29 gennaio 2021

UNA DOTAZIONE DI AREE INDUSTRIALI AL PASSO CON I TEMPI

Come attrare investimenti “utili”


Per attrarre nel territorio metropolitano nuove attività industriali non è più sufficiente disporre di aree dotate di una buona accessibilità. Si deve anche mettere a disposizione un sistema mirato e integrato di servizi che permetta alle imprese insediate di essere competitive. Nell’area metropolitana la maggiore parte dei siti esistenti è inadeguata, per mancanza di servizi e infrastrutture di base, per carenze strutturali, per gli usi incompatibili che con il tempo si sono sviluppati nell’intorno.

Dal temine del secondo conflitto mondiale ad oggi quasi ogni comune, grande, medio o piccolo, si è dotato di una o più aree produttive, in molti casi piccole o piccolissime, talvolta a pochi chilometri o addirittura centinaia di metri di distanza l’una dall’altra. Le attività industriali e artigianali si sono diffuse in modo capillare, frammentando il tessuto agricolo e insediativo, consumando suolo, creando degrado ambientale e congestione veicolare. Le situazioni sono ulteriormente peggiorate quando nell’intorno si sono sviluppate aree residenziali, e anche attrezzature per servizi alla persona, con conseguente reciproco disturbo tra funzioni che non sono tra loro compatibili.

Non è solo un problema di dimensioni, e come detto neppure di accessibilità. Servono reti tecnologiche, dai depuratori alle infrastrutture per la banda larga, servizi per i dipendenti (ristorazione, commercio al dettaglio, palestre e impianti per lo sport, presidi sanitari, nidi per l’infanzia, ecc.), servizi professionali o di consulenza (tecnici, legali, comunicazione, stampa 3D, ecc.), istituti di ricerca, e altre attività terziarie secondo le specifiche esigenze delle diverse tipologie di attività imprenditoriali.

Le imprese cercano localizzazioni dove sia disponibile personale professionalmente qualificato, quindi prossime a università e scuole professionali. Le competenze più qualificate sono scarse e contese, e le imprese per aggiudicarsele e tenerle strette si preoccupano anche del benessere famigliare dei dipendenti, cercando zone con elevata qualità ambientale e buona dotazione di servizi alla persona.

Fabbisogni ed esigenze cambiano tra le diverse tipologie di imprese, dal manifatturiero alle start up le casistiche sono le più varie, e ancora poco conosciute. Un attento monitoraggio sarebbe utile per creare un panorama di riferimento per la pianificazione territoriale e urbanistica.

Oggi servono poli produttivi dove sia possibile ospitare mix di attività, servizi di supporto e reti tecnologiche, adeguatamente collegati non solo con la viabilità principale ma anche con aree residenziali e centri urbani, centri storici, servizi commerciali e alla persona, aree verdi e impianti sportivi. Alcuni servizi potrebbero essere collocati in modo tale da essere facilmente fruibili sia dai siti industriali che dai vicini quartieri residenziali.

Nei poli produttivi gli spazi devono essere pensati secondo criteri di flessibilità in modo da potersi rapidamente adeguare a esigenze produttive in continua e sempre più rapida evoluzione.

Esempi di poli produttivi che vanno in questa direzione sono già presenti, in Italia e soprattutto all’estero, assumono diverse denominazioni: parchi scientifici e tecnologici, tecnopoli, poli manifatturieri, poli tecnologici, poli dell’innovazione, poli per la meccatronica, incubatori, cluster o distretti.

Siti industriali di questo tipo non richiedono per forza di essere collocati su suolo libero. Ogniqualvolta non vi siano irrisolvibili problemi di incompatibilità con gli usi del contesto si deve dare priorità all’uso di aree dismesse. Prima ancora si può valutare se le aree industriali attive esistenti sono idonee per essere riconvertite in poli produttivi, anche attraverso un programma di potenziamento delle infrastrutture e dei servizi, e migliorandone la compatibilità con le funzioni al contorno.

Il Piano Territoriale Metropolitano (PTM) adottato dal Consiglio metropolitano di Milano a luglio 2020 punta a qualificare qualitativamente la dotazione di aree produttive dell’area metropolitana, incoraggiando soluzioni che evitino l’ulteriore frammentazione del territorio agricolo e del tessuto insediativo. Promuove a tale fine la formazione di poli produttivi di rilevanza sovracomunale, di dimensioni tali da potere ospitare il fabbisogno insediativo industriale di ambiti territoriali ampi, estesi a più comuni.

