30 ottobre 2020

CHI HA PAURA DEL “CANONE SOCIALE”?

(Provaci ancora, Gabriele)


Il problema di dare una casa a chi non ha i mezzi né per andare sul mercato immobiliare dell’acquisto né su quello della vendita rimane ancora drammaticamente aperto.

dagostini 2

La risposta che mi vien da dare è: tutti, con l’eccezione forse dell’Assessore alla Casa Gabriele Rabaiotti (e, naturalmente, per mission, dei Sindacati degli Inquilini). Ma andiamo per ordine. Da decenni ormai si sottolinea come il gap fra dimensione della domanda di ERP (a canone sociale, definito in base al reddito familiare dell’occupante e non dal mercato, neppure calmierato) e la capacità del sistema di farvi fronte è talmente enorme che solo un Piano pluriennale di intervento nazionale straordinario dotato di risorse inimmaginabili potrebbe farvi fronte.

Nell’attesa di questo improbabile evento, quindi, la cosa finisce per costituire un alibi per far poco o niente. A parte la considerazione che, nel caso un tal Piano di nuove costruzioni vi fosse, rischierebbe ancora di concentrare le fasce più deboli ghettizzandole.

Ecco perché il tentativo dell’Assessore, persona di provata competenza scientifica, con esperienza amministrativa precedente al Municipio Barona e da qualche tempo responsabile anche del settore sociale, di guardare dentro questa domanda immutabile (le 20.000 famiglie, più o meno) stabilendo graduatorie di necessità, e soprattutto di guardare dentro lo stock pubblico, per vedere quante abitazioni possono essere rese disponibili, perché libere e da ristrutturare o perché occupate da famiglie che non ne hanno diritto (del tutto abusive o per perdita dei requisiti) può ridurre di molto questa distanza rendendola in qualche modo affrontabile con politiche (e risorse) comunali, pur senza rinunciare naturalmente a rivendicare nuovi finanziamenti regionali e nazionali, da impiegare comunque in modo sinergico con le strategie di riqualificazione dell’esistente.

Ed ecco perché l’obiettivo posto da questa Giunta di “nessuna casa comunale sfitta” al termine del mandato, che significa riuscire in cinque anni a dare casa a 3.000 famiglie in graduatoria, appare non solo straordinariamente ambizioso (anche perché sempre mancato da più Giunte precedenti) ma soprattutto se, come sembra, sarà sostanzialmente raggiunto, costituisce una risposta concreta alla domanda sociale di dimensione inedita.

Se questa impostazione sarà seguita in tempi ragionevoli anche per le case Aler, almeno altrettante abitazioni pubbliche potranno essere rese disponibili, riducendo ulteriormente il gap rispetto alla domanda sociale.

È ovvio che altre politiche servono per evitare il più possibile che si formi nuova domanda che vada a riempire le graduatorie.

E qui dovrebbe entrare in ballo anche il contributo dello stock privato in affitto calmierato, sia di quello nuovo derivante dalle quote di housing sociale previste dal PGT, sia ancor più di quello esistente mantenuto sfitto o impiegato per lucrosi usi transitori. In questo campo i risultati sembrano finora del tutto insufficienti, nonostante gli sforzi compiuti dall’Agenzia Milano Abitare per promuovere i contratti di locazione a canone concordato previsti dall’Accordo Locale. A parte qualche intesa raggiunta con gestori immobiliari illuminati, i singoli piccoli proprietari non sembrano farsi convincere dai vantaggi fiscali ed economici che dovrebbero compensare il minor introito rispetto ai valori di mercato, né dalle altre garanzie offerte dell’Agenzia.

Il Comune ha avviato un nuovo bando per la coprogettazione con soggetti di Terzo Settore dell’Agenzia Sociale per la Locazione per un suo rafforzamento e rilancio con compiti più ambiziosi, come quello di stimolare e orientare la mobilità fra le diverse forme di locazione. È evidente che si tratta di un compito arduo ma decisivo per avvicinarsi ad un uso più pieno, razionale ed equo dello stock sia pubblico che privato.

E vengo all’ultimo punto, che giustifica il titolo. Un modo per superare la stigmatizzazione delle “case popolari” dando loro dignità di abitazioni uguali a tutte altre, avrebbe dovuto essere la introduzione di quote obbligatorie di locazione a canone contenuto nei grandi interventi privati di nuova costruzione. Così ha fatto il terzo bando Abitare a Milano, noto come “otto aree” e ultima derivazione del Piano Verga del 2005 (!), prevedendo quote, abbondantemente cofinanziate da Regione Lombardia, di abitazioni a canone sociale in ciascuna area e a canone moderato solo in una, quella di via Voltri; ma solo sei delle otto aree sono state assegnate e la più grande sta andando in attuazione solo ora.

Così ha fatto il PGT Masseroli/De Cesaris, imponendo quote di social housing nei nuovi interventi, ma solo per il 5% a “canone sociale”. Pochino ma, per di più, in alternativa monetizzabile. Opzione, quest’ultima, scelta ovviamente dalla totalità degli operatori; con introiti per il Comune assai modesti, peraltro opportunamente dirottati per la riqualificazione dell’esistente.

