20 febbraio 2024

URBANISTICA SOTTO INCHIESTA A MILANO

La giustizia punisce ma non rimette a posto le cose


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La Procura di Milano ha messo sotto inchiesta un intervento edilizio in via Crescenzago 105, dove sono stati demoliti edifici industriali e uffici e sono in corso di costruzione tre edifici residenziali di 16 e 23 piani, e un edificio più basso, per un totale di 113 appartamenti, di fronte al parco Lambro, detti “Park Towers”.

La Procura ritiene che l’intervento e le procedure di approvazione del titolo abilitativo (SCIA – Segnalazione Certificata di Inizio Attività) abbiano diversi profili di illegittimità e che l’intervento sarebbe dovuto essere subordinato a un Piano Particolareggiato, (strumento urbanistico di maggior dettaglio rispetto al PGT) che avrebbe comportato maggiori obblighi economici del costruttore nei confronti del Comune.

Impossibile dare un giudizio sulla vicenda, senza conoscere il progetto e gli atti di accusa. Il giudizio sarà comunque difficile e contrastato anche in sede processuale, per la vastità, complessità, e talvolta contraddittorietà delle norme e delle leggi che regolano l’urbanistica e l’edilizia. Sono propenso a ritenere che i tecnici del Comune e i professionisti incaricati abbiano agito in buona fede, certi di rispettare le norme e le leggi. Tuttavia l’interpretazione del vasto e complesso quadro normativo può dare esiti non univoci. Capisco pertanto la reazione dei funzionari del Comune che hanno chiesto al Sindaco di essere trasferiti ad altro incarico e capisco la preoccupazione degli operatori dell’edilizia.

Senza dunque dare alcun giudizio di merito il caso tuttavia sollecita alcune riflessioni. Una sul sistema legislativo, una su alcune scelte del PGT di Milano e infine sulla questione “strutturale” della rendita urbana.

Il quadro normativo, la divisione dei poteri, l’autonomia regionale (attuale o differenziata che sarà)

L’attività edilizia è sottoposta a diversi ambiti normativi definiti dalle leggi e dagli strumenti di pianificazione: le leggi sono di competenza dello Stato e delle Regioni; i piani sono di competenza di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Il complesso delle norme è in parte strutturato sul principio gerarchico, in parte sulla base del principio di sussidiarietà e di autonomia delle regioni. In teoria nelle materie di competenza concorrente stabilite dalla Costituzione (Titolo V modificato nel 2001 ), come il governo del territorio, le leggi statali dovrebbero dettare i principi ordinatori e quelle regionali svilupparli e applicarli, ma siccome le leggi si sono stratificate nel tempo i criteri gerarchico e sussidiario convivono. Leggi e norme di pianificazione sono dunque correlate in modo complesso, dovrebbero essere coerenti, ma non sempre lo sono.

La legge urbanistica dello Stato è del 1942 e ha avuto naturalmente numerose e sostanziali modifiche e integrazioni. L’ultima legge urbanistica regionale la n 12 del 2005 è composta di 104 articoli ed ha subito circa sessanta varianti. Le leggi regionali dovrebbero sviluppare ed integrare quelle nazionali. In realtà le incoerenze sono rilevanti. La Lombardia con l’articolo 103 della sua legge urbanistica ha addirittura stabilito che nel territorio lombardo alcune norme statali non si applicano. Il Governo non ha eccepito alcunché.

Interpretando tali disposizioni il Comune di Milano (circolare 1 / 2023) ha dichiarato legittima la realizzazione di edifici di altezza superiore a 25 metri, anche senza Piano Particolareggiato, come prevede invece la legge urbanistica nazionale (articolo 41 quinquies). Le leggi nazionali e regionali regolano non solo gli strumenti urbanistici ma anche direttamente l’attività edilizia. È statale il Decreto Ministeriale 380 del 2001 che stabilisce, tra l’altro, quando si può utilizzare la SCIA – Segnalazione Certificata di Inizio Attività – e in che caso si deve utilizzare il permesso di costruire, questione all’attenzione della Procura. Anche questa normativa è oggetto di riformulazione da parte della legge regionale.

Di competenza dello Stato sono le norme igieniche, le norme per la prevenzione dagli incendi, le norme antisismiche, le norme per il contenimento dei consumi energetici, le norme per l’agibilità per le persone differentemente dotate, le norme per la sicurezza degli impianti, e così via. Di competenza statale sono anche le norme per la salvaguardia dell’assetto idrogeologico, ma i Piani sono redatti in accordo con le Regioni. Infine la tutela dei beni culturali e del paesaggio è competenza esclusiva dello Stato che la esercita attraverso le Soprintendenze, ma i Piani paesistici sono (quasi) delegati alle Regioni.

In tale quadro opera l’attività edilizia che ha come riferimenti principali lo strumento urbanistico (in Lombardia il Piano di Governo del Territorio – PGT) e il Regolamento Edilizio, di competenza del Comune e redatti secondo le leggi nazionali e regionali.

