20 dicembre 2016

sipario – SHAKESPEARE, LE DONNE, DOPO 400 ANNI CON CAROLINA CAMETTI


Nel 2016 è ricorso il 400° anniversario della morte di Shakespeare, cui i teatri di tutta Italia hanno rivolto un tributo riproponendo o reinterpretando alcune sue opere e organizzando iniziative collaterali per far riflettere sull’attualità del loro significato. A Milano, il Teatro Elfo Puccini (che al drammaturgo inglese ha una sala dedicata) il già consolidato catalogo di messinscene dalle opere del Bardo, si è intensificato dando vita a un vero e proprio percorso shakespeariano: dal romanticismo dei Sonetti d’amore di Dove sei, o Musa, all’atmosfera sospesa di Sogno d’una notte di mezza estate, dalla durezza dell’Otello alla “fiaba” dello Shakespeare a merenda per i più piccoli.

sipario42fbNell’ultima uscita annuale di “Sipario – dietro le quinte” cerchiamo di capire meglio il significato e il valore dell’operazione compiuta, insieme a una delle sue interpreti: l’attrice Carolina Cametti. Originaria di Roma, si è diplomata nel 2011 alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e da allora collabora con la Compagnia dell’Elfo Puccini, confrontandosi in più occasioni il teatro shakespeariano reinterpretato originalmente dalla regia di Elio De Capitani. Nel 2011 ha ottenuto una menzione speciale al Premio Hystrio per la “spregiudicata, spietata Psicosi di Sarah Kane”; nel 2013, con il progetto Love sos, da lei ideato, scritto, diretto e interpretato è stata finalista ad Asti Scintille, al Premio Scenario e al Festival Next Generation.

La tua ultima interpretazione nell’ambito del teatro shakespeariano ti ha vista nei panni di Bianca, nell’Otello dell’Elfo Puccini (24 ottobre – 13 novembre 2016): una storia di xenofobia, femminicidio, invidia e incapacità di confrontarsi con ciò che non si conosce, con il dubbio, la gelosia e l’incertezza; una tragedia attuale oggi come nel Seicento. È la prova che il teatro ha sempre avuto la funzione di mettere in scena ed esorcizzare i fantasmi dell’inconscio collettivo? di denunciare il moralismo sotto il quale, in tutte le epoche, si nascondono le tante forme d’intolleranza sociale e privata?

Il teatro, oggi come in passato, ha la funzione di far riflettere sulla natura umana mettendo in scena situazioni nelle quali, in qualche misura, gli spettatori potessero riconoscersi. Perché ciò accada i personaggi possono anche non essere “veri”, ma devono essere realistici e quindi “attuali” attraverso le epoche. Il Moro, Otello, rappresenta il “diverso”, e come tale si trova in una situazione di svantaggio rispetto al mondo cui appartengono naturalmente gli altri personaggi. Una condizione in qualche modo paragonabile oggi a quella dei migranti in terra straniera. Iago rappresenta invece l’invidia, la malevolenza umana, subdola e capace di minare le sicurezze degli altri personaggi e di corromperli. Un personaggio dal fascino per e senza tempo. Anche le altre figure compongono, nel loro insieme, l’immagine di un mondo in cui ruoli, rapporti, consuetudini e comportamenti sociali sono spesso molto diversi da come i membri di una società vorrebbero farli apparire. Sotto la superficie ci sono sempre incertezze, infelicità, oppressione, pregiudizi e desideri, che difficilmente gli individui vogliono ammettere.

Nella pièce interpreti il ruolo di Bianca, la cortigiana amante di Cassio, che viene astutamente trasformata da Iago in strumento per suscitare la folle gelosia di Otello verso Desdemona. Ma non è la prima volta che ti confronti con un personaggio femminile shakespeariano: in Sogno d’una notte di mezza estate, sei stata la capricciosa Elena, ossessionata da un amore non corrisposto e determinata a rompere la tradizionale passività della donna rispetto alle decisioni del “maschio” di volerla o rifiutarla. Che tipo di donna è quella pensata da Shakespeare?

Tutti i personaggi femminili creati da Shakespeare sono psicologicamente ben costruiti e, nella loro diversità, incarnano diversi aspetti o diverse età della natura femminile e del rapporto tra questa e il mondo maschile. Nell’Otello compaiono tre donne di età diverse e con esperienze dell’amore molto  dissimili: Desdemona è giovanissima, ha solo 17 anni e Otello rappresenta per lei il primo amore; per seguirlo ha abbandonato la casa paterna e il suo sentimento è ancora molto forte: il dramma si consuma solo pochi giorni dalle nozze e la violenza di Otello riflette, capovolgendola, l’intensità di un amore ancora nuovo. Emilia è sposata da molto tempo con un uomo che non la ama; sebbene sia esperta degli inganni reciproci tra uomo e donna, ed esprima opinioni durissime (scandalose per l’epoca di Shakespeare) contro il comportamento maschile e maschilista, accetta di rendersi complice di Iago pur di ottenere le sue attenzioni e il suo affetto. Bianca è una cortigiana, dunque conosce bene gli uomini e si prende gioco di molti di loro, finendo però per innamorarsi di Cassio, l’unico che non la corrisponde. Elena (nel Sogno) incarna invece l’immagine della donna che, seppur moderna nella scelta di non restare nello stato di passività emotiva che culturalmente le spetterebbe, è tuttavia disposta a sottomettersi, umiliarsi e ridicolizzarsi per ottenere l’amore di Demetrio.

