15 giugno 2019

IL CIBO DEL FUTURO? GIA’ MANGIATO!

Un ritorno al passato: non per gola ma per sopravvivere


Food Science Hero-02Il 21 ottobre 2015, a chiusura di Expo Milano, il CNR ha organizzato la conferenza Nuovi cibi tra ricerca, sostenibilità e innovazione. Ero seduto a fianco di un responsabile del padiglione della Cina che, con grande interesse, mi ha chiesto quali fossero gli alimenti del futuro per noi italiani, depositari della cultura alimentare occidentale. Io ho risposto come da programma del CNR “alghe, insetti e meduse”. Il dirigente cinese ha sorriso a lungo, prima di dire: “il cibo della nostra tradizione!”.

Ed è proprio questo il punto. Quello che per alcuni è innovazione, per altri è tradizione. Di più, si può certamente affermare che la tradizione ha inizio con una innovazione.

Ecco qualche esempio. Patate e Melanzane (mala-insana = frutto insano) sono stati considerati cibi “impuri”utilizzati unicamente come cibo per animali. La melanzana, considerata come pianta volgare adatta all’alimentazione animale o ai ceti più bassi della popolazione, arrivò in Europa nel Medioevo grazie agli arabi che la diffusero in Sicilia e in Spagna. La patata invece comparve in Europa solo a metà del ‘500 e attese quasi due secoli prima di essere accettata come alimento umano, a fine ‘800, (grazie alla scoperta che la solanina, alcaloide potenzialmente tossico, veniva inattivata dalla cottura).

La tradizione alimentare riguarda anche uno dei nostri prodotti italiani più amati: la pizza. Ma come possiamo affermare che si tratta davvero di un nostro cibo, quando il pomodoro è arrivato in Europa nel 1492, grazie a Cristoforo Colombo? Infatti nell’ampia zona mediterranea erano noti impasti cotti di grano e acqua fin dal 990, mentre la napoletanissima pizza margherita è databile solo 1889.

Food Science Hero-01Per quanto riguarda gli insetti, considerati lontani dalla nostra cultura e tradizione, ecco riferimenti poco contestabili.

La Bibbia (Levitico, XI, 211-222) elenca alcune specie di insetti non considerabili come impuri, la cui consumazione era pertanto lecita: bruchi, àttaci o attélabi (locuste senz’ali), grilli e cavallette. Sembra certo che San Giovanni Battista si nutrisse soltanto di locuste condite con miele selvatico. Le locuste erano regolarmente consumate anche in Grecia insieme alle cicale, citate da Aristotele come un alimento molto apprezzato.

I Greci erano ghiotti poi di larve di alcune farfalle, secondo Aristotele, Plinio ed Erodoto. Ai Romani piacevano invece le larve di un coleottero noto come “cossus” (Lucanus cervus o Prionus corioranus) che venivano nutrite con farina e vino (Plinio, Naturalis Historia).

Anche Leonardo da Vinci nel suo libro Note di cucina aveva redatto un elenco di insetti commestibili: grilli, api e bruchi. Gli insetti comparvero nei ricettari europei (inizialmente come pozioni più che come cibo) alla fine del secolo XVI, per poi divenire nel tempo alimento tipico locale. Infatti in molte regioni italiane (dalla Puglia al Piemonte, dalla Sardegna alla Lombardia) troviamo ancor oggi la produzione artigianale di formaggi ‘saltellanti’ come il “formaggio punto” o il più noto “casu marzu” (formaggio sardo oggi Presidio Slow Food) dove le mosche (Piophila casei) depongono le uova, e le larve lavorano la pasta del formaggio rendendola cremosa e aromatica.

Gli insetti sono stati utilizzati tradizionalmente anche nell’industria delle bevande alcoliche, con il rosso di Campari e Alchermes ottenuto dalla cocciniglia. Ma come la mettiamo con il disgusto provocato da molti nuovi cibi?

Il disgusto spesso si tramuta in gusto e moda, come nel caso del sushi: pesce crudo avvolto in riso e alghe e aromatizzato con salsa di soia, apparentemente poco appetitoso per l’Europa. Certo le avversioni esistono e restano come fatto culturale, soggettivo, affettivo, ma vengono mitigate da globalizzazione, crescente diversità etnica, ricerca di nuove fonti di nutrienti. Nei Paesi anglosassoni è bandita la carne di cavallo (da noi abbiamo invece le macellerie equine), negli USA il coniglio è considerato animale affettivo, come cane e gatto, e dunque non commestibile (niente gustoso coniglio alla ligure con olive e pinoli), in Oriente il latte è una secrezione mammaria poco invitante (in barba alle nostre mozzarelle). Noi italiani non mangiamo serpenti – anguille e capitoni sì – e insetti ma apprezziamo i crostacei che ne sono parenti molto stretti, basti pensare alla morfologia di grilli e gamberetti.

Oggi consideriamo alimenti comuni prodotti che non sono tradizionali come mais, kiwi, bacche di goji. Un cibo come gli insetti, consumato da non meno di 60 paesi nel mondo (circa 3 miliardi di persone), ha già iniziato il suo cammino di cittadinanza europeo. Piaccia o meno, il progresso è fatto di innovazioni che, nel tempo, diventano esperienza comune e dunque tradizione.

Gli insetti non sono un cibo del futuro o di sintesi (come la carne in provetta, Novel Food a pieno titolo), ma un prodotto naturale delle campagne. E il nostro cibo è sempre stato e rimane un atto agricolo. Come dice Carlo Petrini, riguardo al futuro del nostro cibo, “la società contadina, che qualcuno voleva morta e sepolta, è invece un elemento innovativo della società planetaria.”

Una società sempre più popolata e con tendenze alimentari dettate dagli chef, i nuovi sacerdoti del gusto. E infatti gli ‘stellati’ sono già pronti a sfidarsi con nuovi ingredienti sostenibili e d’effetto, come nel caso di Carlo Cracco che ha creato un ento-menù di 4 portate:

Antipasto: insalata di gambi di fiori di zucca e polvere di Triobolo Worms
Primo esotico: Crema di riso venere, Buffalo bugs e coriandolo
Frittura a sorpresa: Tuorlo d’uovo impanato con larve e purea di melanzane
Acridi ubriachi: locuste brasate al vino rosso.

Dunque, nel prossimo futuro, tutti pronti a dire: “Cameriere, vorrei un insetto nel piatto!”

Food Science Hero

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