Il piano attribuisce alla Città metropolitana il compito di individuare un primo elenco di aree industriali esistenti che soddisfano i requisiti minimi definiti nel PTM al fine di svolgere il ruolo di poli produttivi di rilevanza sovracomunale. Ha anche il compito di riconoscere la rilevanza sovracomunale per i poli produttivi proposti dai comuni tra loro a tale fine associati.

Tra i requisiti minimi per il riconoscimento vi è l’ottenimento della qualifica di “Area produttiva ecologicamente attrezzata”, come prevista dall’articolo 26 del d.lgs 112/1998. Il PTM definisce i criteri ambientali minimi per ottenere tale qualifica, e in mancanza di uno specifico regolamento della Lombardia, si è riferito alle esperienze e ai regolamenti vigenti nelle altre regioni.

Il PTM prevede che le nuove attività industriali vengano localizzate nelle aree industriali con qualifica di polo produttivo sovracomunale, mentre le aree industriali esistenti che non hanno i requisiti per divenire poli produttivi sovracomunali possono ospitare gli ampliamenti volti a soddisfare le esigenze produttive e tecniche delle aziende già insediate al momento dell’approvazione del PTM. L’utilizzo delle aree esistenti è comunque subordinato alla compatibilità con gli altri usi nel contesto, da verificare a cura del comune sulla base di un elenco dei requisiti ambientali e territoriali definiti nel PTM stesso.

Dove le condizioni non consentano, neppure attraverso azioni di recupero, di raggiungere i requisiti minimi di compatibilità, e non siano sanabili, la Città metropolitana collabora con i comuni per favorire, anche attraverso appositi incentivi (es: sconti su oneri urbanizzativi, incrementi volumetrici o di superficie, ecc.), la delocalizzazione volontaria delle attività industriali verso i poli produttivi sovracomunali, e la rigenerazione e destinazione delle aree ad altri usi. Spetta ai comuni, in sede di redazione dei Piani di governo del territorio (PGT), censire le aree produttive esistenti attive e, una volta verificato se sono o meno compatibili con il contesto, individuare per ciascuna area le azioni necessarie per migliorarne l’inserimento nell’ambiente, sempre riferendosi ai criteri o alle linee guida contenute nel PTM.

Il sistema di indirizzi e disposizioni qui molto sinteticamente illustrato è la base da cui partire. Per trarne i massimi benefici, una volta approvato il PTM, la Città metropolitana dovrà unitamente alle associazioni industriali e artigianali locali individuare e analizzare i diversi tipi di attività produttive per conoscerne le specifiche necessità, e promuovere collaborazioni con i comuni per migliorare l’offerta di aree industriali, a partire dalla predisposizione di un primo elenco delle aree industriali esistenti che hanno i requisiti per potere svolgere il ruolo di polo produttivo sovracomunale. In realtà nulla vieta di partire con queste attività anche prima che il PTM sia stato approvato.

Marco Pompilio



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  1. Alessandra MariaAndiamo in concreto. Porto di Mare. 50 anni di limbo, dopo il fallimento del Consorzio, il Comune ostaggio di un presunto MASTERPLAN, nega affitti a lungo termine o concessioni di terreni per poter intraprendere o continuare attività compatibili al piano territoriale come lo sport. Confusione totale! Il Comune non permette lo sviluppo dell’area. Questa è la realtà. Le altre sono solo parole
    3 febbraio 2021 • 05:03Rispondi
    • Andrea VitaliBe', meno male. Affitti a lungo termine o concessioni per pseudo attività produttive in un'area strategica come Porto di Mare sarebbero un grave errore. Il Comune fa bene, a mio parere.
      3 febbraio 2021 • 09:38
  2. Annalisa FerrarioA mio parere viene sottovalutata l'importanza che gioca sull'insediamento di attività produttive il tema dei contributi (oneri, monetizzazioni, ecc), che sono sensibilmente inferiori a quelli delle attività terziarie. Ultimamente, con la scusa di venire incontro alle esigenze di flessibilità delle attività economiche, le leggi nazionali e regionali hanno di fatto annullato questa distinzione, ammettendo il cambio d'uso da produttivo a terziario a parità di contributi (non si paga niente, insomma). Questa, che è una tipica soluzione avvocatesca (sarebbe stato molto più logico ampliare il concetto di "produttivo") facilita di fatto l'espulsione delle attività produttive dalle aree di maggiore valore fondiario (il terziario è più remunerativo). Un bel favore alle rendite parassitarie e un bel calcio nel sedere a chi fa innovazione, ecco cosa è stato. Saluti
    3 febbraio 2021 • 08:42Rispondi
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