1 marzo 2020

LA VITA AI TEMPI DEL CORONA (VIRUS)

Una cronaca dal futuro


PER COMINCIARE: Il COVID-19 o “Coronavirus” sta dominando i notiziari di queste ultime settimane. Ma quali saranno le conseguenze, al di là di quelle ovvie? Come potrebbe cambiare la nostra società? Pietro Cafiero lo immagina per noi.

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Non me ne voglia Gabriel García Márquez se gli ho semi plagiato il titolo. Ma siamo tutti postmoderni, no? In realtà ormai siamo post-postmoderni, ultramoderni o surmoderni o forse ci estingueremo a breve. Anzi no, non è così. Come lo so? Ovvio! Sto scrivendo dal futuro. Sono a Milano. Nel 2030. Sono andato a controllare lo stato di attuazione del nuovo PGT, che aveva proprio il 2030 come orizzonte temporale. E sapete cosa ho trovato?

Beh, il nuovo PGT (ma qui è ormai così vecchio che non si chiama neanche più PGT) non ci ha preso neanche un po’.

E tutto, o quasi, per colpa di questo benedetto virus. COVID -19. Corona virus. Già la scelta di chiamarlo come quel paparazzo un po’ guascone doveva far presagire che non sarebbe andata bene, ma mai avrei pensato di trovarmi in una società completamente ribaltata come una tartaruga sotto il sole estivo, rivoltata come un vecchio guanto dimenticato in un cassetto e riscritta come la terza stesura di un articolo di costume.

L’origine del mutamento va fatta risalire a quel febbraio/marzo del 2020, con la decisione di chiudere tutto e di fare smart working e smart schooling. Che telelavoro suonava male e telescuola peggio. Con Fontana (l’allora governatore lombardo) che si faceva i selfie con una inutile mascherina verde. Con Sala (l’allora sindaco e oggi Presidente del Consiglio), che esortava i milanesi a rialzarsi, neanche fosse Bruce Springsteen dopo l’undici settembre (Come on up for the rising…).

E con noi milanesi che eravamo combattuti tra l’esigenza emotiva e rassicurante di tapparci in casa con sacchi di sabbia vicino alle finestre (cit.) e la nostra indole attiva e lavorativa che ci voleva fuori nelle strade a spazzare via il virus a colpi di fatture e apericene. Armati di ventiquattrore e i pacchetti di fazzoletti. Un po’ imbruttiti, un po’ congestionati. Ma mai domi. Al limite under the dome. A proposito, sapete che oggi (2 marzo 2030) inaugurano il museo di Codogno, la prima città al mondo messa sotto una cupola, visto che la gente continuava a scappare dalla zona rossa come fosse sabbia aurifera da un setaccio rotto di un cercatore d’oro nel Klondike (luogo che effettivamente ospita una colonia di rifugiati codognesi)?

Sono bastate due settimane e le persone non ne hanno più voluto sapere di tornare indietro e mano a mano tutti gli altri ambiti si sono adeguati. Un percorso irreversibile. Uno scatto deciso verso il progresso o una discesa agli inferi senza biglietto di ritorno? Verrebbe da dire ai posteri l’ardua sentenza, ma sono appunto andato a trovarli i posteri. E sono finito a fare la comparsa involontaria nella sesta stagione di Black Mirror.

Ma bando alle ciance (ho sempre voluto scriverlo!), cosa ho trovato nella Milano post virus, post atomica e post urbana? Avete presente Blade Runner, del maestro Ridley Scott? E Wall-e, il cartoon Pixar di qualche anno fa? Mischiate bene il tutto e potrete anche voi dire: “ho visto cose…”

Come dicevo, in principio galeotto fu lo smart working. Che poi non ho capito perché lo hanno chiamato smart, visto che in realtà si trattava di lavorare da casa, al limite a distanza. Quindi se proprio volevamo anglicizzarlo perché non home? Capisco che stare a casa è da furbi o forse da furbetti (in alcuni casi). Comunque qui nel 2030 sono tutti smart. Tutto è smart, così smart, che nessuno esce più di casa.

I milanesi (ma è lo stesso in tutto il mondo, pare) fanno smart working, smart shopping, smart travelling, smart medicine (ma si chiama telehealth), smart schooling (o FAD, Formazione a Distanza). E persino smart loving (ma ai miei tempi c’era già Youporn…).

