4 maggio 2020

L’ETERNO CARNEVALE

Se al governo si passa dalla figura di Churchill a quella di Schettino in poche settimane


Che fossimo impreparati a quest’emergenza è ormai assodato. Che la Lombardia e il suo sistema sanitario lo fossero più di altri, anche. Resta da verificare tutto il “resto”, portato alla luce dal Covid: smart working, smart schooling, e una politica che oscilla pericolosamente tra un sì, un no e troppi “forse”.

cafiero

Avvolgo l’avanzo di pasqualina nella pellicola e lo metto in frigo. La normalità. Mi metto la mascherina e mi preparo ad attendere almeno 30 minuti in una fila ben distanziata per poter entrare nel supermercato a fare la spesa. La nuova normalità.

Siamo chiusi in casa da quasi due mesi. Il 4 maggio si sono “aperte le gabbie”. Vedremo quale sarà l’effetto nel breve periodo. Se tutto va bene, le restrizioni si allenteranno un po’. Attendiamo con trepidazione le prossime esternazioni governative per conferme. Sto preparando il popcorn in vista del prossimo intervento a reti unificate di Conte. Intanto sono state annunciate ulteriori date, come indicative. Ma se si ripete il copione del passato, fra qualche tempo, può essere che un nuovo annuncio sposti l’asticella ancora più in là. Perpetuando un gioco al rimpiattino che dura dai primi di marzo.

Capisco anche che la tattica dilatoria si renda necessaria per far digerire ai cittadini queste impopolari misure in modo graduale. Per evitare reazioni, anche scomposte. Con un poco di zucchero la pillola va giù…

Faccio outing. E mea culpa. Appartengo alla categoria di quelli che agli inizi sostenevano, sbagliando, che si trattava solo di una forte influenza. Che da noi non avrebbe avuto le conseguenze che osservavamo, più incuriositi che preoccupati, nei telegiornali e nei reportage dal lontano oriente. Che l’Italia non è la Cina. Che Milano non è Wuhan. Che non si può chiudere un intero paese, perché altrimenti l’economia e le finanze vanno a remengo. Non ho partecipato alle prime corse a svuotare i supermercati, né a comprare stock di mascherine alla farmacia sotto casa. Ho anche scritto un articolo semiserio, un po’ per scaramanzia, un po’ per spocchioso e presuntuoso distacco.

La verità è che all’inizio tutti, o quasi, siamo stati portati a sottovalutare quello che stava accadendo. Anche perché non ci era mai capitato (se non in remoti passati) di avere a che fare con nulla di simile. Mancavano i punti di riferimento. E in larga parte mancano anche adesso. Sars, Aviaria? Nulla di paragonabile, anzi, le epidemie di allora hanno contribuito ad alimentare una falsa fiducia nella nostra capacità di contenere e debellare pure la pandemia attuale, soprattutto quando ancora non la definivamo così.

Verrà il tempo per la polemica politica e per le legittime critiche alle strategie che i vari livelli di governo (non) hanno messo in atto in questi mesi, ma la sensazione è che non vi siano poi così tanti esperti in virus pandemici. Abbiamo tanti virologi, ma spesso con opinioni, per quanto autorevoli, assai diverse. Che per di più preferiscono litigare tra di loro, in una replica sgraziate delle baruffe chiozzotte. Poi stiamo scoprendo che la maggior parte di loro forse non è neanche tanto autorevole…

Ammettiamolo. Noi non eravamo preparati, non lo era la Lombardia, ma più in generale l’Italia e l’Occidente. Quanto all’Oriente, non so, ho i miei dubbi… Basta vedere come ci si stia muovendo ancora oggi in ordine sparso, con continui dietrofront. Si recita tutti a soggetto. Senza una vera strategia. Immunità di gregge sì, anzi no, anzi solo un pochino. Tamponi a tutti, no solo ai sintomatici, anzi prima agli italiani… Modello cinese, modello svedese, modello italiano, modello tedesco, modello americano, etc… Ma parliamo di automobili o di Covid -19?

Ma quindi cosa possiamo dire? Bella domanda. Provo a dirvi quello che so.

La prima cosa è che io so di non sapere nulla. Grazie Socrate! In tutto questo bailamme ho capito di aver diminuito le mie poche certezze. Sarà un effetto della quarantena, che finisce per ottundere ed offuscare le capacità cognitive, della martellante sovraesposizione mediatica, dell’avere troppo tempo libero per trastullarmi con mille pensieri. Oh, sono sincero. La cosa strana è che in questo periodo allo stesso tempo i soloni e i tuttologi spuntano come funghi (velenosi, ovvio). Mistero…

Il secondo fatto riguarda la Sanità di Regione Lombardia. Senza polemica. Però va detto che il modello lombardo, considerato da tutti esempio di efficienza ed eccellenza regionale, non ha retto il colpo. Ha fallito. Senza attenuanti. Ci sono tanti motivi, che non spetta a me elencare. Anche perché come dicevo sopra, non sono in grado di fornire certezze. Sento varie ipotesi, alcune sensate, altre troppo intrise dei soliti cascami ideologici. Forse è vero che un sistema basato sulla centralità dell’entità ospedale a discapito del territorio, con una quota piuttosto importante delegata al privato in convenzione, funziona bene in condizioni normali, ma collassa rapidamente durante le emergenze. Non vado più in là col ragionamento.

