9 maggio 2021
STEREOTIPI DI GENERE: CONCETTI INNATI O APPRESI?
L'infanzia e le questioni di genere
9 maggio 2021
L'infanzia e le questioni di genere
Se si chiede a dei bambini, in età prescolare, quali possono essere le differenze tra maschi e femmine si ottengono risposte che spaziano dalle caratteristiche fisiche (organi sessuali, barba e baffi, statura, forza) a quelle emotive (coraggio, debolezza, timidezza, aggressività) fino a quelle culturali (gonna, interessi, giocattoli).
Queste descrizioni suggeriscono come i bambini abbiano un concetto di “genere” già differenziato in età precoce, infatti sono in grado di identificarsi molto presto come maschi o femmine sulla base delle caratteristiche biologiche. Tuttavia ci indicano anche come molti degli attributi vengano considerati prettamente maschili o femminili in base a degli elementi che non sono presenti fin dalla nascita, ma sono suggeriti dalla società e dalla cultura di appartenenza.
Vista l’età dei bambini, appare normale che le categorie uomini/donne e maschi/femmine risultino mescolate e confuse le une con le altre. D’altra parte questo fenomeno possiamo ritrovarlo anche negli adulti che molto spesso confondono le differenze relative agli aspetti biologici con altre che dipendono dall’ambiente sociale e culturale; trasmettendo queste percezioni e credenze, anche in maniera non intenzionale, ai bambini.
Quando si parla di bambini e di educazione, si è subito portati a pensare agli strumenti educativi per eccellenza: il gioco e i giocattoli. Nel corso degli anni, il gioco ha riscontrato un‘attenzione crescente ma nonostante ciò viene ancora visto come un’attività per lo più ricreativa, trascurando di fatto tutto il suo potere formativo latente. Alcuni tra i più noti psicologi dell’età evolutiva si sono interessati all’argomento sottolineando come esso costituisca un’attività attraverso il quale i bambini costruiscono la propria realtà, arricchendola di norme, usanze e credenze e formando una parte importante della loro identità.
Studiosi come Piaget, Bruner e Mead, che hanno ampiamente analizzato il ruolo del gioco nello sviluppo dei bambini hanno evidenziato come esso sia fondamentale per sviluppare abilità cognitive, affettive, emotive e sociali (e.g cooperazione) senza tuttavia soffermarsi su eventuali differenze di genere. Huizinga sostiene che nel bambino la tendenza a giocare sia innata, ma i modi in cui il gioco si esprime, le sue regole, i suoi oggetti siano indubbiamente il prodotto di una cultura.
Negli ultimi anni si è dibattuto a lungo sul ruolo del gioco e dei giocattoli, soprattutto per quanto riguarda l’instaurarsi di stereotipi di genere. Alcuni studi condotti in ambito infantile, hanno evidenziato come i genitori italiani pur dichiarando di non fare distinzioni di genere tra giocattoli, preferiscano indirizzare i propri bambini maschi verso giochi considerati “tipici” da bambino e di preoccuparsi se il proprio figlio preferisce giocare con giochi solitamente associati all’altro sesso.
La stessa cosa avviene per la scelta dei cartoni animati e dei libri. Questo risulta particolarmente vero per i genitori di bambini maschi, mentre per quanto riguarda le femmine, nonostante ci sia comunque la preferenza verso giocattoli tipici, la differenza non sembra così marcata. Infatti la maggior parte dei genitori non si dichiara preoccupata di fronte alla scelta della propria figlia, verso giocattoli considerati più maschili.
Davanti a questi risultati viene spontaneo domandarsi il perché esista questa differenza.
Sembra quasi che se un bambino maschio scelga di giocare con una bambola, possa in qualche modo venire meno a delle caratteristiche fondamentali (come se “il prendersi cura” fosse una cosa negativa rispetto ad impugnare un finto fucile e puntare il gatto). Questa cosa sembra non avvenire per le bambine, forse perché i giochi considerati più maschili (come le costruzioni, i giochi di logica o di scienza) sono in realtà giocattoli che stimolano delle abilità non legate al genere (come le abilità visuo-spaziali, costruttive e di ragionamento).
Tuttavia se una bambina gioca alla lotta o esprime rabbia in maniera evidente, non è raro trovare un genitore che le ricordi il codice di comportamento appropriato ad una femmina, sopprimendo di fatto l’espressione di emozioni e comportamenti “negativi” ma spesso utili per esprimere il proprio dissenso. Alcuni genitori dichiarano che è il bambino stesso che decide con cosa giocare e in tal modo credono di lasciare al proprio figlio una libertà di scelta. In realtà non riflettono sul fatto che manifestare preferenze verso un gioco piuttosto che un altro, è un’operazione cognitiva che richiede una precedente attribuzione di significato verso specifici stimoli.
In altre parole, se i bambini scelgono un determinato gioco è perché qualcun altro li ha scelti, selezionati e presentati al bambino. Infatti i giocattoli prima di appartenere al bambino, che certamente li userà secondo i suoi codici di lettura, sono di proprietà degli adulti, che li costruiscono, li acquistano e li offrono ai bambini.
