31 maggio 2016

sipario – DIETRO LE QUINTE. ILTEATRO NON TEATRO DEI CHRONOS3


Questo mese incontriamo la compagnia teatrale di Milano Chronos3, fondata nel 2012 da tre giovani registi della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi: Manuel Renga, Vittorio Borsari e Valentina Malcotti che, insieme a un gruppo stabile di attori, realizzano progetti teatrali di drammaturgia contemporanea e performance sociale.
Socia di Teatro Libero Liberi Teatri e parte del Circuito Multidisciplinare Ministeriale della Lombardia CLAPS spettacolo dal vivo, la compagnia organizza la stagione teatrale Circuito Contemporaneo che coinvolge otto comuni tra le province di Mantova e Brescia e porta sulla scena dei teatri italiani spettacoli impegnati nell’indagine della complessa realtà attuale, anche attraverso la rilettura della storia e del teatro più “classico”.

sipario20FBInnanzitutto un chiarimento sul nome che vi siete dati: “3” mi sembra un omaggio ai fondatori; “Chronos” nelle teogonie orfiche è il dio del Tempo, padre di Caos e Etere (baratro) … possiamo vedervi un indizio della tendenza di molti vostri spettacoli a lavorare sul tempo?
Sicuramente sì, perché tutti i nostri lavori sono guidati dall’intenzione di indagare il tempo: quello attuale, frammentario, smaterializzato, soggettivo e sfuggente, ma anche quello storico, che appartiene stabilmente al nostro passato ma necessita di essere ricordato e reinterpretato per coglierne gli insegnamenti dalla validità sempre moderna.
C’è anche un riferimento alla crisi di identità della generazione di oggi, alla contraddizione tra illimitata possibilità di realizzare i propri desideri e senso di vuoto, paure sul futuro e ricerca di un qualche ordine che dia senso al presente. I nostri spettacoli mettono in scena proprio questa “ricerca”, e portano sul palcoscenico storie diverse senza necessariamente proporre la sicurezza di un finale e senza sottintendere un giudizio. La lettura dei significati è lasciata sempre al pubblico e al singolo spettatore.

Nei vostri spettacoli l’insicurezza psichica ed emotiva dei personaggi si esprime soprattutto nel modo in cui essi vivono il rapporto di coppia, sia essa omosessuale o etero. Che cosa i dicono queste storie “quasi” d’amore, questa “distorsione di un discorso amoroso” sul mondo di oggi?
Il nostro teatro cerca di raccontare la crisi delle relazioni che caratterizza un oggi in cui all’inquietudine interiore del singolo (generata dal non sapere come considerarsi né che posizione darsi nel mondo) si contrappone l’egoismo con cui l’individuo pretende di essere più importante della collettività. La coppia è il contesto in cui questa difficoltà di relazione emerge in maniera più evidente, riflettendosi nella realtà più intima e nelle dinamiche della quotidianità più privata, prima di allargarsi a qualsiasi altro tipo di rapporto. Le coppie che rappresentiamo sono sempre coppie “instabili”, poiché instabilità e insicurezze (politiche, ideologiche, economiche, affettive) sono proprio gli aspetti che maggiormente contrappongono il nostro tempo a quello delle generazioni precedenti. D’altra parte l’instabilità è anche la caratteristica più interessante e affascinante del teatro: qualcosa che avviene “qui e ora” ed è in qualche misura irripetibile.

Pur assorbendo le “discontinuità” e le contraddizioni della realtà contemporanea, i vostri spettacoli non rinunciano mai alla leggerezza dei toni, all’ironia e alla sdrammatizzazione delle crisi e delle occasioni mancate. È questa la vera chiave d’accesso al consenso del pubblico e al coinvolgimento dello spettatore? Ma quanto è difficile ironizzare sulle difficoltà che riguardano la generazione a cui appartenete in prima persona?
Il nostro vuole essere un teatro “popolare”, nel senso di “fatto per il pubblico”: le storie e i racconti che mettiamo in scena devono essere letti, compresi e interpretati in maniera immediata ed empatica. È per questo che attualmente non ci occupiamo di performing-art o teatro-danza.
L’uso dell’ironia è un espediente tipico della tradizione teatrale e cinematografica italiana, ed è da sempre la condizione necessaria per parlare delle crisi e rappresentarle; nel nostro caso, in cui tali crisi ci appartengono intimamente, l’ironia è ancora più utile e forse diviene l’unico modo per poter dire qualcosa sulla nostra realtà. Il riso, magari amaro e doloroso, ci serve per poter alleggerire (in qualche modo “distanziare”) la realtà in cui siamo anche noi immersi. Detto ciò non neghiamo ai nostri spettacoli finali tragici o argomenti grotteschi o macabri.

