15 aprile 2021

CARI UOMINI: CONTINUERETE A PARLARE DA PADRI?

Viaggio sulla strada che connette il DDL Zan al caso Grillo


Il mio nome è Elisa. È un nome di donna, come lo sono io. Se volete passare oltre, perché sono una donna e questo è un articolo che parla di violenza di genere: concedetevi il lusso di sbagliarvi.

Non c’è giornata, conversazione, ambito che non finisca per ricordarmelo: sono una donna. Vivo la mia vita consapevole che qualunque cosa dica, che io lo voglia o meno, è giustificata col mantra “lo dici perché sei donna” – d’altra parte è palese che pesi di più sul mio ragionamento ciò che non ho tra le gambe rispetto ai miei studi, alle mie esperienze, ai miei interessi.

Così, quando sento dire (da tutti, inutile citare i singoli) che Beppe Grillo1 quando giustifica il figlio indagato per stupro “parla da padre”, qualcosa mi nasce nello stomaco e non riesce a uscire, né come risata né come singhiozzo: dunque mentre io figlia, io donna, io soggetto-non-soggetto che non apre bocca se non quando interpellata, io devo lottare ogni ora per conquistarmi un piccolo spazio di oggettività in cui ciò che dico non sia associato ai miei organi riproduttivi; mentre succede questo, un padre, un politico, un uomo può dire qualunque cosa desideri proprio in funzione di ciò ha tra le cosce!

credits: paintingvalley.com

credits: paintingvalley.com

La parola padre, soprattutto nella cosiddetta “informazione” italiana sia essa in TV o sui giornali, è molto amata. Perché i padri, come dice la scrittrice e attivista Djarah Kan2, sono notoriamente al di sopra delle parti. Non persone come noialtri. Figure che possono ergersi a giudici imparziali, solo in virtù delle qualità loro donate dall’aver sparso in giro il loro seme. Chi conosce il femminismo avrà sulle labbra la parola patriarcato. Questo termine spaventoso che indica come la nostra società, passata presente e forse anche futura, abbia costruito la figura del padre, dell’uomo, del maschio, come un simbolo di giustizia – violenta – e di potere assoluto. Questo termine che si fa fatica a pronunciare fuori da certi ambienti, perché troppo polarizzante, troppo radicale, troppo… azzeccato?

D’altra parte, ve ne sarete resi conto: i padri non hanno nulla in comune con le madri, piegate dalla loro condizione a una totale parzialità verso la loro progenie. Ah, no. Loro soli possono ragionare senza condizionamenti, e ristabilire l’ordine del giusto e dello sbagliato. Loro soli possono giudicare la condotta di una moglie, di una compagna, ed esasperarsi al punto di commettere violenze. Loro soli possono decidere che la giusta punizione per questa compagna debba essere la morte dei suoi figli3. Loro soli.

Quanti padri, quanti uomini saranno scioccati leggendo queste parole. Ve lo dico senza astio: del vostro shock, inizia ad importarmi sempre meno. E credo che dovrebbe importare di meno anche a voi. Provate a uscire dalle vostre scarpe, per una volta. Provate a pensare cosa possa voler dire vivere vite intere con la consapevolezza che più del tuo parere sui tuoi problemi, sui tuoi drammi, sulle violenze cui sei e sarai sottoposta finché vivi, alla società importa del parere “da padre” di un uomo che la parola consenso non ha neppure imparato a pronunciarla – e infatti Grillo dice “consenzietà”, come ha notato Attili nel suo magistrale monologo a Propaganda Live.

Antonella Attili a Propaganda Live

Antonella Attili a Propaganda Live

Da qui vorrei partire per portarvi da un fatto di cronaca come ne succedono mille in quest’Italia misogina e omofoba, ad un fatto di legge e di giustizia che potrebbe cambiare le cose.

Si è parlato parecchio, nelle ultime settimane, del disegno di legge proposto dall’On. Zan insieme ad altri, volto a contrastare la violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. Se ne è parlato fuori dai bar chiusi e dentro le aule parlamentari, aperte ma troppo impegnate per occuparsi della questione secondo lo schieramento leghista. Evidentemente, dal 2 maggio 2018 (data della presentazione del DDL Zan) ad oggi i nostri politici non hanno avuto un attimo di tregua, o questa legge non avrebbe avuto un iter lungo quasi il doppio rispetto alla media nazionale per l’iter delle leggi parlamentari – circa un anno e mezzo.