Anche la mia professione è diventata smart. Lo smart architetto fa tutto al computer. Incontra i clienti in teleconferenza e manda i progetti via mail. Spedisce le pratiche con la pec al Comune, che ha sempre la casella di posta piena e fa dannare noi tecnici (in questo nulla è cambiato). Invia gli esecutivi agli smart operai che da casa loro comandano le smart cazzuole per costruire case…ovviamente smart.

Già, le smart case. Avevamo iniziato a conoscerle ai nostri tempi. Si parlava di domotica. Ma qui siamo andati oltre. Non è solo un fatto di automazione. Le case del 2030 hanno spazi completamente rivisti e riproporzionati. Ognuno deve avere la sua postazione smart. Il soggiorno non esiste più. Le famiglie (smart pure loro) si incrociano casualmente nelle smart cucine, ma non ci sono veri orari di pranzo e cena. Genitori e figli mangiano quando vogliono, cibi precotti, normalmente ordinati online e consegnati a domicilio. E poi tutti a rinchiudersi nuovamente nella propria smart camera per collegarsi in modo smart con il resto del mondo. Per un po’ hanno funzionato bene gli edifici già nati per il cohousing, ma poi la diffidenza e i timori generati dalla possibilità di essere contagiati hanno decretato il fallimento di quella tipologia di spazi di aggregazione.

Mi hanno raccontato che in un primo momento questa rivoluzione smart ha creato qualche problema a livello sociale, ma che poi c’è stato un grande momento di solidarietà in cui le giovani generazioni (i cosiddetti nativi digitali, che ora sono stati soppiantati dai nativi smart) aiutavano quelle precedenti, meno a loro agio con tutta la tecnologia dell’online, tablet, smartphone e computer. Nipoti che creavano account Facebook e Twitter ai propri nonni. Figli che aprivano in via del tutto riservata ai propri genitori profili Tinder perché questi potessero fare le loro smart scappatelle. Politici che creavano profili social per la loro propaganda…Beh in questo caso nulla di nuovo, vero?

Vi ho detto delle case e della società. Immaginate quindi quanto sono cambiate le città. Milano non ha più parchi (non ci andava più nessuno) e anche le strade sono state ridimensionate, vengono usate principalmente dai furgoncini delle consegne a domicilio (di quei pochi che ancora non utilizzano i droni) e dai mezzi di pubblica sicurezza. Non c’è più traffico perché non ci sono più macchine private, solo un unico modello in car sharing… Esatto! Avete indovinato. Ci sono solo Smart!

Il Codice Civile ha sostituito l’antiquato concetto di distanza tra edifici con il droplet, l’unica vera distanza che conta. Non c’è più la Commissione del Paesaggio, perché visto che nessuno via più in giro, poco conta come sono fatti gli edifici da fuori. Non li guarda nessuno. L’importante è avere uno spazio interno bello e impossibile, ma solo nella parte che è inquadrata dalla propria webcam. Rimangono i principali monumenti, il Duomo, la Galleria e il Castello, ma più che altro per motivi di marketing e di immagine.

Lo standard di legge non si misura più in metri quadri, ma in gigabyte al secondo. Gli oneri non sono più di urbanizzazione primaria e secondaria, ma di urbanizzazione informatica. Le città sono piene di fibra, ottica non alimentare. Il nuovo piano urbanistico, il PUS (Piano Urbanistico Smart) è redatto dalla Microsoft.

Lo smart Sindaco, anzi smart Major, è Maran, ma pare che risieda in una smart baita sopra Livigno. Dimenticavo infatti di raccontarvi che anche il concetto di residenza è stato stravolto. La localizzazione geografica non è più un criterio per la residenza. Ci sono milanesi che abitano alle Barbados o in Antartide. Non conta fisicamente dove vivi, ma solo se sai cosa è una cadrega. Se passi un semplice test di milanesità, ovviamente online, diventi automaticamente abitante di Milano. Di fatto il capoluogo lombardo ha circa 2 milioni di abitanti fisicamente presenti sul territorio, ma il dato ufficiale della popolazione è di 42 milioni di residenti. Impressionante, no?

Sapete quale è la cosa più curiosa e anche in qualche modo grottesca? Al termine del mio peregrinare, ho chiesto se finalmente erano a buon punto nella ricerca di un vaccino per il Corona virus. Tutti gli interpellati, nessuno escluso, mi hanno guardato (via schermo, ovviamente) come se fossi un alieno o un imbecille e mi hanno chiesto: “virus, quale virus?”.

Pietro Cafiero



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