9 aprile 2024

CITTÀ DEI BALOCCHI (PER ALCUNI) E CITTÀ DEI POVERI (DI TANTI, DI TROPPI!)

Le due facce di una metropoli sempre più divisa e il ruolo della politica


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Milano muore di povertà in un piccolo lago di opulenza. Alle diffuse emarginazioni e fatiche a tirar sera fanno da contraltare rendite finanziarie e di posizione, Fondi d’investimento per i quali son solo poste di entrate/uscite (con utili e interessi, è ovvio) investire sul mattone d’oro ambrosiano e magari comprare grazie ad incentivi di Stato qualche azienda manifatturiera, poi chiuderla con una mail e spostare la produzione in Paesi dell’Est che vogliono entrare in Europa ma ai confratelli del Vecchio Continente generosi nell’accoglierli fan concorrenza con salari minimi, contributi, esenzioni fiscali. Così l’economia tira, i poveri crescono e son sempre più poveri.

A chi provasse fastidio, considerasse esagerato o retorico quanto detto conviene riepilogare alcuni dati, così come sono emersi nel giro di pochi giorni, senza suscitare particolari sussulti – troppo sarebbe immaginare indignazioni – in politica, media, intellettuali, né stabilire nessi, connessioni, ricadute, visioni d’assieme. Ormai, si registra. Punto.

In via Monte Napoleone Palazzo Cova è stato acquistato per 1 miliardo e 300 milioni. Cifra da capogiro, plusvalenza considerevole in soli due anni. Quel gruzzolo era la cifra che il Fondo Blackstone (lo stesso investitore della sede storica del Corriere quando la Fiat sazia di quanto aveva spremuto al giornale s’era interessata alla concorrenza, la Repubblica) aveva speso due anni fa per acquisire il Cova, appunto. Con una differenza: rivende solo l’antico pezzo pregiato ad un miliardo e passa; allora nel pacchetto acquistato eran compresi altri 13 immobili, quasi tutti in centro città (vie Turati, Verdi, Solferino, Milazzo, Meravigli, Carducci, Vincenzo Monti, Lagrange; viali Vittorio Veneto, Galilei; corso Magenta; piazza della Repubblica).

Le aziende del lusso, stando ai giornali, son loro ad agire sul mercato tramite advisor di operazioni immobiliari e Fondi. Guadagnano bene e non sembrano aver problemi di liquidità. Anzi. E molte di esse proprio a Milano devono le affermazioni più performanti.

Ecco, che nelle stesse ore dell’operazione Cova, un nome di quelli che fanno grande l’Italia nel mondo [formalmente una società operativa] è balzato all’onore delle cronache giudiziarie: borse di lusso, in vetrina a 1800/2000 euro, eran pagate all’origine 75 euro. Un ricarico esponenziale sulla pelle (vera, viva: persone in carne ed ossa!) di operai pagati 2/3 euro l’ora, o 50 centesimo a pezzo col cottimo.

Chissà se è stato anche per tenere alto il “made in Italy”, dare onore al merito imprenditoriale, celebrare la sovranità creativa del Paese che Meloni, con Salvini e Tajani, non han voluto il “salario minimo” a 9 euro sostenendo che sarebbe stata una distorsione del mercato; un livellamento al ribasso dei contratti. Del resto quei lavoratori del lusso (clandestini o in nero o “faccio figurare 4 ore ma ne fai 10”), sotto caporalato in aziende alle porte di Milano non in lontana terra d’Oriente, del problema casa non sembra dovessero preoccuparsi: 12/14 ore al giorno nei capannoni, a cucire e a incollare, a cucinare tra fornelli e bidoni di solventi, dormire nei soppalchi. Che pretendevano, un alloggio?

