19 marzo 2024

STRUZZI, SQUALI E AVVOLTOI

Milano oggi e un "amarcord"


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Quando voglio intristirmi torno sempre al libriccino MILANO NEL 1906 (sindaco Ettore Ponti) nel quale viene descritto il momento magico in cui i cittadini (sia quelli facoltosi in grado di spendersi per la città che quelli organizzati in associazioni e sindacati), i Politici in Consiglio Comunale e gli amministratori municipali, completano il Piano Regolatore di Beruto del 1889, in armonia di intenti e di risultati che nella, per me dolorosa, pubblicazione vengono descritti.

Quel periodo è stata la nostra Atene, al tempo stesso produttiva e urbanistica, in ossequio alla millenaria vocazione milanese: anche se Milano è notoriamente città che non si ferma pur in assenza di una direzione politica ciò finisce inevitabilmente per omogeneizzare gli interventi.

Accanto a questa latitanza direttiva Il problema odierno di questa Milano post-Expo in piena trance turistica è la mancanza di una vocazione industriale che ponga alla città le domande infrastrutturali unificanti di un tempo, essendo diventate prevalenti l’industria ricettiva, il turismo educativo e quello sanitario, agevolati dalla finanziarizzazione di ogni servizio o bene prodotto, edilizia in testa.

Il fatto da cui parto è tanto inquietante quanto ininfluente.

MM bandisce un concorso per il Direttore del servizio casa, quello che gestisce le 28000 unità abitative di proprietà comunale: il concorso, dopo lunga gestazione, viene vinto da persona esterna con un curriculum nell’immobiliare.

Il problema sorge quando dopo pochi mesi dall’incarico salta fuori che una buona parte di quel percorso lavorativo è avvenuta in posizione influente all’interno dell’immobiliare riconducibile al clan Barbaro Papalia: il Nostro, uscito pulito e collaborativo dall’inchiesta dell’epoca, non avendo riscontri penali di sorta si è presentato con le carte in regola all’appuntamento del concorso ed è stato pertanto assunto (non mi è dato sapere chi altri vi fosse a concorrere).

Le dimissioni avvengono poi in modo rocambolesco cercando di far passare sotto silenzio una scelta così poco avveduta tanto da far rimpiangere le soluzioni interne del passato o un po’ di sano spoil system per posizioni così delicate, ma accosto questo fatto all’altra notizia rilevante riguardo l’edilizia pubblica milanese, ovvero l’accordo tra il Comune, CDP e Invimit (entrambe società statali che si occupano anche di finanziare le trasformazioni urbane e di dismissioni di patrimonio pubblico) per la costituzione di un Fondo in cui far confluire i malandati immobili comunali e quelli statali presenti a Milano (Invimit ha Piazza d’Armi fra gli asset, che ha inutilmente cercato di valorizzare nel corso degli ultimi dieci anni).

L’idea del Fondo è quella di vendere sul Mercato gli immobili di maggior valore inespresso nel bilancio comunale, tipicamente quelli centrali, e con il ricavato finanziare la ristrutturazione del patrimonio edilizio milanese: ovviamente MM si sarebbe trovata in prima fila, essendo da anni in cerca di una nuova vocazione progettuale  visto che senza nuove commesse esterne  il vecchio assetto ha finito per creare un discreto buco di bilancio a causa di assunzioni di personale ingegneristico senza opere da realizzare, buco dissimulato solo dai proventi del servizio acquedotto.

Se consideriamo che un’idea analoga è visibile in via Giambellino, finanziata da fondi di varia provenienza e gestita da Regione Lombardia, gli scarsi risultati a oggi pongono seri dubbi sulla capacità degli attuali responsabili del patrimonio pubblico nel portare a casa risultati certi e sostenibili, specie se ciò avviene a spese di contestuale alienazione degli immobili centrali, con la quasi sicura certezza di rendere ancor meno stratificato il Centro e, oltretutto,  ne insinua un secondo che possa pure non tradursi in un effettivo incremento di valore del patrimonio milanese o delle condizioni di vita degli inquilini, sicuramente non in tempi rapidi.