A questo punto sarebbe interessante chiedere a Chat Gpt se il progetto oggetto di indagine da parte della Procura è legittimo o no. Non sono pratico di AI ma credo che non sia ancora sufficientemente addestrata per orientarsi in questo campo. Leggi e norme hanno tutte, ciascuna per sé, una ratio coerente. Il filo conduttore è la mediazione tra la tutela dell’interesse pubblico e la ragione economica. La politica stabilisce il punto di mediazione. La stratificazione delle singole razionalità con la progressiva aggiunta di leggi e pochissime abrogazioni ha reso però sempre più viscoso il sistema. Istituzioni, partiti, rappresentanze sociali, dichiarano tutti la necessità e la volontà di “semplificare” ma non si riesce. La semplificazione non può partire dalla base perché produce incongruenze con gli altri livelli; la semplificazione deve partire dal vertice, ovvero dalla riforma delle leggi nazionali.

L’Istituto Nazionale di Urbanistica ha elaborato una proposta di legge urbanistica nazionale, impostata come legge di principi. Sarebbe un primo passo verso la “semplificazione”.  Ci vorrebbe un Parlamento stabile e dedicato alla riforma dei codici, non un Presidente del Consiglio eletto dal Popolo che da solo rifonda le leggi, come un nuovo imperatore Giustiniano. Ma un Parlamento impegnato nell’attuare l’autonomia differenziata difficilmente si occuperà della riforma della legge urbanistica nazionale. L’autonomia differenziata aumenterà ulteriormente le incongruenze e annullerà il ruolo ordinatore della legislazione nazionale di principio, rendendo sempre più illusoria l’aspirazione alla semplificazione.

PGT: rinnovo urbano a tutti i costi?

L’amministrazione del comune di Milano ha voluto facilitare gli interventi di ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente puntando su due principi: l’indifferenza funzionale e la parziale liberalizzazione delle altezze degli edifici.

L’indifferenza funzionale

Il Piano prevede che in qualsiasi parte della città gli edifici esistenti o ristrutturati, di qualsiasi tipo e gli edifici di nuova costruzione, ovunque sia l’area edificabile, possano essere destinati a qualsiasi funzione: residenza uffici, ecc. La modalità di intervento della “ristrutturazione” è definita per legge e consente anche la demolizione e ricostruzione (applicazione della legge regionale lombarda del dispositivo della legge nazionale). Quindi con la “ristrutturazione” è ammesso demolire un capannone industriale e ricostruire la stessa volumetria come residenza. Come è avvenuto in via Crescenzago.

Ora se il principio può essere condivisibile per gli interventi diffusi nel tessuto edilizio prevalentemente residenziale, la norma non funziona nel caso di trasformazioni di zone produttive di dimensioni consistenti, perché l’impatto della residenza sui servizi e sulle urbanizzazioni del quartiere è ben diverso rispetto a quello dell’attività produttiva e richiede non solo oneri di urbanizzazione maggiori, ma anche aree e spazi pubblici nuovi. Per interventi di grandi dimensioni anche se di ristrutturazione, il PGT dovrebbe prevedere strumenti di controllo delle dotazioni pubbliche più efficaci. Se non il PP quantomeno il Permesso di Costruire Convenzionato.

L’altezza degli edifici

Anche in questo caso il Piano ha eliminato i tradizionali vincoli (generalmente i piani stabiliscono altezze massime nelle diverse parti della città). Per il PGT  di Milano l’altezza è regolata solo da parametri edilizi (dimensioni degli spazi prospicienti l’edificio, altezze degli edifici circostanti, ecc) L’altezza però non c’entra con le dotazioni urbanistiche come appare dagli articoli di stampa; a parità di capacità insediativa (volumetria) se gli edifici sono alti o bassi non cambia il bisogno di dotazioni pubbliche.

L’altezza impatta però sul paesaggio urbano e sulla forma della città. Bisogna chiedersi se vada bene che nella città sorgano edifici molto più alti di quelli circostanti, a caso, senza regole che diano un ordine percepibile allo spazio urbano. Senza un disegno, un progetto della forma urbana. A questo fine il PP o altro analogo strumento garantirebbe un controllo migliore della forma urbana, questione ancora irrisolta che, per quanto dichiarato nel documento di indirizzo, la Variante al PGT intende affrontare.

Il plusvalore ovvero la rendita urbana. che parte va alla collettività?

Le norme del PGT hanno incentivato una notevole attività edilizia, sostenuta da un mercato in continua ascesa. La città si è rinnovata, si è densificata ma il mercato ha prodotto una selezione sociale non controllata e non mitigata in modo efficace dalle politiche urbane. Il valore della rendita realizzata dalle trasformazioni urbane è stato in gran parte privatizzato e il Comune non ha avuto risorse per garantire un’offerta di abitazioni a basso costo tale da frenare la sostituzione sociale (“gentrification”) della città. L’assessore Tancredi ha recentemente dichiarato che con la prossima Variante al PGT, in via di formazione, alcune regole dovranno essere riviste in senso meno permissivo. I costruttori sono preoccupati sia della Variante, sia dai possibili effetti della vicenda di via Crescenzago.