Sempre nelle stesse ore, ecco assistiti di Caritas parrocchiali portare ai volontari la sorpresa: l’Aler ha alzato gli affitti. Da 150/200 euro al mese si sale a 350/400. Motivo riferito: il Covid è passato; adesso si devono recuperare costi, arretrati non esigiti; controlli insufficienti che, quando scattano, sono i più deboli a pagare coi giri di vite, mai i furbi. Problema nel problema: molti già facevano fatica con le locazioni precedenti percependo in tutto o in parte il reddito di cittadinanza. Ma questo, Meloni & Salvini l’hanno abolito al grido “basta incoraggiare chi sta sul divano, andate a lavorare”, e chi ha solo 600 euro di pensione al mese e sono in due, senza più quel minimo d’aiuto, che devono fare?

Dalla Barona, al Corvetto, dalla Comasina alle Case Bianche una Milano negata, è ridotta a Città dei Poveri. L’ha denunciato sempre in questa settimana l’Opera Cardinal Ferrari: la povertà a Milano è cresciuta del 13 per cento in un anno: più ospiti al centro diurno; più pasti alla mensa; più pacchi alimentari distribuiti. I “primi ingressi” son stati oltre la metà degli assistiti.

Quando venne il Papa a Milano, nel 2017, e andò in qualcuno di quegli insediamenti per l’occasione ripuliti e imbiancati molti protagonisti della politica, dell’economia, dell’amministrazione scodinzolandogli dietro (anche se lui un po’ ruvido non gradì appuntamenti pubblici) promisero: mai più quartieri ghetto, mai più emarginazione e povertà diffusa! Per inciso: l’identica promessa da marinaio fatta poco dopo a proposito del mantenimento della Sanità Pubblica in occasione del Covid. Gli “scarti” sono una colpa loro a venire e a stare al mondo, non di chi li riduce o li mantiene in tali condizioni.

E là dove il pubblico potrebbe dare un aiuto con un patrimonio esistente vien da piangere o da arrabbiarsi a leggere in questi stessi giorni un’altra notizia: il Pio Albergo Trivulzio, che ha ben 1225 case a Milano, ha una rendita di solo il 2.41 per cento. Quindi al massimo mantiene, ma non riesce a fare una politica, né investimenti. Motivo: alloggi che dovrebbero andare a persone meno abbienti a canone ridotto finiscono sempre a canone fuori mercato ma a chi non ne avrebbe diritto, magari in zone di pregio, là dove i famosi Fondi fanno ben altri utili.

Esempi, per arrotondamento: via Moscova, 400 euro al mese; San Marco, 500; corso Italia 600. Anche con la clausola delle facilitazioni: tu ristrutturi e io ti faccio sconti; poi però i controlli circa l’effettivo vantaggio per il patrimonio pubblico latitano.

Stesse ore, stessa materia: la casa! Matteo Salvini cala l’asso anti-Meloni lanciando il condono (il 19° nella carriera del governo delle destre) per le “piccole” irregolarità. Poveri, ceto medio, non sono tra le priorità del vicepremier del Carroccio. Se coltivasse preoccupazioni di bene comune anche modeste risorse il Ministro delle Infrastrutture dovrebbe investirle nell’edilizia residenziale pubblica o negli aiuti ai Comuni perché provvedano loro. A parole la Lega dice di puntare sull’”autonomia differenziata”; nei fatti adotta un centralismo di memoria leninista. Per Salvini conta uno zero virgola in più che metta la sordina all’insofferenza interna in crescita, che cerchi di sostenere la competizione con gli alleati. E la Città dei Poveri? Salvini ha insegnato che lui ci va se può, a favore di telecamera, citofonare e chiedere se in tale appartamento c’è uno spacciatore.

Se Atene piange, Sparta non ride. Viste le vittime che la logica del mercato lascia per strada, le incapacità delle destre che governano Palazzo Chigi e Pirellone, ci sarebbe da aspettarsi un grido d’allarme a sinistra: in Comune e del Pd, perché sinora Conte di adepti a Milano non riesce a far grandi messi.