Terzo punto: mi pare che, terminato il primo momento in cui tutti al governo si sentivano eroici condottieri attraverso un mare in tempesta, oggi si sia tornati al piccolo cabotaggio. Siamo passati da Churchill a Schettino in poche settimane. Si cerca di governare l’emergenza sanitaria, ma senza sapere bene dove si stia andando. Si naviga a vista, tra un inchino alla Cina e una schermaglia con la Germania. Senza contare le misere polemiche interne. Si annunciano soldi per tutti e poi nei provvedimenti reali (a volte un po’ pasticciati) troviamo mille eccezioni a cui quei soldi non spettano. Ed è a questi navigatori a tentoni che noi abbiamo consegnato le nostre libertà, da bravi pecoroni responsabili, senza neanche protestare troppo. Almeno per il momento. (Di)mostrando così un’indole italica geneticamente portata ad obbedire all’uomo forte di turno (e se l’uomo forte è Conte, non è che siamo messi benissimo…).

Però voglio dire una delle poche cose che ho capito. E che dovrebbe essere ormai chiara a tutti. La quarantena non serve a combattere o debellare il virus. Serve ad evitare di espandere il contagio, per scongiurare l’implosione di un sistema sanitario che rischia ancora oggi il collasso. La quarantena non cura. Non fa scomparire il virus. Anzi forse rallenta anche il raggiungimento della necessaria immunità di gregge. Eppure sono sicuro che, complice la narrazione dei media, molti siano ancora convinti che stiamo facendo questo “sacrificio” per far scomparire il virus. E poi liberi tutti! Ma magari…. Prevedo un brusco risveglio, a breve. Forse già durante questa settimana.

L’unica cura contro il virus è il vaccino. Non il caldo, la bella stagione o ingurgitare limone e bicarbonato. E tacciano, possibilmente per sempre, i no vax complottisti. Quelli che la colpa è del 5G, delle multinazionali del farmaco che hanno creato questo virus nel 2015 e pure degli alieni. Certo che poi leggi notizie di un laboratorio di Wuhan in cui sarebbe “nato” il virus e capisci come si alimentino certe scemenze…

Quello che so è veramente poco, quindi vorrei provare a ragionare su quello che verrà. Sempre con la premessa dei miei limitati mezzi intellettivi, resi ancor più inefficaci dal lockdown, non solo fisico, ma anche cerebrale. Sono solo un architettucolo di quartiere, nulla di più.

Abbiamo capito che le riaperture saranno graduali, divise per categorie e per regioni. Con buona pace di Fontana e De Luca. Abbiamo appreso che i nostri figli torneranno – forse – a scuola solo a settembre. Supponiamo che per un bel po’ andremo in giro e nei negozi con le mascherine e con ingressi scaglionati. Cinema e teatri dovranno adattarsi, riducendo le capienze e disciplinando le code per entrare. Immagino che i biglietti si compreranno solo online. Stadi e concerti? Come sembrano lontani i tempi in cui dibattevamo sul destino di San Siro… E i parchi pubblici? Serviranno panchine singole? Non oso pensare al settore della ristorazione e a quello del turismo.

Più in generale vi saranno da comprendere e gestire cambiamenti in tutti i settori della nostra società. Nuovi modi di vivere, di lavorare, di abitare. Ma quello che sta succedendo influenzerà anche il modo in cui concepiamo le nostre relazioni interpersonali. Come? Lo capiremo solo col tempo. Anche perché, come dicevamo prima, ai manovratori sembra che manchi completamente una strategia che vada oltre la contingenza.

Al contrario, penso che sia il caso di entrare nell’ottica che l’emergenza non finirà presto e che comunque certe misure di prudenza dovranno diventare abitudini. Per evitare una risalita della curva dei contagi e per contenere i problemi alla prossima analoga situazione di crisi. Che capiterà, prima o poi. Non basta, per esempio, spostare il Salone del Mobile al prossimo anno. Forse bisogna anche iniziare a pensare a nuove modalità, per questo settore come per tutti gli altri.