È chiaro che, posti i limiti temporali della burocrazia, il DDL Zan fatica a trovare approvazione. Emerge quasi sempre nelle conversazioni su questi temi un preoccupante caso di “due pesi, due misure”. Si parla a stento, con cautela, della necessità di proteggere chi di questo potenziale reato è o sarà vittima (donne etero, donne lesbiche, uomini gay, persone bisessuali, trans, queer e gender fluid): l’accento invece rimane saldo al suo posto sulle terribili conseguenze lesive delle libertà personali che gli uomini, potenziali aggressori e non, potrebbero subire a causa del terribile DDL Zan.

Leggete tra le righe: povero Beppe, parla da padre stremato da due anni di processo… mentre lei, vittima-carnefice di questo patriarca in crisi, otto giorni dopo parlava già da strega, da meretrice, da poco di buono che si espone a un interminabile battaglia legale solo per il gusto di gettar fango sul figlio di quest’uomo. Ai magistrati e ai posteri l’ardua sentenza.

Se la bilancia del giudizio popolare non tendesse così fortemente da una parte, potrei mettermi a disquisire tranquillamente sui limiti e sui difetti del DDL Zan. Potrei raccontarvi come questo disegno di legge in realtà sia oltremodo attento a non limitare la libertà di espressione4 anche in casi ove le “opinioni” espresse siano chiaramente volte a invalidare la sessualità o l’orientamento di qualcuno: eh già, miei cari “ma allora non si può più dire niente”: potrete continuare a dire di tutto.

Potrei anche dirvi che questo DDL stanzia solo 4 milioni di euro annui (0.2% del PIL, dati ISTAT 2018) per la prevenzione di violenze basate su sessualità o identità di genere. In Italia, dove una donna su tre dichiara di aver subito qualche forma di violenza fisica o sessuale, questi soldi dovranno bastare ad invertire una tendenza contro cui tre generazioni di femministe hanno faticato a lottare. In Italia, dove la quasi totalità (91%) delle persone LGBT si sente discriminata5 e dove tale è il pregiudizio che neppure esistono dati attendibili sul fenomeno dell’omofobia, questi soldi dovranno bastare ad educare al rispetto della diversità milioni di cittadini.

Potrei dirvi che questo DDL non è abbastanza, che sono due righe di aggiunta in fondo a due articoli di un’altra legge, che bisognerebbe riprendere in mano tutti i testi che parlano di soggetti discriminati – tra cui, mi spiace dirlo, vanno incluse anche le donne che pur essendo metà della popolazione continuano ad essere discriminate – e modificarli, unirli, rinnovare queste leggi che non prendono in considerazione i cambiamenti sociali degli ultimi decenni.

Potrei, ma eviterò di farlo. Perché in una società come la nostra parlare di questi dettagli significa rallentare un processo lunghissimo e difficile di accettazione della diversità, di educazione al rispetto dell’altrǝ6, processo che molti uomini e donne nella nostra cara Italia devono ancora cominciare. Severgnini, ospite di Gruber a Otto e Mezzo, dichiara che nella sua come in molte famiglie si educano i ragazzi a cosa significhi il rispetto interpersonale anche in ambito sessuale e sentimentale, che Grillo è un unicum, un uomo che ha “perso ogni equilibrio”. E poi, incalzato da Murgia: “E’ però normale che se vedo mia nipote andare in giro in minigonna io le dica: stai attenta…7. Un altro uomo, un altro padre la cui opinione cala su di noi come la Divina Provvidenza.

Grazie, Beppe. Sono nata nel 1997 nel centro della modernissima Milano, in una modernissima famiglia – eppure quante volte questa “normale” raccomandazione mi è stata fatta da mio padre, da mia madre? Ogni singolo giorno, ogni singola sera. Quante volte mio fratello si è sentito spiegare perché fosse sbagliato molestare una passante in minigonna, o perché fosse importante il consenso in un rapporto sessuale? Mai. Perdonatemi la franchezza, ma non sarà che per una volta il vostro pensiero di maschi bianchi, etero e cisgender non è poi così utile alla collettività?