Soltanto che stesse ore stessi giorni il Partito Democratico va allo Scalo Farini, uno dei sei poli/scali ferroviari che avrebbero dovuto rappresentare la trasformazione urbanistica, sociale, culturale di Milano. E lì che fanno i dirigenti? Proclama il Segretario cittadino Capelli davanti a 800 persone: «Dal 2011 ad oggi siamo riusciti a cambiare tantissimo. Penso sia un grande errore non riconoscere lo straordinario impatto sociale, economico, ambientale, culturale e perfino sentimentale che il centrosinistra ha generato».

Si incomincia a capire meglio perché ormai il Pd fa il pieno di voti in centro e perde le periferie. I dirigenti non hanno occhi per la Città dei Poveri e si compiacciono della Milano d’oggi: «Una grande città europea: missione compiuta [sic!]». Son contenti [loro, noi no!] di pensare in grande alla maniera delle formule: obiettivo la «Milano del 2050» con i suoi 3,2 milioni di abitanti — ovvero quelli della Città Metropolitana – che diventa una «questione strategica che parla al futuro» e s’immaginano un «processo politico che rimetta il centrosinistra in sintonia con le persone così che quando ci saranno le primarie [nel 2027, ndr] non saranno una sorta di talent show tra pochi candidati ma saranno primarie della città». Beato chi vivrà e vedrà, vien da dire.

Chi siano le persone con cui rimettersi «in sintonia», su quali progetti e misure concrete, con quale vigilanza sulle trasformazioni in atto in casa, Sanità pubblica, welfare, scuola i dirigenti milanesi del Pd non lo dicono.

Forse non lo sanno o non sono d’accordo tra loro. Ma il problema non è nemmeno di un partito o dell’altro, di una maggioranza locale e una regionale e nazionale. Per non morire Milano dovrà presto recuperare alcuni valori costitutivi della identità propria e di tutti, nazionale: responsabilità individuale e collettiva; ambrosianità (senso civico e visioni ideali, religiose e laiche); etica privata e pubblica; solidarietà; cultura.

Tra 15 giorni, il 25 aprile sarà da celebrare la Liberazioni non facendo l’esame del sangue sul tasso di formule, verbosità, ideologie, ma dicendo in piazza a voce alta proprio questo: difendiamo la Costituzione Antifascista che significa: persona al centro; diritti e doveri; lotta alle disuguaglianze; lavoro; pari opportunità, libertà, cultura, ruolo delle donne, rispetto delle minoranze, bilanciamento dei poteri [sì a Mattarella, no al premierato meloniano!].

Ecco, il centro-sinistra riprenda in mano, studi, metta in pratica origini, storia, protagonisti: son quei nomi/parole d’ordine che fan venire l’orticaria ai post-repubblichini e gli bloccano in gola l’espressione “Costituzione antifascista”. Questa è ri-cordo (riporta al cuore), vita, lotta, sangue allora; impegno quotidiano oggi e sempre. Ci si giochi, si metta tutto di sé, ci si sforzi nell’ascoltare, nel motivare, nel coinvolgere i giovani, appassionarli, renderli protagonisti di quei valori, mancando i quali – come di diceva una volta a Milano – è meglio andare a nascondersi. Per dignità.

Marco Garzonio



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  1. Pietro VismaraIl punto è che un tempo i capitali cercavano remunerazione in iniziative economiche che creavano innovazione e sviluppo. Oggi la cercano negli immobili, e la loro remunerazione è la rendita delle attività che vi si insediano, che siano abitanti, commercianti o (sempre meno) produttori di beni e servizi. In poche parole il capitale immobiliare è il parassita che succhia sangue a famiglie e imprese, impoverendole. In questa situazione desta allora un po' di stupore sentire un ex assessore all'urbanistica di una giunta teoricamente di centrosinistra vantarsi perché, nonostante il Covid, "i prezzi degli immobili hanno tenuto" (detto con grande soddisfazione, peraltro). Ma lui da che parte sta?
    10 aprile 2024 • 11:22Rispondi
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