3 ottobre 2023

SI RICOMINCIA, DA BEETHOVEN E DALLA RUSSIA

Avremo una splendida stagione musicale


Copia di Copia di rification (2)                       

Sono passati esattamente quattro mesi dall’ultima recensione di questa rubrica, intitolata “La musica è donna”, e questo ricominciare, oggi, è fonte di grande gioia per il vostro umilissimo recensore, detto anche (ricordate?) l’Ascoltatore impertinente.

E allora ricominciamo riprendendo le fila delle belle stagioni musicali milanesi appena iniziate, subito dopo la pausa estiva e quello strano intruso che è stato MITO, il festival Milano-Torino che propone di tutto un po’, in cui c’è del buono e del meno buono, ma del quale è sempre difficile percepire il filo che lo tiene insieme.

Si è ricominciato alla grande, con due magnifici concerti: ha iniziato la Società del Quartetto sciorinando in una sola serata ben tre Sinfonie beethoveniane – la Quarta, la Quinta e la Sesta – eseguite dall’orchestra Mozart e dirette da Daniele Gatti. Cosa si può desiderare di più? Due ore di splendida musica, in cui si è avuta la percezione di aver raggiunto la perfezione assoluta. E pensate quale miracolo è quello di riuscire ancora, dopo due secoli, a dire qualcosa di nuovo su quegli spartiti, a sentire quella musica come sempre attuale, vibrante, penetrante, come e più di quando la sentimmo per la prima volta da ragazzi!

Gatti e la Mozart hanno fatto il miracolo, soprattutto nella lettura della Sesta, restituita alla sua originale intenzione di celebrare la vita semplice della campagna e la potenza della natura. Hanno un po’ sorpreso i tempi veloci del primo e del terzo movimento della Quinta (tu quoque, Daniele, nostro amato figlio milanese!), ma la bellezza del suono e il nitore della concertazione sono stati tali da suscitare comunque un grandissimo entusiasmo. Viva il Quartetto, viva la Mozart, viva Gatti!

Adesso il Quartetto riprende la stagione con la musica da camera, che è stata la ragione della sua nascita (159 anni fa!), con un programma da urlo in cui spiccano Beatrice Rana il 20 ottobre, Frank P. Zimmermann il 7 novembre, Mitsuko Uchida il 16 gennaio, Isabelle Faust il 26 marzo, Emanuel Ax il 7 maggio, per non dire dei Quartetti (Emerson, Hagen, Nogä, il 9 aprile il Quartetto di Cremona!) che si concluderà il 13 giugno con il ritorno di Gatti e della Mozart che eseguiranno altre tre Sinfonie di Beethoven (le prime due e la meravigliosa Settima!). Gli abbonamenti sono ancora aperti.

Pochi giorni dopo, a ruota, ecco il primo concerto della Verdi – o meglio l’Orchestra Sinfonica di Milano – con un sontuoso programma totalmente russo, a dispetto dei sentimenti antirussi che coltiviamo tutti intensamente in questi giorni bui. (Per una volta devo dar ragione al Papa, che distingue nettamente fra la politica di potenza e le radici culturali di quel popolo…!).

Due pezzi – il concerto per violino e orchestra di Pëtr Il’ič Čajkovskij e la Sinfonia n. 5 di Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič – che forse non sono le opere più amate dei due mostri sacri russi, ma sicuramente sono due opere molto godibili, specialmente se eseguite, come l’altra sera, da due “ragazzi” fantastici che devono aver fatto tanto tanto lavoro insieme per tirarle così a lucido.

I ragazzi sono: Joel Sandelson, un giovane inglese di 29 anni che sprizza energia da tutti i pori della pelle e trascina l’orchestra nei meandri di due difficili partiture con grande naturalezza grazie alla affabilità, alla morbidezza e alla maturità del gesto direttoriale; e il ventiduenne Giuseppe Gibboni, un violinista che – partito dalla natìa Eboli con la sua simpatica aria da nipotino di Che Guevara – si è già imposto in tutta Italia (e non solo) per una formidabile tecnica che talvolta prende il sopravvento sulla espressività, ma che rivela comunque un talento maturo e versatile. Richiesto di bis fino allo stremo, ne offerti due: un Capriccio di Paganini, volto solo a dimostrare la sua diabolica tecnica, e l’intenso Adagio di una Sonata bachiana in cui ha voluto dimostrare di non essere solo un funambolo del violino. E c’è riuscito.

Del Concerto per violino di Čajkovskij, Giacomo Manzoni dice essere «una delle pagine di più straordinario virtuosismo per questo strumento che siano mai state scritte; e soprattutto nel primo e nell’ultimo movimento al solista sono affidati compiti veramente trascendentali»; se ce ne fosse stato bisogno, ciò è emerso in particolare nella cadenza del primo tempo, che ho avuto l’impressione non fosse quella originale dell’Autore (bisognerebbe comunicare, nei programmi di sala, i nomi degli autori delle cadenze!). Il Gibboni ha eseguito tutto il Concerto in modo impeccabile, dando anche giusto rilievo a quel dolcissimo tema che compare più volte “cantato” dal solista come se emergesse dalle onde di una burrasca in mare.

La Quinta Sinfonia di Šostakóvič è un’opera complessa, scritta dal tormentato Dmítrij Dmítrievič per liberarsi dalla pericolosa accusa – lanciatagli dalla nomenclatura staliniana (siamo nel 1937) – di essere ”filoborghese” o “filoccidentale”, accusa che l’ha costretto, memore di Galileo, ad apporvi quel noto e tragico sottotitolo: “Risposta pratica di un compositore a una giusta critica”. Essa rivela le contraddizioni di questa sorta di abiura ancorché le intenzioni dell’Autore fossero ben diverse e molto chiare. Scrive infatti Šostakóvič che la sua Sinfonia ha per tema «lo sviluppo della personalità umana. Al centro…ho posto un uomo con tutte le sue esperienze; il Finale risolve gli impulsi del primo tempo e la loro tragica tensione in ottimismo e in gioia di vivere».

Anche di questa storia dovremmo far tesoro quando osserviamo con angoscia le ingerenze politiche nella gestione delle nostre istituzioni culturali (si pensi alla pantomima del San Carlo di Napoli, al periodico spoil system, della RAI ma – ahinoi – non solo).

Paolo Viola

 



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