7 febbraio 2023

L’ANIMA, OGNI TANTO

Dawson, Duato, Kratz, Kylián al Teatro alla Scala


Foto_1_copertina_Mariani_Dawson

È andato in scena il primo titolo contemporaneo del balletto al Teatro alla Scala: venerdì 3 febbraio  2023 la Prima e la matinée del giorno dopo con il secondo cast. In realtà sono quattro titoli di quattro coreografi, i cui nomi danno il “titolo” dello spettacolo: David Dawson con Anima Animus, Nacho Duato con il passo a tre maschile da Remanso, Philippe Kratz con la nuova creazione Solitude Sometimes (di cui ho fatto una parafrasi nel mio titolo dell’articolo) e Bella figura di Jíři Kylián, un grande ritorno dopo tanti anni.

Eppure, un titolo vero si poteva pure pensare, perché questo spettacolo non cada nell’oblio dei balletti dispersi. Trovo che il titolo Anime avesse potuto bene descrive le varie caratterizzazioni e ‘anime’ che i diversi coreografi hanno espresso e ricercato.

Roberto Bolle sceglie di danzare Nacho Duato in un balletto che trovo più adatto al danzatore che sta crescendo, che alla maturità artistica. Remanso appare per il mio gusto il balletto con l’anima meno ricca, pur godendo – unico dei quattro – della bellezza insostituibile della musica dal vivo. Un linguaggio coreografico senza guizzi d’ingegno, fatto per lo più di una danza sugli accenti melodici, è stato bilanciato dalla bellezza fotografica della sua anima, in cui la stasi di certe immagini e la loro costruzione in simbiosi con i colori delle luci diventano quasi più interessanti della danza stessa. Emerge Domenico Di Cristo che, in ogni suo movimento fatto di isolazioni, fluidità e fratture di linee, dà anima e sentimento a una coreografia per certi versi povera; e lo stesso fa in ogni sua altra apparizione.

Bolle and Friends Arcimboldi 2019

L’anima di Philippe Kratz è quella del dio egizio Ra‛, il Sole, che da solo viene divorato dalla dea del cielo Mut per esserne partorito ogni giorno di nuovo dopo un viaggio nel regno della notte e dell’Aldilà (Amduat) impenetrabile. Un viaggio a ritroso, che si srotola proprio come un papiro in una sola direzione, da destra a sinistra, con i suoi geroglifici che raffigurano e raccontano il viaggio di un’anima luminosa tra le ore del buio. I costumi sono semplici richiamano i tessuti e le decorazioni dell’abbigliamento egizio, come i pettorali degli dèi e dei faraoni abbinati ai kalasiris, tuniche sottilissime e raffinatamente trasparenti che si indossavano sul lino. Tutto color oro, come il sole, che è uno e molti, uno e tutto. I ballerini sono tanti, ma sono solo le sfaccettature, le proiezioni di una sola anima che si perde e si ritrova nell’oscuro, che è (in) sé stessa. Eppure, non si assiste a un balletto malinconico né gotico, anzi.

C’è della gioia nel movimento, che nella sua spesso ripetitività diventa dinamismo e riempie la scena ed esattamente come il papiro si srotola da un verso, così si arrotola dall’altro: il finale riprende anulare l’inizio con un convincente Navrin Turnbull, ma lo innova con i raggi del nuovo Ra‛ che nascendo si spande, aprendosi anche nella direzione opposta. Kratz gioca sulle due dimensioni con linee rette e monodirezionali, che tanto evocano le ieratiche processioni degli affreschi e dei bassorilievi egizi, ma si trova anche spazio per la circolarità, come la variazione intensa di Andrea Crescenzi, dalla quale sembrano rinascere quegli studi di trigonometria, già presenti nell’antichissimo Papiro di Ahmosis.

