21 novembre 2023

BEETHOVEN-LISZT A COMO

Una problematica trascrizione della Nona di Beethoven        


Imm. Viola

Mi sembra sempre più difficile, e in un certo senso faticoso, dover distinguere tra il piacere di una esecuzione molto curata, l’ammirazione delle capacità interpretative e tecniche dei musicisti, addirittura il fascino della perfezione dell’esecuzione, e la qualità propria della musica che viene proposta, la risonanza emotiva nell’ascolto, l’aspettativa di gioia e di felicità nella scoperta o riscoperta di un brano di musica. Sono ovviamente due cose fra loro molto diverse, tanto che vi è chi è interessato solo alla qualità dell’esecuzione e chi al contrario si dedica esclusivamente all’ascolto del testo musicale, e riesce a prescindere dalla sua interpretazione.

Questa capacità di distinguere fra i due “valori” dell’ascolto dovrebbe aumentare con l’esperienza: se per cinquant’anni si sono ascoltati dal vivo due concerti alla settimana e dunque si è accumulata l’esperienza di circa cinquemila concerti, si può presumere che si possa finalmente godere della bellezza della musica a prescindere della sua perfetta esecuzione o viceversa apprezzare la perfetta esecuzione di una musica anche se mediocre. E invece no. Si viene tanto irritati da una musica insignificante o disturbati da una cattiva esecuzione da non riuscire a godere dell’ascolto.

Queste considerazioni, tutto sommato abbastanza amare, hanno profondamente turbato l’ascolto di un raro concerto di qualche sera fa in una grande ma strana chiesa moderna di Como – santa Maria Regina, nascosta in un dedalo di viuzze davanti all’ospedale di sant’Anna – dedicato alla memoria di un prete recentemente scomparso che si prodigò molto nell’aiuto a persone fragili.

Concerto realmente raro, sia per la presenza di due mostri sacri del pianoforte come Monica Leone e Michele Campanella, sia per il programma di difficile ascolto come la Nona Sinfonia di Beethoven trascritta da Franz Liszt per due pianoforti. Un programma difficilissimo sia tecnicamente che interpretativamente (ma Campanella direbbe che sono due risvolti dello stesso tema/problema!) che impegna allo spasimo i due musicisti, i quali hanno bisogno non solo di possedere una tecnica superlativa, ma anche di intendersi alla perfezione pena catastrofici capitomboli!

Abbiamo dunque assistito a un miracolo di perfezione e di professionalità, che già avrebbe dovuto far godere, come dicevamo, gli ascoltatori più attenti e competenti. Ma devo confessare che la mia reazione è stata strana ed inusuale. Per l’intero svolgimento del concerto ho visto agitarsi intorno ai pianoforti due figure inequivocabili: quella di Beethoven, che fedele al suo terribile caratteraccio, prendeva a bastonate e riempiva di improperi il povero Liszt colpevole di avere “massacrato” la sua Sinfonia con una spaventosa gragnuola di note. Urlava che – nonostante le amorevoli attenzioni dei pianisti – fra tutte quelle note la sua Sinfonia scompariva e non se ne capiva nulla.

Ero enormemente colpito dalla rabbia e dal furore di Beethoven e mi chiedevo come Liszt si fosse permesso di offendere in modo così clamoroso colui che aveva sempre considerato suo grandissimo maestro; Franz era consapevole o no di quello che Ludwig, se fosse stato ancora in vita, avrebbe pensato della sua improvvida trascrizione? gli avrebbe chiesto scusa? avrebbe difeso la sua opera e tentato di fargliela accettare?

Come si fa ad ascoltare così, in preda a una sorta di ossessione, un concerto che aveva creato tante aspettative, grazie soprattutto alla grande ammirazione nei confronti dei due pianisti? Non ho potuto fare a meno di chiedermi come mai tanta discrasia fra attese e risultato, e cercare delle risposte: così ho capito, innanzitutto, che deve essere molto difficile eccellere sia come pianisti che come compositori. Liszt è stato uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi, non credo si possa dire di lui la stessa cosa come compositore. Non sono molti gli amanti di Liszt, anche se non lo confessano o non se ne rendono conto a causa della sua immensa fama. Credo che Liszt in generale sia molto più gradevole e interessante da suonare che da ascoltare.