Dal punto di vista tecnico, il vostro teatro si realizza in spazi diversi da quelli tradizionalmente deputati alla recitazione e  mescola strumenti scenici “classici” come le maschere e la musica dal vivo, con la modernità delle proiezioni video e degli audio registrati; gli spettacoli presentano scenografie semplici e possono essere rappresentati al chiuso o all’aperto. Insomma in qualche modo sembra venire meno l’idea di una performance “definitiva”, per lasciare spazio all’immaginazione del pubblico. Quali sono i rischi maggiori di un teatro così strutturato?
Le nostre produzioni assumono un aspetto differente a seconda del luogo a cui sono destinate: gli spettacoli  per il territorio milanese, prevedono una rappresentazione in teatri “veri” e dunque sono pensati e strutturati in maniera più “tradizionale”, mentre i progetti che portiamo avanti del territorio del Garda (che è la nostra terra di provenienza) hanno avuto un’elaborazione più complessa, prevedendo un’interazione tra pubblico e spettacolo del tutto inedita.
Si tratta di un modo di fare teatro che stabilisce un contatto diretto tra “finzione” e vita reale, e presuppone un pubblico disposto alla collaborazione e dotato di sufficiente immaginazione per colmare i vuoti spaziali e ristabilire i nessi logico-cronologici tra i singoli quadri; ed è proprio questo l’aspetto più imprevedibile del “teatro non teatro”. Ma il rischio o “la paura del rischio” si superano pensando alla forza della storia raccontata, che presenza partecipe del pubblico non fa che amplificare, di fatto rendendo secondaria la scenografia (ecco perché le nostre rappresentazioni possono realizzarsi in spazi spogli, con pochi ma utili oggetti).

Alcune produzioni di Chronos3 sono pensate anche per la rappresentazione nelle scuole. Credete dunque che, anche nell’era della realtà virtuale e dei social network, il teatro sia ancora capace di educare alla vita? E viceversa che si possa ancora insegnare a godere il teatro?
Siamo fortemente convinti che il teatro vada insegnato a scuola perché anch’esso è una forma di allenamento alla vita e perché in questo modo i giovani possono essere avvicinati a un mondo che altrimenti avrebbero difficoltà a scoprire a causa del pregiudizio che accompagna la percezione del teatro stesso. Se “andare a teatro” appare fuori moda (al contrario del cinema o di altre forme d’intrattenimento), può essere utile “portare il teatro” in altri contesti solitamente frequentati dai giovani, in modo da sorprenderli con la scoperta che, in fondo, gli piace e li diverte.
Per questo motivo ci piace anche dedicarci all’insegnamento del teatro nella forma del laboratorio, e realizzare progetti che portino le rappresentazioni fuori dai palcoscenici: così è stato per esempio nell’agosto 2013 con 10,2 Il Futuro attraverso la roccia, spettacolo itinerante per le vie e i vicoli di Pieve, che ha coinvolto l’intero paese di Tremosine sul Garda e ha richiesto un complesso lavoro di registrazione di aneddoti, canti e danze locali; oppure nel settembre 2014 con la rappresentazione di Kyoto all’Hotel Dunant (di Castiglione delle Stiviere), una location eccezionale in cui è stato il pubblico a spostarsi da una sala all’altra per assistere alle varie parti dello spettacolo.
Siamo convinti insomma che per apprezzare il teatro occorre entrare in possesso degli strumenti giusti e soprattutto sentirsi partecipi di un “qui e ora” che contiene esperienze vivi e vere.

Prossimi progetti che verranno protagonista Chronos3?
Insieme all’attrice bresciana Jessica Leonello, siamo stati selezionati per il festival Ex Polis al teatro della Contraddizione Milano con il progetto “Nuovo Eden”, dedicato all’indagine sulla trasformazione architettonica e sociale delle città, e in particolare sui cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni del quartiere attorno al cinema Nuovo Eden di Brescia, un tempo cinema a luci rosse e oggi spazio per la proiezione di film d’essai, pellicole indipendenti, cineforum e concerti jazz.
Siamo inoltre stati selezionati per l’edizione 2016 del bando Verdecoprente per le residenze artistiche in Umbria: un progetto che da quattro anni promuove pratiche performative e artistiche della contemporaneità, coinvolgendo enti, cittadini, associazioni e aziende, con lo scopo di mantenere vivi e pulsanti teatro, danza e creazione contemporanea nei vari luoghi e capire in che modo essi siano in grado di trasformare gli spazi, le relazioni e le percezioni.
Infine il prossimo 22 giugno, saremo al Teatro Menotti di Milano, per partecipare alla rassegna di teatro, musica e scrittura organizzata da Outis (Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea) e intitolata “Innesti – Mutazione del paesaggio umano transculturale”. Si tratta di un progetto che si inserisce nell’ambito del progetto MigrArti, voluto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dedicato ai giovani autori e artisti di origine straniera, che abbiano avviato in Italia un percorso creativo volto a dar vita a qualcosa di nuovo grazie alla collaborazione con artisti locali.
Noi parteciperemo con lo spettacolo Call of Duty-Fake version di Tatiana Olear, giunto in finale al premio Petroni 2016 e basato sul tema del terrorismo legato alle “guerre sante”, che sarà al centro di alcune produzioni su cui lavoreremo il prossimo anno.

Chiara Di Paola

 

DIETRO LE QUINTE
COMPAGNIA LUMEN. PROGETTI, ARTI, TEATRO 03/05/2016
INTERVISTA A LIVIA FERRACCHIATI 05/04/2016
INTERVISTA (BIS) A “GENERAZIONE DISAGIO” 24/02/2016

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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