21 marzo 2023

LES CONTES DE LIVERMORE

Il tradimento di “Les contes d’Hoffmann” di Jacques Offenbach


viola

L’altra sera, felice come una Pasqua, sono andato a una prima alla Scala che attendevo da tempo: davano “Les contes d’Hoffmann” di Jacques Offenbach che non si vedevano da 11 anni ma che personalmente avevo visto l’ultima volta solo nell’estate del 1995, nella magnifica edizione diretta da Riccardo Chailly con la regia di Alfredo Arias.

L’opera, del 1880, racconta le avventure o meglio gli innamoramenti vagamente donchisciotteschi di un poeta romantico, Hoffmann (in realtà si tratta proprio dell’autore dei racconti, Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, vissuto a cavallo fra il sette e l’ottocento e scomparso poco più di mezzo secolo prima), nei confronti di tre donne – Olympia, Antonia, Giulietta – in una trilogia molto ben congegnata: un prologo e un epilogo, che si svolgono in un’osteria di Norimberga dove il poeta racconta agli amici le sue vicende amorose, e tre singole storie che si sviluppano  rispettivamente – una per atto – nelle città di Parigi, Monaco e Venezia.

Per Offenbach, che è stato prigioniero tutta la vita della sua fama di inventore, autore ed impresario di operette, questa è la prima, unica ed amata “Opera seria” – potrebbe meglio definirsi “Opéra-comique” ancorché venga da lui indicata come “Opéra-fantastique” – che è riuscito a scrivere prima di morire, senza peraltro neppure poterla terminare (l’orchestrazione fu ultimata dal suo collega e amico Guiraud).

Come si può immaginare, e come ricorderanno i fortunati che li hanno visti nelle precedenti edizioni, questi “Contes” si prestano ad essere rappresentati sulla scena in modi molto garbati e perfettamente comprensibili: Olympia è un robot (ma Hoffmann se ne accorge troppo tardi), Antonia è una cantante che non deve cantare perché è molto ammalata (ma si mette di mezzo un diavolaccio che la fa cantare e morire), Giulietta è una cortigiana che combina un sacco di pasticci (suscitando gelosie e drammatiche vendette). C’è un po’ di esoterismo, molto di moda nella Parigi dell’epoca, e c’è anche un gioco di sottili rinvii fra il mondo tedesco e quello francese (sia Hoffmann che Offenbach erano tedeschi, anche se il secondo ha vissuto quasi tutta la vita in Francia).

Le cose però sono andate molto diversamente da come potevo immaginarmele. Sarò franco e dirò che – anche a causa del malfunzionamento dei display scaligeri sui quali dovrebbe scorrere il libretto in più lingue – ho capito pochissimo della trama, praticamente quel poco che mi ricordavo, perché la regia di Davide Livermore, le scene dello studio “Giò Forma” e le invenzioni dell’altro studio “Controluce Teatro d’Ombre” l’hanno sostanzialmente ignorata. Se andate a leggere in rete come costoro descrivono il loro approccio professionale, capirete subito che questi gruppi si preoccupano esclusivamente di costruire la propria opera d’arte mentre hanno uno scarsissimo interesse nei confronti dell’opera che viene loro affidata.

Riporto le impressioni del giorno dopo di Angelo Foletto su Repubblica. “Botole che s’aprono e si chiudono. Candele accese che volano, e tavolinetti che ballano, balletti spettrali, manichini e ombre gigantesche. Veli che inghiottono la platea, figure diaboliche che suonano l’arpa. Tutto l’armamentario di palcoscenico d’una volta, fatto per stupire, in un contenitore scenico quasi astratto, spazi, luci, teli che diventano schermi per mutazioni e giochi d’ombre”…. Vi invito anche a leggere la bella e dura recensione di Stefano Jacini sul “Giornale della Musica” del 16 marzo https://www.giornaledellamusica.it/recensioni/i-racconti-di-hoffmann-diventano-un-musical-kitsch che mi trova totalmente d’accordo, in particolare laddove dice che “in verità l’impressione generale che se ne ricava è proprio quella di un musical kitsch, poco adatto a illustrare le folli e raffinate fantasie dello scrittore”.

Per non dire degli aspetti squisitamente musicali: mentre il corposo gruppo dei cantanti si è rivelato ottimo (nonostante la preannunciata indisposizione del soprano Eleonora Buratto), il direttore d’orchestra, il parigino Frédéric Chaslin, forse proprio per aver diretto più di  500 volte “Les contes d’Hoffmann” in un gran numero di teatri in giro per il mondo, era totalmente privo della freschezza, della poesia, della leggerezza intrinseche alla favola. Al contrario, ha offerto una lettura cupa e greve, degna del (e forse condizionata dal) grigiore di tutto l’apparato scenico.

Basti dire, per dare una cifra allo spettacolo, che all’inizio dell’atto “veneziano”, introdotto dalla celeberrima e meravigliosa Barcarole, un enorme telo grigio ha ricoperto per intero tutta la platea che si è trovata per alcuni minuti sommersa sotto questo orrendo velo ondeggiante. Vi lascio immaginare quanto il pubblico abbia potuto godere della meravigliosa aria della Barcarole, peraltro eseguita sciattamente dall’orchestra distratta dall’insulso intervento. Aggiungo, per sottolineare la gravità della cosa, che poche ore prime è comparso sui telefonini degli abbonati l’avvertimento che all’inizio del terzo atto ci sarebbe stata questa performance e dunque di … non preoccuparsi (cose da pazzi)!

Ma caro Dominique Mayer, quando la smetterà di proporci questi spettacoli mefitici, che non rispettano minimamente i testi, di cui non si capisce più chi ne sia l’autore, che non ci raccontano più la meravigliosa storia dell’opera lirica ma ci impongono non richieste performance d’altra natura? Mi dispiace, cari Mayer, Livermore e soci, ma – come già ebbi occasione di scrivere in altra occasione – non si ha il diritto di usare violenza nei confronti dei giganti della storia della musica, come se le loro opere fossero a disposizione per soddisfare il vostro ego e la vostra creatività. Si può scherzare con i fanti ma si devono lasciar stare i santi!

Paolo Viola

 



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  1. Andrea Sacerdotiperò al pubblico ( Turno C) e anche a me lo spettacolo è piaciuto , molti applausi alla fine . La magnifica barcarola si può sentire in platea anche se coperti da un telo ondeggiante grigio per meno di un minuto , bella invenzione scenica vista dall'alto ... Cordialmemte A. Sacerdoti
    31 marzo 2023 • 00:14Rispondi
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