23 gennaio 2024

C’ERA UNA VOLTA A KYIV…

La nuova «Coppélia» politica di Ratmansky al Teatro alla Scala


Foto 1 Claudio Coviello e Camilla Cerulli alle prove

C’era una volta a Kyiv… Come a Kyiv? Eh, sì, perché Alexei Ratmansky ha rappresentato la sua nuova Coppélia, coreografata per il Teatro alla Scala, in quella che sembra, la Staryi Kyïv, la città vecchia della capitale ucraina. Indizio di questo è il fondale di Jérôme Kaplan, con tre cupole che richiamano quelle della cattedrale di santa Sofia completata nel 1060 quando c’era la Rus’ di Kyiv medievale o il più recente monastero di san Michele. Non solo il fondale, molti altri dettagli rivelano l’ambientazione ucraina: il grano che nell’adagio del pas de deux del primo atto Swanilda prende, invece delle più classiche rose, richiama il grano ucraino che viene coltivato ed esportato in tutta Europa, simbolo dell’economia del Paese; la camicia vyšyvanka con i ricami cosacco, geometrico, floreale o zoomorfo degli uomini e delle donne della piazza; oppure, infine, nel terzo atto la cerimonia della distesa degli sposi sul rušnyk, un telo per il talamo ricamato dalla sposa come omaggio allo sposo, una sorta di “coperta di somma” ucraina – secondo la tradizione siciliana della coperta in pura lana per il letto nuziale che la sposa e la sua famiglia preparavano come dote.

Tuttavia, Coppélia di Alexei Ratmansky non presenta solo un cambio di ambientazione, dalla regione Galizia sui Carpazi tra Polonia e Ucraina, a quella che a me sembra Kyiv. Non è solo questo. Quello di Ratmansky è un messaggio politico, il messaggio di un “sovietico” che si schiera apertamente contro l’invasione in Ucraina del 2022 – Ratmansky è nato a San Pietroburgo (allora, Leningrado), da una famiglia mista residente a Kyiv, ha studiato alla scuola del Teatro Bol’šoj di Mosca, è entrato nella compagnia del Teatro nazionale a Kyiv fino a diventare primo ballerino, poi la svolta occidentale dopo il 1991 e la rottura ufficiale con la Russia di Putin, come si legge nella recentissima biografia del coreografo, scritta da Marina Harss intitolata politicamente The Boy from Kyiv (2023) “il ragazzo di Kyiv”. La camicia vyšyvanka, così ‘prepotentemente’ presente sulla scena, non è solo un richiamo folkloristico, è il simbolo delle proteste in Bielorussia iniziate nel 2020, note giornalisticamente come “rivoluzione delle ciabatte”, in cui gli oppositori del governo Lukašėnka sostenuto da Putin indossano la vyšyvanka come un tradizionale talismano contro il maligno e un simbolo di pace e prosperità.

Foto 2 Plastico dell’allestimento per il primo atto

L’Arte fa anche questo, anzi l’ha sempre fatto. Manda un messaggio “politico”, nel senso più etimologico da polis ‘città, società’, cioè un messaggio che si occupa di questioni sociali e dello spirito umano, come aveva fatto la tragedia greca per citare solo esempi che riguardino il teatro. Eppure, il messaggio politico di Alexei Ratmansky appare un po’ sbiadito, o meglio una patina entro cui si inserisce il balletto Coppélia, che appare piuttosto tradizionale, pur con molte innovazioni nella partitura e nella drammaturgia. Risalta per esempio l’assenza di distinzioni di classe, nella Coppélia tradizionale si distinguono i popolani che danzano la mazurka (danza russa) e gli aristocratici che danzano la czárdás (danza ungherese), secondo la magiarofilia ottocentesca (la passione per l’Ungheria, tipica del romanticismo); nella versione di Ratmansky mazurka e czárdás sono danzate dai frequentatori della piazza, che sono indifferentemente amici della coppia protagonista e compaesani (ecco, poi il clima generale, a dispetto del fondale con la cattedrale maestosa, non sa di città, ma più tradizionalmente di paese).

Foto 3 Il corpo di ballo nella mazurka del primo atto

La versione di Ratmansky non è una versione filologica di Coppélia. Siamo stati abituati alle sue ricostruzioni dei balletti romantici e zarini, a quando per il Teatro alla Scala aveva ricostruito la Bella addormentata nel bosco (2015) e il Lago dei cigni (2016), mentre per il Teatro Bol’šoj Giselle (2019). Pur mantenendo qualcosa di ‘antico’, come le gargouillades (un salto pas de chat con due ronds de jambe en l’air invece dei retirés), i temps de poisson e i temps de l’ange (piccoli salti con le gambe incrociate in doppio attitude, rispettivamente piccolo e grande) per finire in sissonne ouvert, le revoltades con passé (scambio di gambe durante un salto) e i salti Cecchetti con il doppio passé, questa Coppélia marca molto le danze di carattere, pone l’accento sul folklore, soprattutto nel primo atto con danze russe e ungheresi, e nei piccoli cammei del secondo atto con il bolero (danza spagnola) e la jig (giga, danza scozzese) di Swanilda, il cui valore drammaturgico per questi ultimi due ho fatto più fatica a concepirlo.