In maniera diversa, tutte queste donne subiscono la violenza degli uomini cui sono legate: per Desdemona è una violenza fisica, per Emilia un rifiuto, per Bianca una sofferenza emotiva, per Elena una dipendenza da chi la rifiuta.

Le donne di Shakespeare sono sempre in conflitto con una società dominata dal potere patriarcale, al quale si ribellano in un modo che talvolta non sanno gestire. In questo si presentano come personaggi sicuramente attuali, ma come si rapportano con i loro uomini, come reagiscono alla loro violenza?

Anche in fatto di rapporti di coppia, Shakespeare rappresenta situazioni molto diverse: quello tra Desdemona e Otello, che pure avrà l’esito più drammatico, è basato su un amore adolescenziale e immaturo, sia per Desdemona che per Otello, nonostante, l’età un amore che non ha avuto il tempo di affievolirsi quando viene interrotto da una morte “contro natura”, paradossalmente inflitta proprio “per amore”. Emilia è prigioniera di un vincolo che non può sciogliere e cerca di trovare compensazione alle continue offese del marito accontentandosi di qualche istante d’attenzione. Bianca non ha alcun legame con gli uomini che frequenta, ma la sua libertà la priva anche di colui cui vorrebbe donarsi definitivamente. Elena vive in uno stato di dipendenza assoluta e sottomissione volontaria rispetto a colui che apertamente la rifiuta.

In fondo tutte queste figure femminili hanno in comune l’attitudine a “sopportare” la violenza maschile come se fosse in qualche modo necessaria (a conquistare l’amore), inevitabile (insita nel matrimonio) o addirittura meritata (perché altrimenti inspiegabile e inammissibile da parte di chi si ama). Desdemona in particolare ama a tal punto Otello da attribuirsi la responsabilità della sua ira, trasformandosi da vittima a colpevole.

L’Otello è uno dei primi casi dichiarati di violenza domestica, tema oggi attualissimo, che tu hai affrontato in Love sos, e in cui si intrecciano dinamiche private e relazioni con la famiglia, i conoscenti e il mondo “esterno”. Portare (o riportare) sul palco questa tematica, renderla “pubblica” attraverso l’arte può servire ad abbattere il muro di diffidenza e vergogna che per secoli l’ha resa un fatto “privato” da subire in silenzio?

Il fatto che sempre più spettacoli vertano su questo argomento dimostra da un lato quanto il problema sia attuale, dall’altro quanto ancora ci sia bisogno di imparare a esserne consapevoli e capaci di affrontarlo. Viviamo in una società che ancora rifiuta di ammettere pubblicamente ciò che mina la solidità delle sue istituzioni (prima fra tutte il rapporto di coppia); spesso le donne vittime di violenza non sanno a chi chiedere aiuto perché parenti e conoscenti più stretti sono i primi a vergognarsi ad affrontare il problema e ad accettare la ribellione femminile all’autorità dell’uomo, e le strutture d’accoglienza per donne maltrattate in Italia sono ancora troppo poche.

Il teatro in questo senso abbatte il muro della vergogna e del silenzio, trasforma quella che finora è stata considerata una “questione privata” in un “fatto sociale”, di cui si può parlare e sul quale riflettere. Vedere la sofferenza rappresentata sul palcoscenico può insegnare a riconoscerla nella vita di chi ci sta accanto nella realtà, e soprattutto cambiare la prospettiva di chi la subisce sommessamente per paura o abitudine.

In Love sos ho scelto di rappresentare più storie di violenza domestica, interpretate dal punto di vista sia femminile sia maschile, per dare voce alla debolezza delle vittime e al tempo stesso dimostrare che la violenza stessa nasce non dalla colpa di chi la subisce ma dalla debolezza di chi la esercita, senza per questo fornire attenuanti a quest’ultimi. Un’indagine psicologica e sociologica dei rapporti e delle loro dinamiche intime, ma senza dimenticare la rilevanza del contorno sociale in cui questi legami di creano e dall’insieme dei principi morali dai quali traggono legittimazione.

Quali sono i tuoi futuri progetti professionali?

Continuerò a occuparmi di donne con un monologo scritto da Giulia Lombezzi; che s’intitola Meat (“carne”) e ha per protagonista una donna, che lavora nella macelleria di un supermercato. Il tema è quello dell’alienazione e dell’indifferenza tra esseri umani: da dietro il banco della carne la protagonista osserva i clienti, che però non ricambiano la sua attenzione, e da questa sua apparente “invisibilità” può indagarne i gesti e capirne la personalità.

Chiara Di Paola

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questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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