Poi le trascrizioni. Hanno veramente un senso? Perché “impossessarsi” dell’opera di altri e trasformarla, rigenerarla (proprio nel senso di generarla un’altra volta)? Se ne ha il diritto? Altro è lavorare su un tema popolare o tradizionale per trasformarlo in un’opera musicalmente complessa; oppure – come ha mirabilmente fatto Ravel con i Quadri di un’esposizione di Musorgskij – passare dalla essenzialità del pianoforte alla complessità dell’orchestra, arricchendo l’opera con ulteriore, nuova creatività. Ma lavorare su un grandioso monumento come la Sinfonia beethoveniana e ridurlo al suono di un unico strumento come il pianoforte, addirittura raddoppiandolo – e dunque accentuando ulteriormente la povertà di un unico timbro di fronte alla ricchezza di un’orchestra (più un coro più quattro voci soliste!) – è ragionevole? Arricchisce o impoverisce l’opera?

Secondo me Beethoven aveva tutte le ragioni per perdere la pazienza e la tolleranza … (avendone già molto poca) e non l’ho mai sentito tanto vicino come l’altra sera, mentre Monica Leone e Michele Campanella facevano di tutto e di più per convincerlo, cercando di far emergere le pagine più belle della sua Nona da quella montagna e da quel groviglio inestricabile di note che mettevano a dura prova la loro consumata professionalità!

Paolo Viola

P.S. colgo l’occasione dell’uscita in tempo utile di ArcipelagoMilano per segnalare che Monica Leone sabato 2 dicembre alle ore 21,00 nella chiesa di san Giovanni Battista in Trenno (Milano, piazza san Giovanni), eseguirà al pianoforte le Variazioni Goldberg di Bach di cui è una delle massime interpreti. Non si possono perdere!

 



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  1. eduardo SzegoHo avuto il piacere, e il conforto a me stesso, di condividere sempre i giudizi musicali di Paolo Viola. E questa volta ancora di più, quando si chiede, e induce noi a chiederci, se le “ trascrizioni” hanno un senso, vieppiù le trascrizioni di brani orchestrali in brani per strumento solista: no, non hanno senso neppure per me per tutti i motivi addotti da Paolo Viola (anche se qui lo dico e qui lo nego, aspetto da una vita una trascrizione per violoncello solista dell’adagio della nona sinfonia di LvB, da ascoltare eseguito da Yo-Yo Ma) Ma non si limita a questo Paolo Viola, ci sottopone a un dilemma pesante, così almeno lo interpreto io: se sia preferibile una perfetta esecuzione di una musica neppure tanto bella, oppure un’esecuzione imperfetta di una musica di eccelso valore. La risposta giusta è la terza: una perfetta esecuzione di una musica eccelsa, ovvio. Ma battute a parte l’esecuzione perfetta è arte a sua volta, godibile anche se dedicata a una musica non universalmente eccelsa. Laddove una esecuzione errata sia sul versante interpretativo ma ancor più sul versante esecutivo, è inaccettabile, distruttiva e offensiva sia dell’autore che del fruitore. E ci sono musiche che ancor più d’altre esigono la perfezione nell’esecuzione, penso a Mahler, altrimenti è meglio lasciar perdere, e rinunciare a roboanti Festival con esecuzioni in grande maggioranza improponibili; non importa se poi il pubblico si spella le mani con applausi dettati solo da impreparazione per non dire ignoranza. Purtroppo a Milano sono di più le delusioni che gli entusiasmi alla fine dei concerti che ci passa il convento. Ma è accettabile una situazione del genere? che Milano con una storica e atavica tradizione di cultura musicale e di mecenatismo culturale, di ingenti disponibilità economiche soprattutto private, non riesca a costruire un cenacolo musicale di rilevanza mondiale, come a Berlino, Vienna, Londra per non dire New York? Per di più disponendo di uno dei più fantastici nidi dove ospitare e cullare tale cenacolo: La Scala! Ma pare che tutta la carica di “ mecenatismo” del denaro privato sia indirizzato alla costruzione di nuovi stadi di calcio, dove si sviluppano i peggiori comportamenti umani, proprio quelli che solo la cultura può mitigare.
    24 novembre 2023 • 14:32Rispondi
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