(Nel frattempo andavano in attuazione i più importanti interventi della città, a City Life e Garibaldi-Repubblica, senza neanche un mc di affitto a canone calmierato. Eppure mi sarebbe piaciuto, al Solaria, al Bosco Verticale o nelle case di Hadid e Libeskind vedere un po’ di famiglie estratte dalle graduatorie ERP!)

No, no, le “case popolari” non le vuole proprio nessuno. Chi venderebbe i costosi appartamenti in adiacenza? E il nuovo PGT ne prende atto, prevedendo che le quote di ERP (sempre del 5% e non di più) siano semplicemente sostituibili con altre forme di affitto calmierato; restano obbligatorie solo nel caso di finanziamento pubblico (che, immagino, si avrà cura di localizzare opportunamente). Ben vengano, comunque, questi finanziamenti pubblici!

In controtendenza, mi piace segnalare l’annuncio fatto a “Fare Milano” da Fabio Carlozzo, ad di REDO sgr, la società di gestione che sta attuando la più importante delle “8 aree”, quella di Merezzate, che le diverse forme di proprietà e locazione (inclusa la quota ERP) saranno mescolate e non localizzate ciascuna in edifici distinti. Interessante e sfidante, staremo a vedere.

Supererebbe così un limite dell’altro importante intervento derivante dalle “otto aree”, quello di via Voltri alla Barona, già realizzato e assegnato da tre anni, con il più elevato numero di alloggi a canone sociale (57) in gestione a privati e che è lì a dimostrare che si può fare e che anche quote importanti di ERP (circa il 25% dell’intero intervento) sono felicemente integrabili in interventi misti di edilizia residenziale sociale, purché accompagnati da un “gestore sociale” esperto, nel caso la Cooperativa Dar Casa. Naturalmente si può sempre far meglio, evitando appunto di separare in appositi edifici le diverse forme di godimento e avendo maggiore flessibilità nella selezione delle famiglie così da evitare, ad esempio, assegnazioni già in partenza in sovraffollamento.

Quest’ultimo aspetto riconduce all’esigenza già segnalata di accompagnare la mobilità abitativa in coerenza con le strategie redistributive fra le diverse forme di locazione tese a migliorare l’uso dello stock e il mix sociale e che dovrebbero appunto essere agevolate dalla rinnovata Agenzia Sociale per la Locazione.

Provaci ancora, Gabriele!

Sergio D’Agostini



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  1. Cesare MocchiAhimè quanti errori. Sono proprio le premesse ad essere sbagliate: senza un piano nazionale eccezionale, nuove case a canone sociale non si possono fare. E quindi, visto che questo piano non arriverà mai, ci arrabattiamo con quello che abbiamo (il 5% - la domanda però è il 50%, dieci volte tanto, quisquilie... - però monetizzabile, però obbligatorio solo se ci sono le risorse pubbliche... ovvero alla fine lo 0%). Guardiamo cosa fanno all'estero. Ikea (un operatore privato) in Inghilterra intende mettere in vendita affordable houses a un prezzo che varia dalle 45 alle 100.000 sterline. Sì, perché oggi con l'edilizia off-site (ben più di qualità della vecchia prefabbricazione) si può costruire a 700-800€/mq. E con una rendita del 3-4% annuo, il canone di un'appartamento di 90 mq corrisponde a un terzo dei redditi di una famiglia di ceto medio-basso. Quindi si può fare, se solo il Comune mettesse a disposizione le sue aree inutilizzate (milioni di metri quadri) come avvenuto peraltro ai tempi di Verga (centrodestra) e a Merezzate. Solo non si fa, perché? Innanzitutto per non scontentare le cooperative, dove lavorano molti quadri degli attuali partiti di centrosinistra. E poi per la pigrizia dei costruttori edili, abituati al tradizionale, più costoso. Vengono recuperati gli alloggi, bene, era ora. Ma ricordo che non tutti andranno a canone sociale, anche qui è prevista la convenzionata e la libera, in quote da stabilire. L'assessore è colto? Sì, purtroppo di quella cultura accademica che non guarda la realtà. Se magari si parlassero meno fra di loro, e dimostrassero un po' più di coraggio e di inventiva, non sarebbe male.
    4 novembre 2020 • 07:59Rispondi
  2. Cesare MocchiUna piccola aggiunta: in altre nazioni viene monitorato appunto l'"affrontabilita'" (se si può dire) della casa, ovvero il rapporto fra stipendi medi e prezzi/canoni. Con un indice superiore a 4, c'è un problema. l'Italia (e Milano in particolare) pare sia attorno a 7. Pare, dico, perché la nostra nazione non partecipa ai monitoraggi, ha altro da fare (tipo nascondere i problemi sotto il tappeto). Ho una proposta da fare ai nostri illustri accademici: perché, visto che la loro second Mission dovrebbe essere la ricerca (la prima essendo la formazione, ma adesso parlano anche di third mission, ovvero proporsi per ruoli di governo per i quali sono evidentemente inadeguati, visti gli scarsi risultati nelle due prime mission istituzionali, vero...), perché, dicevo, non fanno una bella ricerca sui livelli di affordability del mercato della casa? Da lì potrebbe venire fuori qualche numero che potrebbe anche aiutare i nostri governanti a trovare le soluzioni adeguate. Grazie
    4 novembre 2020 • 08:10Rispondi
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