Ora la somma delle due operazioni, il Concorso e il Fondo, apre uno scenario inquietante su ciò che sarebbe potuto succedere nella peggiore delle ipotesi se non fosse saltata la discutibile nomina, ovvero centinaia di milioni di euro di opere che sarebbero transitate, tra le altre, anche dalla dogana del Servizio casa, in un settore come quello delle costruzioni da sempre nel mirino del riciclaggio interno e internazionale di fondi malavitosi, fondi che peraltro sono sempre alla porta anche sugli acquisti degli immobili intermediati dalla Finanza-Non-Etica, proprio per chiudere il cerchio ripulendosi nell’assoluta indifferenza di un possibile guadagno, motivo non ultimo di molta crescita nei prezzi degli immobili milanesi.

In questo pericolo momentaneamente scampato io però vedo come possibile concausa due limiti culturali di cui è portatore il centro-sinistra milanese:

  • Terminata la stagione craxiana, la Politica sull’Urbanistica non tocca volutamente palla, limitandosi a porre vincoli quantitativi (peraltro aggirabili, come suppongono le recenti inchieste, per quanto in fase ultra-preliminare) che lascia gestire in continuità agli stessi amministratori formatisi in era ligrestiana
  • La finanziarizzazione del patrimonio pubblico affidandolo a soggetti terzi, sia pur di proprietà pubblica ma di diritto privato, è un’ottima soluzione da struzzi che accompagna la scelta di non sporcarsi le mani, soprattutto in considerazione dell’opacità di un’operazione al di fuori del Mercato, per cui la scelta dei soci pare avvenire più per contiguità politica che non per convenienza, essendo peraltro sconosciuto l’obiettivo quantitativo prefissato e opacissimi i futuri investitori disposti a pagare il massimo.

Per quanto appaia stridente su queste pagine, in termini di valorizzazione effettiva del patrimonio pubblico e miglioramento delle condizioni di vita degli inquilini,  diventa più ragionevole il modello proposto da Massimo Roi per il quartiere S. Siro, magari addolcito nella sua furia iconoclasta, che baratta la riqualificazione del quartiere a spese dei privati utilizzando un bonus volumetrico verticale in concessione: in questo modo utilizzando soltanto un accordo fra Regione e Comune, titolari della potestà legislativa sugli indici, noi avremmo senza intervento finanziario diretto la riqualificazione complessiva, la non espulsione verso l’esterno di persone e attività, la riqualificazione degli standard abitativi in ossequio alle nuove necessità emergenti e infine una maggiore stratificazione sociale.

Fossimo ancora nel 1906 su tali argomenti potremmo aprire un dibattito pubblico e cercare di trovare soluzioni limpide e con risultati certi, dunque affidati dopo gare a lotti non sovrapponibili a privati che operino direttamente senza nascondersi dietro a Fondi dalla sede irraggiungibile, e sfruttando la potestà urbanistica per valorizzare in modo incrementale un patrimonio che oggi cuba malamente 1,7 miliardi nei bilanci comunali, quando invece ne vale già oggi almeno tre volte tanto, cambiando radicalmente le condizioni di vita di 70000 milanesi di serie B.

Ovviamente lo stesso, ma più in grande, vale per ALER, anche se ciò non serve certo per assolvere Milano dal suo mettere la testa sotto la sabbia, aprendo così indirettamente la strada agli squali che spesso popolano l’immobiliare e agli avvoltoi della Finanza-Non-Etica che fanno altrettanto spesso loro compagnia.

Giuseppe Santagostino

 



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  1. Fausto BagnatoQuando mi occupavo, di Edilizia, da Funzionario del Comune di Milano, gli alloggi ERP, di proprieta del Comune di Milano e gestiti dall'IACPM, erano 23.000 circa, mentre da un censimento fatto, da un funzionario dell' Edilizia Privata, misteriosamente trasferito dopo la pubblicazione dell' elenco degli 8.500 alloggi di proprietà del Demanio Comunale, ora diventati 28.000? Andate a leggere la delibera con l'elenco degli alloggi di proprietà del Comune di Milano, comprensivo di Via Morigi, dove sono stati venduti un bel numero di alloggi. Il netodo è sempre lo stesso.
    20 marzo 2024 • 10:36Rispondi
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