6 febbraio 2021

DALLA BOSNIA CON FURORE

La rotta balcanica, due mesi dopo l'incendio a Lipa


Molte persone hanno scoperto la Rotta Balcanica il Natale scorso, in seguito all’incendio del campo profughi di Lipa nella Bosnia nord-occidentale. Un fiume di reporter si è riversato nel cantone Una-Sana, al confine con la Croazia, per raccontare la notizia del momento. Dopo un lungo silenzio, questo breve ma intenso momento “sotto i riflettori”, ha portato all’esasperazione non solo i migranti, ma anche la polizia e gli attivisti locali e internazionali. Lo si può dire ora che è passato più di un mese dal fatidico evento e, non fosse per lo show di quattro eurodeputati bloccati sul confine a Bojna, probabilmente sul tema “Rotta Balcanica” non ne avremmo già più notizie.

Dentro uno squat a Bihac

Dentro uno squat a Bihac

Tra le analisi geopolitiche e le storie di giovani afghani, hazara o pakistani in cerca di un futuro migliore oppure in fuga da torture o arruolamenti forzati, si può finalmente ammirare con dovizia di particolari la barbarie che si consuma poche centinaia di chilometri più in là, rimanere sbigottiti, indignati, e decidere nel proprio piccolo di fare qualcosa.

È così che, come altre persone impegnate da tempo sulla rotta balcanica, da dicembre la casella mail della mia associazione ha iniziato a straripare di messaggi: tutti vogliono donare giacche, scarpe, medicine in scadenza, babbucce di lana fatte a mano per neonati, il proprio tempo e il proprio corpo pur di salvare quei ragazzi abbandonati, bloccati al freddo nella neve.

Fatica a parte, è bello vedere il risveglio della società civile. È anche frustrante, va detto, rendersi conto di quanto una briciola mossa negli equilibri dell’attenzione mediatica possa generare un cambiamento concreto e smisurato nell’attenzione pubblica, fino al giorno prima indifferente o ignara. A titolo d’esempio, la mia associazione, Linea d’Ombra ODV, ha ricevuto nel solo mese di gennaio donazioni quasi quanto nell’intero anno precedente. Straordinario, solidarietà concreta che diventa carburante per l’attivismo. Ma pensare che la rotta balcanica esiste da anni, che attraversa la Bosnia dal 2018, dopo che l’Ungheria ha chiuso le frontiere con la Serbia l’anno prima, per cui quello in corso è il terzo inverno che i “poveri migranti” si trovano ad affrontare bloccati al freddo nel cantone di Una-Sana (ne avevo già scritto su Arcipelago nel 2019, qui, qui e qui). Che ci sia o meno il campo, che si chiami Lipa, Bira o Vucjak, fa poca differenza: le persone lì si ammassano comunque*.

Comunque. Grazie al sostegno di tante brave persone sparse per l’Italia, Linea d’Ombra si è trovata con un discreto volume di donazioni non previste, e l’onere e l’onore di utilizzarlo al meglio, in nome di tutte e tutti, per aiutare chi ha più bisogno. Dopo quasi un anno di fermo dovuto alla pandemia, siamo tornati nella Bosnia nord occidentale: il nostro diciannovesimo viaggio. Siamo arrivati a Bihac venerdì 30/01 nel primo pomeriggio, ci siamo spostati a Velika Kladusa il lunedì e mercoledì 03/02 siamo rientrati in serata in Italia.

Quello che abbiamo trovato, rispetto ad altri anni, è una situazione come sospesa: una temporanea tregua concessa dalla polizia e dal governo locale ai migranti e alle persone solidali.

Solitamente chi non sta nei campi gestiti da IOM vive in squat (ruderi abbandonati, occupati dai migranti) oppure in jungle camp (accampamenti di fortuna, lontani dalle zone abitate, dove si può stare relativamente più tranquilli). Queste persone normalmente verrebbero sgomberate e portate nei campi, lontano dalla città, lontano dagli occhi, lontano dal cuore. In questo periodo però ciò non accade: la chiusura del Bira a fine settembre e l’incendio a Lipa hanno fatto sì che non ci fossero luoghi in cui costringere materialmente le persone, inoltre ci sono la neve e il freddo ad inasprire già le condizioni dei migranti, che per ora sono “liberi” di arrangiarsi come meglio riescono.