Questo fenomeno si può osservare già prima della nascita, quando molti genitori compiono delle scelte in base al sesso del nascituro (cameretta blu se è un maschietto oppure rosa se è una femminuccia) operando di fatto una scelta a priori su cosa è più adeguato al genere del futuro bambino.
La distinzione di genere in base al colore è forse uno degli esempi più lampanti della differenziazione sociale, infatti i colori più tenui e caldi nell’immaginario collettivo sono più spesso associati a genere femminile, mentre quelli freddi e senza sfumature al genere maschile.
Questa distinzione non trova riscontro con le vere preferenze dei bambini che fin da piccoli si mostrano interessati verso un’ampia gamma di colori, mentre con la crescita la scelta dei colori preferiti si settorializza sempre di più verso quelli suggeriti dal contesto culturale, adducendo come giustificazione il fatto che un colore è più tipicamente associato ad un genere (e quindi sarebbe inconsueto o addirittura inopportuno non adeguarsi a questa norma sociale).
Oltre alle nozioni trasmesse dai genitori, uno degli aspetti che ha avuto maggior impatto sulla differenziazione di genere è legata al fenomeno del Kid Marketing, che considera i bambini come dei veri e propri consumatori e si occupa della creazione, promozione e vendita dei giocattoli.
Infatti se si osserva la distribuzione dei giochi all’interno di un negozio per bambini, si può notare da subito una netta differenziazione tra giocattoli per bambini maschi e quelli per bambine femmine. Molto spesso questi reparti sono anche fisicamente lontani tra loro, in modo tale da rendere più netta la differenza. I giochi considerati maschili sono quelli che prevedono attività manuali e costruttive, oltre a giochi scientifici e di esplorazione/avventura. I giochi femminili sono caratterizzati da bambole, aspirapolveri e cucine, giochi per produrre gioielli o imparare a cucire.
Tutto ciò è corredato da confezioni che raffigurano diversamente gli utenti a cui sono rivolti (un gruppo di bambini che giocano insieme vs. una bambina, rigorosamente acconciata e spesso truccata, che gioca da sola). Anche i colori sono marcati in modo tale da richiamare una categorizzazione sociale (rosa e colori accesi per le femminucce e blu o colori scuri per maschietti). In alcuni casi si può osservare come alcuni giochi per bambini abbiano un corrispettivo anche per le bambine, ma con contenuti modificati (ad esempio una nota casa produttrice di giochi educativi ha creato una linea di giochi “scientifici” in cui distingue: una versione per creare rossetti, glitter o profumi dedicata alle bambine rispetto a quelle per studiare i minerali, il sistema solare o i vulcani rivolta ai bambini).
Lo stesso fenomeno si può osservare anche nei giochi elettronici, in cui accanto ad un’ampia offerta di giochi di azione, avventura e competizione (promossi soprattutto per un pubblico maschile) si affiancano giochi di accudimento, cura della persona e benessere (rivolti ad un pubblico femminile)
Anche le pubblicità che sponsorizzano tali prodotti sottolineano la differenza tra giocattoli prettamente per bambine e altri specifici per bambini, così come i cartoni animati (dove spesso per identificare i soggetti femminili viene attribuito un fiocco rosa, o in alcuni casi, un grembiule da cucina che non viene mai tolto nemmeno fuori dalle mura domestiche). Lo stesso vale per i libri per bambini che contengono molte immagini, di cui la maggior parte rappresenta i personaggi incasellati in veri e propri stereotipi (il papà che sta seduto sulla poltrona mentre la mamma cucina). Anche il linguaggio utilizzato nelle pubblicità o nei testi risente di questa differenziazione stereotipata, privilegiando i termini che esprimono azione, vivacità e forza per i maschi e termini che esprimono empatia, gentilezza o frivolezza per le femmine.
Tutto ciò ha un’importante ricaduta sulla costruzione dell’identità dei bambini e sullo sviluppo delle loro potenzialità. Bisognerebbe ricordarsi che i bambini hanno diritto al gioco (come sostenuto dalla carta dei diritti del fanciullo, 1989) e che i giocattoli in sé non sono legati al genere, ma sono semplicemente giocattoli che servono al bambino per stimolare la creatività e sviluppare le abilità cognitive e sociali. Inoltre è bene tenere a mente che i bambini sono individui in crescita, che stanno cioè formando la loro identità e non possiedono gli strumenti per fare un’analisi critica delle pubblicità dei prodotti a loro rivolti. Perciò se si vuole arrivare ad una parità di genere, intesa come pari opportunità e pari diritti, sarebbe consigliabile partire dagli strumenti che i bambini utilizzano fin dall’infanzia: i giochi.
Arianna Fornari
Fonti bibliografiche
1) Bakan J (2011), Assalto all’Infanzia. Come le Corporation stanno trasformando i nostrifigli in consumatori sfrenati, Milano. Feltrinelli
2) Bruner J.S, Jolly A., Sylva K.(1981) Il gioco. Il gioco in un mondo di simboli, Roma,Armando
3) G.H Mead (1966), Mente,sé e società. Dal punto di vista di uno psicologo comportamentista, Firenze,Giunti-Barbèra,
4) J. Huizinga . (1973), Homo Ludens,Torino, Einaudi editore,p.5-6
5) Piaget J. (1970), La psicologia del bambino, Torino, Einaudi
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