5 marzo 2024

UN BÉLA BARTÓK SPECIALE

La bellezza del “Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra”


          ta (18)                                    

Non sono mai riuscito a innamorarmi della musica di Béla Bartók, e ho provato ancora una volta un fastidioso rifiuto nell’ascoltare i 15 “Canti contadini ungheresi” BB.107, che hanno aperto il concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano, diretta da Jaume Santonja all’Auditorium; ho capito che l’antipatia è dovuta proprio alla insistita presenza in Bartók dei temi popolari del suo paese. La loro riesumazione – e soprattutto la loro traslazione in sala da concerto – credo possa interessare ed emozionare, complice la naturale nostalgia, solo i vecchi che in gioventù hanno vissuto i luoghi e le atmosfere che li hanno prodotti. Presumo che interessino anche musicologi e antropologi, ma che non siano propriamente della musica “da godere”.

Non ne avrei parlato se non fosse accaduto che il pezzo successivo, sempre di Béla Bartók, mi ha sconvolto per la sua bellezza e per la magnificenza della sua struttura. Ascoltato tanti anni fa e praticamente dimenticato (è un pezzo molto difficile e con un organico complicato da mettere insieme, l’ultima volta fu eseguito da “laVerdi” nel 1996 al Conservatorio), il “Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra” BB.121 è così travolgente e stupefacente che non può lasciare indifferente nessuno.

Il concerto è stato scritto fra il 1938 e il 1940 (la prima esecuzione assoluta è a Londra il 14 novembre 1942) negli anni cioè in cui il nazismo faceva inorridire l’Europa; allo scoppio della guerra Bartók, disgustato dalla situazione politica generale e in particolare dalla deriva fascista dell’Ungheria, aveva lasciato la terra degli avi e si era autoesiliato negli Stati Uniti, dove morirà – poverissimo – nel 1945; si comprende come in questo concerto (soprattutto nel finale “Allegro non troppo”) egli manifesti tutta la rabbia e la delusione accumulate in quegli anni, così come si comprende la mestizia che, nel primo tempo “Assai lento”, gli fa scrivere una vera e propria marcia funebre.

Venerdì e domenica scorsi le due esecuzioni di questo Concerto sono state decisamente mozzafiato e hanno mandato in visibilio un pubblico che riempiva (quasi) la sala nonostante il cattivo tempo; il quintetto dei protagonisti era composto dai due fratelli olandesi Arthur e Lucas Jussen al pianoforte (due folletti che sprizzano simpatia da tutti i pori), Viviana Mologni (la nostra amatissima e storica timpanista) con l’eccellente Simone Beneventi alle percussioni, e sul podio il giovane direttore spagnolo che ha mostrato di avere il perfetto controllo della complessa partitura. Jaume Santonja ha dimostrato un ottimo affiatamento con i colleghi solisti e con l’Orchestra, ha dimostrato una freschezza e una scioltezza senza eguali nel destreggiarsi fra gli acrobatici ritmi dell’opera, e soprattutto è stato assecondato mirabilmente da un’orchestra complice e letteralmente rinata. Un concerto-evento in cui La Sinfonica milanese ha dato il meglio di sé confermando che il tanto atteso e auspicato giro di boa si sta felicemente consolidando.

In quest’opera così inusuale, nata come “Sonata per due pianoforti e percussioni” e rielaborata dallo stesso autore in Concerto con orchestra, «i due pianoforti vengono utilizzati in maniera prevalentemente percussiva, attraverso un ampio uso di suoni martellati, con marcate successioni di accordi, spesso con funzione di vero e proprio motore ritmico» (Carlo Franceschi de Marchi). I due giovani fratelli Jussen sono stati prodigiosi, sembravano funamboli o ragazzini che si divertivano giocando. Cito ancora Franceschi de Marchi che sostiene essere questa «una delle opere più originali e significative del repertorio bartokiano, nella quale l’insolito e audace accostamento timbrico dà la possibilità all’autore di sperimentare colorazioni acustiche inedite, con sonorità secche ed elastiche al tempo stesso». Insomma, un’opera straordinaria anche per chi – come me – non ama il suo autore!

Nella seconda parte del concerto si volta decisamente pagina, si fa un salto indietro di oltre mezzo secolo e – dopo tanto putiferio, inaspettatamente e come per miracolo – si dispiegano le meravigliose melodie brahmsiane della Sinfonia numero 2 in re maggiore opera 73.

Qui Jaume Santonja, con il suo gesto elegante e avvolgente, dirigendo diligentemente a memoria, ottiene dall’orchestra i suoni morbidi e intimi con cui declamare i cantabili, esprime grandi doti tecniche e squisita sensibilità, racconta la musica di Brahms con un fraseggio perfetto, morbido e ben tornito quando occorre, tagliente e rigoroso nei momenti di massima tensione. È stato un concerto di tale fascino che, dopo averlo ascoltato il venerdì son tornato a risentirlo la domenica, e non sono stato il solo!; un’esperienza, quella di ascoltare le stesse musiche a due giorni di distanza, tutt’altro che banale, che consente approfondimenti, emozioni e piaceri inusuali e gratificanti.

Santonja è Direttore Principale Ospite dell’orchestra, ha pochissimi anni di più di Tjeknavorian – il nuovo ventottenne Direttore Musicale di cui abbiamo detto nell’ultimo numero della rubrica – sicché, con sincera emozione, abbiamo assistito in pochi giorni all’alternanza sul podio di due giovani Maestri di grande talento; si percepisce molto bene, in entrambi, la perfetta sintonia creata con i colleghi dell’orchestra e se ne ricava la fondata speranza che la Sinfonica di Milano stia finalmente ritrovando le originarie virtù e sia avviata a ridiventare una eccellenza di questa nostra città. Coraggio, dunque, che siamo su un’ottima strada!

Paolo Viola



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