Racconta Zemira, attivista locale, che basteranno pochi mesi, la fine dell’estate: Lipa sarà ripristinato e ricominceranno le ronde per sgomberare i migranti così come la criminalizzazione della solidarietà, che non sono una novità da queste parti.

Migranti tornano con il cibo donato vero il proprio accampamento informale

Migranti tornano con il cibo donato vero il proprio accampamento informale

In Bosnia infatti portare aiuti ai migranti fuori dai campi ufficiali è reato: si rischiano multe ed espulsioni dal paese. Ciò nonostante ci sono gruppi, sia locali che internazionali, che a proprio rischio supportano chi vive in squat e jungle, portando cibo, vestiti, legna per scaldarsi e quant’altro possa servire. Non si tratta certo di misure sufficienti a garantire standard di vita dignitosi alle persone in transito, ma è sempre meglio che niente, e sicuramente meglio che essere perseguitati. Le attiviste che abbiamo incontrato sono donne forti, volenterose, che non si lasciano intimorire né dalla stanchezza, né dalla fatica, né dalle minacce degli xenofobi in città, che sono minoritari ma comunque preoccupanti. Per il momento la tregua regge, vedremo per quanto.

Nessuna tregua invece sul fronte croato: ci racconta l’organizzazione tedesca Blindspots che da metà gennaio, al confine di Velika Kladusa, il numero di respingimenti anche violenti è aumentato considerevolmente. Se prima si intercettava un pushback o due alla settimana, ora è normale assistere anche a tre respingimenti al giorno (non si tratta di operazioni individuali, ma di gruppi che variano in genere dalle 3 alle 50 persone). Sulle efferatezze dei croati contro i migranti si sono già spese abbastanza parole, non le riporterò qua. Vi rimando a una petizione che abbiamo lanciato con l’associazione.

Ogni persona incontrata in queste zone ha una storia di dolore e abusi subiti, ha lasciato da mesi, a volte anni, la propria casa, quasi sempre per sfuggire alla prigione, alla morte o all’arruolamento forzato nelle schiere di Daesh o dei talebani. Qualcuno fugge per motivi religiosi, come la minoranza Hazara, perseguitata nel paese di orgine. Qualcuno scappa per la fame, qualcuno per dare il pane alla famiglia. Sempre motivi legittimi, che dall’alto del nostro privilegio non possiamo nemmeno immaginare. Al massimo, mettendoci in relazione diretta, da pari, possiamo avere un’idea della nostra privilegiata fortuna, di quanto siamo viziati qui in Europa, di quanto abbiamo scordato cosa significhi lottare per i propri diritti, usare il proprio corpo per questo.

Al Krajina Metal di Bihac, migrante intento a lavarsi sotto la neve

Al Krajina Metal di Bihac, migrante intento a lavarsi sotto la neve

Quello che non può e non deve mancare in un report sulla rotta balcanica in Bosnia è un bel dito puntato dritto proprio contro l’Unione Europea, le sue politiche e la sua ipocrisia. Nella confusione mediatica può sembrare enfatizzata l’incompetenza bosniaca nel gestire il fenomeno migratorio. Sicuramente non parliamo dello stato più solido ed integro del pianeta, ma occorre sottolineare che i problemi della Bosnia sono tutti creati dall’UE, che pratica e sostiene i respingimenti e vede nella Bosnia un bel serbatoio di potenziale forza lavoro, oppure s’illude che sia un contenitore ermetico in grado di fermare il flusso.

L’Unione Europea ha versato un totale di 89 milioni di euro in Bosnia in tre anni per la gestione dei migranti. 77 di questi sono stati spesi da IOM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) direttamente per la gestione dei campi – che comunque versavano in condizioni disastrose. Il governo bosniaco ha ricevuto 12 milioni di euro in tutto. Nel contempo, per avere un paragone, l’agenzia per la sicurezza delle frontiere esterne europee, Frontex (ora sotto indagine per mala gestione), ha visto incrementare il proprio budget annuale da 333 milioni nel 2019 a 1,1 miliardi nel 2021, senza contare i soldi e le attrezzature date direttamente alla Croazia per il controllo dei confini. Se a questo aggiungiamo il nuovo PACT, patto sulle migrazioni, che darà via libera ai rimpatri rapidi, si capisce perfettamente cosa ne pensi la vecchia Europa dei diritti umani: sono solo carta straccia.

