quelli di qui...
    19 marzo 2021 • 15:52Rispondi
  3. OmarConcordo, vivo a Brugherio, addirittura in un’altra provincia che non abbiamo scelto. Si potrebbe istituire il comune della Nuova Milano accorpando tutti i comuni dell’attuale città metropolitana, sarebbe anche più popolosa della vecchia Milano e seconda in Italia.
    27 marzo 2021 • 12:14Rispondi
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