Non si tratta di un insulto, tutt’altro. So per certo che ora mio fratello comprende tutte le sfumature del consenso, e non ho motivo di dubitare che anche Severgnini le capisca appieno. So, perché li ho visti (qui le prove fotografiche) che migliaia di uomini hanno manifestato il 26 novembre 2019 a Roma contro la violenza sulle donne e di genere, accanto a migliaia di donne e di soggettività differenti. So che si può nascere uomini e comunque non sentirsi riassunti dal pensiero dominante su cosa un uomo dovrebbe essere.

Lo so, ma non mi impedisce di vedere come per conservare la voce di chi ha sempre potuto parlare – e spesso non lo fa -, si rischia di continuare a silenziare quelle voci che non hanno potuto esprimersi per secoli – e a volte, pur di farlo, hanno rischiato tutto. Dobbiamo iniziare a rivolgere altrove le nostre domande sulla legittimità di un disegno di legge che tutela chi viene discriminato in base al genere, al sesso, all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Dovremmo rivolgerle, ad esempio, a chi quelle discriminazioni le subisce.

Chiedete a una ragazza qualsiasi cosa farebbe se per ventiquattr’ore non ci fossero uomini sulla Terra. Otterrete risposte che, nella loro diversità – camminare da sola la sera, vestirmi come voglio, andare a ballare, fare un viaggio… – sono tutte riassumibili in un’unica parola: vivere8.

Chiedete ad un ragazzo gay, ad una ragazza lesbica, ad una persona transessuale o bisessuale o queer che cosa sia il “pensiero unico LGBT” che il DDL Zan introdurrebbe nelle scuole come parte del corso di educazione civica9. Vi risponderà che non esiste, che quel “pensiero unico” è davvero un unico pensiero: ogni persona, al di là del suo orientamento sessuale o identità di genere, ha diritto di vivere. Senza essere annientata, invalidata, torturata da chi non la pensa come lei. Davvero radicale come richiesta, in effetti.

Chissà se, dopo, vi sembrerà di non aver perso tempo a leggere questo articolo. Chissà se prenderete coscienza del vostro privilegio, di quante se ne stanno faticosamente assicurando un pezzettino, di quantǝ ancora aspettano perché adesso “ci sono altre priorità”, di quanti lo stanno mettendo in discussione. Chissà.

Nel frattempo, quando si parla di violenze contro una categoria della quale voi non fate parte, quando si affronta un argomento che altrǝ conoscono meglio di voi, quando si racconta la storia di un abuso che non avete mai subito: tacete. Che, nel dubbio, il silenzio è d’oro.

Elisa Tremolada

1 Video pubblicato da Beppe Grillo su YouTube il 19/04/2021 disponibile a questo link.

2 Ripreso da un testo pubblicato sulla pagina Instagram @djarahkan il 22/04/2021 disponibile a questo link.

3 Non cito un singolo episodio: purtroppo ci sono stati diversi casi di questo tipo negli ultimi anni, a questo link il più recente.

4 Come espresso in maniera esplicita nel Parere della I Commissione Permanente, disponibile a questo link.

5 Gusmeroli, T., e Trippolin, P. Raccontare l’omofobia in Italia. Genesi e sviluppi di una parola chiave. Testo disponibile a questo link.

6 Questo, per esempio, è lo schwa: lettera dell’alfabeto fonetico che si adotta per una scrittura (e una conversazione) più inclusiva dato che non è né un maschile né un femminile ma include tutte le possibili sfumature del genere al suo interno. Clicca qui per saperne di più.

7 Estratto dalla puntata di Otto e Mezzo del 23 aprile 2021, disponibile a questo link.

8 Come faccio a saperlo? Qualche mese fa la stessa domanda è stata posta da un utente su TikTok: qui potete leggere qualche risposta.

9 Mi riferisco a domande come quella fatta a Chiara Valente da Antonella Mariani su Avvenire: “Cosa succederà nelle scuole? Molti temono il pensiero unico Lgbt…” (articolo pubblicato il 21/04/2021 a questo link).



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