Ipotizzare gli sviluppi futuri in Bosnia non è difficile per chi tende le orecchie e ascolta con attenzione (le attiviste locali e ben informate, per esempio). Il foreign office del governo bosniaco dovrebbe prendere a pieno regime la gestione dei campi e dei flussi migratori nei prossimi mesi, avendo IOM come partner pronto a dispensare il know-how e controllare come vengono spesi i soldi europei, che verranno spesi per creare a Lipa un grande campo da 5000 posti, dove stipare gran parte dei rifugiati presenti al momente in Bosnia. Sulla falsa riga dell’accordo con la Turchia, ma in scala minore, daremo dei soli a un paese esterno perché si tenga i migranti**. Come la Grecia nell’Egeo, la Croazia continuerà una brutale selezione: in Europa per la bassa manovalanza accettiamo solo gli individui più forti e in salute. Tutti gli altri possono restare fuori, subire rimpatri o passare la vita chiusi nelle tendopoli.

Francesco Cibati

La croazia ha disboscato una fetta di bosco larga circa 40 metri per segnare il confine e rendere evidenti i tentativi di passaggio

La croazia ha disboscato una fetta di bosco larga circa 40 metri per segnare il confine e rendere evidenti i tentativi di passaggio

* Bira, Vucjak e Lipa sono i nomi di tre campi che al momento non esistono più. Il primo, ricavato dentro una fabbrica di elettrodomestici in disuso, ospitava fino a 2000 persone. È stato chiuso per motivi politici lo scorso settembre, costringendo le persone al suo interno a trovare riparo altrove, in ruderi oppure in campi improvvisati nei boschi.

Vucjak, letteralmente “la tana del lupo”, è stato un campo, aperto nel 2019, sopra una discarica, lontano dal centro cittadino di Bihac per volere del comune e gestito dalla croce rossa locale, in una zona minata e priva di acqua corrente. Quell’anno centinaia di persone sono state deportate dalla città al campo, per evitare che “rovinassero” il decoro del centro durante la stagione turistica. È stato chiuso con l’arrivo dell’inverno perché completamente ingestibile.

La stessa cosa, più o meno, è accaduta anche all’ultimo campo nominato, il Lipa, nato come campo d’emergenza per il Covid, che tutti conoscono: il campo che è andato a fuoco, dopo che IOM ne ha annunciato la chiusura per le condizioni insostenibili in cui si trovava a lavorare. Pochi sanno che entro la fine dell’estate dovrebbe tornare attivo, più grande di prima, pronto ad accogliere ben 5000 persone: in pratica un altro Moria ma più vicino a noi (e questo dovrebbe far capire anche al più cocciuto politico europeo che le migrazioni non si possono fermare, come non si può fermare l’acqua con le mani). Allo stesso modo pochi sanno tutte le ipotesi formulate dai migranti e dalla popolazione locale su come mai, in effetti, il campo sia andato a fuoco. Qualcuno ad esempio suppone che IOM stessa, attraverso il proprio servizio di sicurezza privato, abbia appiccato il fuoco.

** Per avere un’idea dei numeri di rifugiati in ciascun paese, si pensi che in Turchia stanno circa quattro milioni di persone, in Grecia circa 100’000, in Serbia 8000 e in Bosnia 8400. Numeri che in realtà possono essere anche più alti.

Distribuzione della legna al Krajina Metal

Distribuzione della legna al Krajina Metal

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


17 maggio 2021

SICUREZZA SUL LAVORO

Francesco Bizzotto



8 maggio 2021

LE DONNE NEL SISTEMA SANITARIO LOMBARDO

Elisa Tremolada






24 febbraio 2021

LA CASA DELLE DONNE

Antonella Nappi e Giovanna Cifoletti



3 gennaio 2021

L’UE PENSA A NOI

Giuseppe Gario



30 ottobre 2020

CHI HA PAURA DEL “CANONE SOCIALE”?

Sergio D Agostini


Ultimi commenti