Il mondo del lavoro sta già prendendo atto che si può lavorare anche da casa con profitto. Non in tutti i settori, ovvio, e solo con qualche accorgimento. Forse anche nel produttivo ci potrà essere una rivoluzione smart. Serviranno spazi più ampi nelle case degli smart workers, magari facilmente configurabili in studi temporanei. E anche le camere dei nostri figli dovranno tenere conto di simili esigenze per una didattica parzialmente a distanza. Non sarà facile, né immediato, ma questo potrebbe portare a scuotere il settore immobiliare, attualmente poco effervescente. Allo stesso tempo potremmo assistere ad un ridimensionamento degli spazi per uffici. Una certa quota di essi potrà essere recuperata ad uso residenziale, magari andando anche a ripopolare zone centrali. Serviranno norme più agili in tal senso e qualche forma di incentivo.

Certo non tutti potranno fare smart working, ma sia nel pubblico che nel privato potranno essere implementate soluzioni ibride. Rotto il tabù dell’orario di lavoro e del cartellino, potremmo pensare di lavorare meglio in questo nuovo contesto, a patto di non diventare ibridi noi stessi, perennemente collegati e operativi. Il rischio di lavorare da casa è quello di non “staccare” mai.

Ci sarà da ripensare la mobilità, pubblica e privata. Sarà imperativo trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza di sicurezza garantita dall’utilizzo mezzo privato e l’obbiettivo di ridurre congestionamento e inquinamento, garantito solo da un massiccio utilizzo dei mezzi pubblici. È anche vero che forse vi saranno meno spostamenti proprio per merito dello smart working. Il dibattito sul tema è già iniziato. E anche qualche prima azione, più che altro emergenziale e “tattica”.

Se la direzione è questa, che piaccia o meno, allora serviranno ingenti investimenti nelle infrastrutture informatiche. Va drasticamente ridotto il digital divide. La banda larga non è un capriccio di chi vuole Netflix in 4k, ma un’esigenza ineludibile, per tutti. È assurdo che i 500 euro, che ogni diciottenne riceve come bonus cultura, non possano essere usati per comprare un portatile o un tablet. Se dobbiamo diventare tutti almeno un po’ “virtuali”, dobbiamo contemporaneamente provvedere ad aiutare quella fascia di popolazione, quella delle cosiddette “fragilità”, che per età, istruzione o capacità economiche non è in grado di utilizzare o non possiede questo tipo di strumenti.

Una società che per necessità, più che per scelta, adotta misure di distanziamento, deve allo stesso tempo trovare i modi per colmare quei vuoti, fisici, immateriali ed esistenziali, che inevitabilmente andranno ad aumentare. C’è il rischio che solitudine e connessione aumentino, paradossalmente, di pari passo.

E nel frattempo? Confesso che alle code per il supermercato mi sto rassegnando e abituando. Mi porto un libro, che male non fa. Temo che la mascherina e i guanti, andando verso la stagione calda, diventeranno più fastidiosi da tollerare, ma me ne farò una ragione. Videochiamo amici e parenti, con tutti i limiti del caso, ma sono consapevole che si tratta di un blando palliativo. Compro online, più di prima, ma ho paura che nel lungo periodo questa possa diventare un’abitudine per compensare la rinuncia ad uscire di casa.

E poi c’è la convivenza forzata. Materia più per psicologi e sociologi. Io al massimo da architetto posso dire che ringrazio il cielo di avere un balcone e qualche piccolo spazio in casa dove ricostruire quel minimo di privacy necessaria per decomprimere e non esplodere. Il mio è un piccolo privilegio e so che non è così per tutti. In questa ottica la ridefinizione degli spazi pubblici diventa una priorità.

Questa è la nostra vita di oggi. Almeno per il momento. Abbiamo rinunciato più o meno volontariamente ad una parte importante della nostra libertà individuale. Ma forse più per un riflesso pavloviano che per una scelta consapevole. Attraversiamo il nostro tempo in un eterno carnevale, nascondendo le nostre paure e le nostre preoccupazioni dietro una mascherina chirurgica. Che forse ci salverà la pellaccia, ma ha l’enorme difetto di lasciare scoperti gli occhi.

Occhi spaventati, persi, terribilmente uguali a quelli di Bambi quando gli uccidono la madre.

Pietro Cafiero



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  1. luigi caroliE' normale che chi asseriva - consultata la Pizia - fosse la solita influenza critichi chi doveva (e dovrà) prendere decisioni spesso scomode. Vuole riaprire subito tutto senza legami per continuare a fare tutto ciò che gli aggrada. Si aggiunge ai governanti lombardi (e piemontesi) assidui nel raccontare in tv le loro fake-news. Serial killer che si autoincensano applauditi spesso da celebri professionisti.
    6 maggio 2020 • 13:02Rispondi
  2. stefano..ma davvero il sistema sanitario della Lombardia è stato più impreparato di altri ? Chissà ! ...se l'emergenza fosse scoppiata in un'altra Regione, magari nel sud dell'Italia, sarebbe andata meglio ?
    6 maggio 2020 • 14:18Rispondi
  3. luigi caroliGentile Stefano, purtroppo la risposta è nei decessi odierni: Italia 369 - Lombardia 222.
    6 maggio 2020 • 19:10Rispondi
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