Quale parte del valore che un intervento urbanistico crea, va alla collettività? Bisogna distinguere tre tipi di contributo che i costruttori privati sono tenuti a dare al comune.

Primo tipo. Chi costruisce deve pagare al comune i costi di urbanizzazione o in opere o in denaro (oneri di urbanizzazione previsti dalla legge nazionale): l’ammontare viene determinato applicando parametri di legge (regionale). Vi sono margini di variazione che il comune può applicare, ma il riferimento di principio è il costo delle opere e della loro manutenzione. Non è una partecipazione all’incremento di valore, ma il ristoro di un costo della collettività.

Secondo tipo. Il costruttore è tenuto a pagare un contributo sul costo di costruzione. Il contributo è una tassa dovuta per esercitare il diritto di edificare che non sarebbe intrinseco alla proprietà dell’area (principio che la legge nazionale n. 10 del 1977 ha cercato di introdurre nell’ordinamento ma che la giurisprudenza ha considerato non attuato dalla legge). Anche questo contributo è regolato dalla legge (regionale) e i margini di variazione applicabili dai comuni sono contenuti.

Terzo tipo. Oltre a questi contributi il Comune può chiedere un contributo aggiuntivo in termini di servizi ma solo nell’ambito delle convenzioni che accompagnano gli interventi urbanistici attuativi per interventi di grandi dimensioni o i permessi di costruire convenzionati per interventi minori. Ma anche questo contributo va riferito al miglioramento dei servizi pubblici (anche in termini di edilizia sociale), Non è riconosciuto come partecipazione della collettività all’incremento di valore che deriva ad un immobile dalla trasformazione consentita dal Piano regolatore.

Il principio della partecipazione della collettività all’acquisizione della rendita, se pur non riconosciuto esplicitamente, è stato di fatto introdotto per la prima volta dal DPR 380 del 2001 (articolo 16.4.d.ter) che riserva al comune il 50% dell’incremento del valore di mercato delle aree o degli immobili, formatosi in seguito a Varianti al Piano urbanistico; il contributo è comunque destinato ad opere di urbanizzazione e servizi pubblici. La regione Lombardia ha deciso che anche questa disposizione di legge non si applica (articolo 103 della legge urbanistica) impedendo ai comuni di valersene. Certo una buona pratica di autonomia in difesa della privatizzazione della rendita urbana. Anzi con la legge sulla rigenerazione urbana la regione ha ridotto gli oneri di urbanizzazione anche nei casi in cui la rigenerazione comporta incrementi straordinari di valore, come a Milano.

Qual è l’ordine di grandezza della rendita a Milano, se pure valutata a spanne? Tentiamo una stima grossolana applicata ad un caso ipotetico. Nel caso di un intervento di nuova edificazione in posizione di pregio, per esempio di fronte ad un parco, come nel caso delle Park Towers, anche se in periferia, oggi a Milano il prezzo di mercato può essere anche di 5.000 €/mq.. Il costo di intervento, compreso il costo dell’area, è valutabile in 2.500 massimo 3.000 €/mq. (se il prezzo dell’area è molto alto). La pura rendita si aggira dunque tra i  2.000 e i  2.500 € al mq. Per 100 appartamenti di 100 mq il plusvalore sarebbe intorno ai 20, 25 milioni. Di questi alla collettività non va nulla, per legge! Eppure il valore deriva dall’attività imprenditoriale ma anche dall’esistenza della città come opera collettiva.

Ci vorrebbe una legge, anche regionale, che consentisse di utilizzare la leva fiscale come strumento di governo dell’urbanistica. Milano avrebbe le risorse per costruire le case popolari di cui ha bisogno. Ma c’è un tipo di autonomia che nessuno vuole, ovvero l’autonomia impositiva. Gli strenui difensori dell’autonomia preferiscono che lo Stato “metta le mani nelle tasche dei cittadini” e le regioni spendano il “maltolto”.

Ugo Targetti

 



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  1. Andrea VitaliCondivido l'idea che la buona urbanistica deve essere fatta dalle amministrazioni e dai tecnici, e non dai magistrati. Purtroppo a livello nazionale, regionale e comunale la destra piano piano con continui slittamenti normativi (la ristrutturazione edilizia diventa un'altra cosa, la slp è sempre fatta salva, la residenza la puoi insediare anche senza servizi, gli oneri diminuiscono, le monetizzazioni anche, l'edilizia popolare diventa per il ceto medio, ecc. ecc) ha lentamente svuotato di senso alcuni principi. E la sinistra arrivata al potere con Pisapia, non si capisce se per insipienza o vigliaccheria, ha fatto propri questi elementi con pochissimi correttivi, peraltro solo di facciata (ma dichiarando retoricamente che tutto adesso era perfetto). Ora iniziamo a vederne i risultati, e non ci piacciono per niente. I ceti medi e bassi espulsi dalla città, niente soldi per i servizi; fiumi di danaro per le rendite, invece. Ma di chi è la colpa?
    21 febbraio 2024 • 15:08Rispondi
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