La danza infatti seguendo questo che sembra l’interesse di Ratmansky si configura con molti tratti del carattere in particolare quello slavo, come il retiré parallelo, anche nelle pirouettes, oppure ancora lo štopor (cavatappi) e golobez (battito dei talloni, dopo aver rivolto verso l’interno le punte dei piedi), molti salti di carattere tra cui i prisjadka (calcio a partire da un grand plié). La variazione più interessante coreuticamente è stata a mio gusto la variazione slava del primo atto di Franz, che Claudio Coviello nella recita pomeridiana del 13 gennaio ha eseguito splendidamente, con carattere, forza e bellezza, proprio come richiesto ai golobez, letteralmente la parola significa “colombo” e descrive i giovani che si mettono in mostra durante le feste danzate del mondo slavo.

Coviello ha interpretato un Franz molto convincente: un ragazzo bello, un po’ sbruffone, ma anche ingenuo e di buon cuore. La sua presenza ha riempito il palco di tecnica solidissima forgiata da anni da primo ballerino, unita alla capacità personale di entrare nei personaggi, con una recitazione naturale e non una pantomima clownesca.

Foto 4 Alexei Ratmansky alle prove con il cast di Franz (Claudio Coviello, Marco Agostino e Mattia Semperboni)

Accanto a lui ha debuttato la solista Camilla Cerulli, un debutto atteso da tempo, in cui ha mostrato tutta la sua freschezza in un ruolo che sembra cucitole addosso. Mai artefatta la mimica, personaggio vissuto prima che eseguito, in cui la personalità di Camilla e di Swanilda si fondono in un personaggio ‘reale’. Cerulli mostra anche una tecnica solidissima, che le permette il virtuosismo del terzo atto con i trentadue tempi di fouettés e giri alla seconda, perfettamente in asse lungo il centro del palco, e le permette una versatilità nei cammei di carattere russo, spagnolo e scozzese tipica di chi ha maturato la tecnica.

Matteo Gavazzi ha interpretato Dr. Coppélius, personaggio “strano”, tra l’inventore e il mago, che rappresentata l’antagonista, ma non troppo cattivo. Gavazzi ha dato spessore a un personaggio che pur non danzando propriamente, ha importanza vitale per la diegesi soprattutto del secondo atto. Non è mai stato calante, anzi un Coppélius “pazzo”, che mi ha rimandato a una sorta di Cappellaio Matto di Alice nel paese delle meraviglie.

Foto 5 Coppélius (Chistian Fagetti) e la bambola Coppélia nel primo atto

Il corpo di ballo è in grande forma, danza con precisione e coesione, coordinando spazi e movimenti, nonostante nella coreografia di Ratmansky manchino un po’ di geometrie e figure peculiari del corpo di ballo, disposto per lo più in file parallele, con corse nelle diagonali o qualche cerchio, senza troppo brio nella disposizione. Spiccano Stefania Ballone per la personalità sempre viva e presente, Rinaldo Venuti per il brio mediterraneo e Linda Giubelli per una spiccata eleganza.

Alcuni solisti hanno poi danzato quattro variazioni allegoriche, di cui personalmente ho compreso poco l’opportunità sul piano drammaturgico, sono entrati senza prepare gli spettatori; e di cui non ho particolarmente apprezzato i costumi. Si tratta nell’ordine di Martina Valentini per la Maternità con un abito rame e vari fiori (che ha me ha ricordato una Matka Zemlja, madre natura del folklore slavo) con una variazione impostata sul ritmo allegro, Domenico Di Cristo per l’Amore con una variazione da adagio in cui è emersa un’eleganza da statue neoclassiche di Bernini e Canova, Gaia Andreanò per il Lavoro con una variazione allegra e briosa fatta di salti e manège e Christian Fagetti per la Discordia, con variazione più povera coreograficamente, ma con un’interazione diretta con i paesani in festa, resa estremamente viva e divertente dal solista scaligero.

Uno dei momenti più interessanti sul piano coreografico è stato il carillon del secondo atto, quando Swanilda e le amica decidono di azionare tutte le bambole del laboratorio di Coppélius, le quali sono ancora in fase di perfezionamento. Le danzatrici sui sostegni nei loro movimenti ‘meccanici’ e scomposti hanno creato uno dei momenti più attraenti e riconoscibili della firma del coreografo.

Foto 6 Swanilda (Nicoletta Manni) con le amiche e i manichini

Coppélia di Alexei Ratmansky mi ha rimandato per certi versi a Giselle, in particolare le note e i passi di un certo momento della variazione allegorica dell’Amore mi hanno ricordato l’adagio di Giselle del secondo atto. Ho scoperto dopo che anche Balanchine ha fatto lo stesso parallelo, e con concludo parafrasando la sua riflessione. Giselle e Coppélia sono i due volti del romanticismo di metà Ottocento, la prima con la tragedia dell’amore, la seconda come una “grande commedia”, e in questi tempi particolarmente bui di guerre e crisi umanitarie ed economiche, può dare una luce di speranza questa allegria a lieto fine di una fiaba ambientata a Kyiv.

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano © Teatro alla Scala di Milano. 1. Claudio Coviello e Camilla Cerulli alle prove; 2. Plastico dell’allestimento per il primo atto; 3. Il corpo di ballo nella mazurka del primo atto; 4. Alexei Ratmansky alle prove con il cast di Franz (Claudio Coviello, Marco Agostino e Mattia Semperboni); 5. Coppélius (Chistian Fagetti) e la bambola Coppélia nel primo atto; 6. Swanilda (Nicoletta Manni) con le amiche e i manichini.



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