Foto_3_Kratz_Solitude_Sometimes (1)

Se Kratz costruisce belle figure con i ballerini della Scala, che sembrano aver amato la nuova creazione, Kylián di Bella figura ne ha creata una che è un capolavoro. Mostra la sua anima di asimmetrie, nei tagli delle cortine nere che focalizzano solo certi spazi della scena, come i teli delle più antiche macchine fotografiche, nei seni nudi e corpi diversi che si intrecciano per disegnare “belle figure” (il titolo è già in italiano dal principio). Quelle figure eleganti e graziose che i danzatori sono abituati a mostrare quando il sipario si apre e che preparano con grande attenzione mentre si scaldano prima di entrare in scena: un’asimmetria intrigante… Perché non renderla spettacolo? Ed è quello che Jíři Kylián esattamente fa, mescolando le realtà, disorientando il pubblico e allo stesso tempo attraendolo inesorabilmente nelle loro spire di figure deformate che si riformano nella danza stessa: anche spalle alzate e piedi ‘a banana’ diventano arte. Marta Gerani e Claudio Coviello chiudono la serata nell’assenza di musica con un passo a due fatto di poesia e bellissime figure, come vanno menzionati Stefania Ballone e Andrea Crescenzi per il sottotesto di anima e sentimento che hanno saputo disegnare.

Trittico Novecento Bella figura Coreografia di: Jirí Kylián

La simmetria è l’anima di David Dawson, come si evince già dal titolo Anima Animus che in latino sono la faccia femminile e maschile dello “spirito” e del “soffio”, l’anima appunto e l’animo. E continua nel binomio cromatico tra bianco e nero dei costumi che donne e uomini hanno indosso in maniera complementare e speculare: petto bianco, schiena rigata di nero come la culotte per le donne; petto nero, striscia bianca che colora anche le calzamaglie per gli uomini. Il Concerto per violini nº 1 di Ezio Bosso si adatta bene all’immagine di soffio che la coreografia di Dawson dà: non è un caso se la parola latina animus ‘spirito’ ha la stessa etimologia del greco ánemos che vuol dire ‘vento’. I danzatori sono spinti sul palco da un vento che soffia da e verso ogni direzione, il mento alto e le braccia “Dawson”, alte con le dita delle mani divaricate, suggerisce esattamente questo volo. Un danza sostanzialmente “semplice”, fatta di per sé di pochi passi, ripetuti e susseguiti come nel contrappunto di Bosso, giocati magistralmente nello spazio, che ne fanno un balletto di grande forza e di fisicità estrema. Eppure, tutto sembra un soffio, leggerezza e, quasi, trasfigurazione: il grande schermo luminoso e bianco (asimmetrico, va notato, perché la scienza ci insegna che la simmetria perfetta è un’utopia!) mette quasi in ombra i volti dei danzatori, che non devono essere (quasi) riconoscibili. Il corpo di ballo nella sua interezza ha mostrato una piena padronanza di questa coreografia, Alice Mariani e Martina Arduino costituiscono un duo straordinariamente complementare: bellezza e stile, seppur diversi e ‘riconoscibili’, che sanno emergere dall’abbaglio dello sfondo e sono realmente capaci incastrare l’yin e lo yang.

Teatro alla Scala

Molti sono i danzatori che si sono distinti nei quattro quadri di Anime (uso il “mio” di titolo), perché ognuno ha lasciato fiorire un tratto di sé: in ordine casuale mi piace ricordare Andrea Risso,  Benedetta Montefiore, Christian Fagetti, Gaia Andreanò, Rinaldo Venuti. Alle danza che sono apparse godibili e attrattive ha fatto da contrappeso negativo secondo me la lunghezza degli intervalli, spesso eccessiva, che non ha facilitato la fruizione di tutto lo spettacolo.

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto: 1. Alice Mariani in “Anima Animus” (foto di Yan Revazov); 2. Roberto Bolle in Remanso” (foto di Laura Ferrari dall’Archivio Scala © Teatro alla Scala); 3. Philippe Kratz e la Compagnia nelle prove di “Solitude Sometimes” (foto di Marco Brescia e Rudi Amisano © Teatro alla Scala); 4. “Bella figura” di Kylián (foto di Marco Brescia e Rudi Amisano dallArchivio Scala © Teatro alla Scala); 5. Martina Arduino, Gabriele Corrado, Timofej Andrijašenko in “Anima Animus” (foto di Yan Revazov).

 



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