20 marzo 2018

sipario – «MAHLER 10 / PETITE MORT / BOLÉRO»: IL TURBINIO DELLA PASSIONE


Teatro alla Scala di Milano, recita del 13 marzo 2018.

Mahler 10. Coreografia di Aszure Barton, assistita da Jonathan Alsberry. Musica di Gustav Mahler. Scene e luci di Burke Brown. Costumi di Susanne Stehle. Nuova produzione del Teatro alla Scala. Prima rappresentazione assoluta.
Interpreti principali: Antonino Sutera, Virna Toppi, Nicola Del Freo, Antonella Albano, Stefania Ballone, Chistian Fagetti, Federico Fresi, Chiara Fiandra.

Petite mort. Coreografia di Jiří Kylián, ripresa da Shirley Essenboom ed Elke Schepers. Musica di Wolfgang Amadeus Mozart. Scene e luci di Jiří Kylián (realizzate da Joop Caboort, supervisionate da Hans Boven). Costumi di Joke Visser. Produzione del Teatro alla Scala.
Interpreti principali: Stefania Ballone, Daniele Lucchetti, Angese Di Clemente, Andreas Lochmann, Paola Giovenzana, Gioacchino Starace, Antonella Albano, Antonino Sutera, Virna Toppi, Timofej Andrijašenko, Giulia Lunardi, Massimo Garon.
Pianoforte: Takashiro Yoshikawa.

Boléro. Coreografia di Maurice Béjart, supervisionata da Gil Roman, ripresa da Keisuke Nasuno. Musica di Maurice Ravel. Luci originali riprese da Marco Filibeck. Produzione del Teatro alla Scala.
Interprete principale: Martina Arduino. Solisti: Marco Agostino, Edoardo Caporaletti, Christian Fagetti, Nicola Del Freo.
Corpo di ballo del Teatro alla Scala diretto da Frédéric Olivieri. Orchestra del Teatro alla Scala, direttore: David Coleman.

Nell’Inferno dantesco coloro che furono preda della passione d’amore irrefrenabile sono investiti da una tempesta di vento perenne, punizione affine al carattere che hanno assunto in vita. L’idea della tempesta mi è suggerita dagli ingressi e dalle uscite di corsa e in cerchio dei danzatori sull’adagio della sinfonia n° 10 di Gustav Mahler, scelto dalla coreografa canadese Aszure Barton per la compagnia della Scala.

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Il Balletto della Scala si muove in una scena minimalista che vede una pedana circolare e un pannello semicilindrico sopraelevato dello stesso diametro, entrambi di colore tenue come gli abiti. L’effetto ottico in orizzontale portava allo sviluppo della danza su una striscia nera entro cui risaltavano i danzatori come figure di un’iconografia che mi ricordava la pittura a fasce dei vasi greci, fasce entro cui si racconta una scena (solitamente un mito). La ripetitività delle danze fa contrasto con la musica di Mahler: i movimenti d’ensemble si ripetono nell’effetto domino e nella bipartizione dei due gruppi che si intrecciano, offrendo allo spettatore un effetto ottico d’impatto. La partitura invece mostra una sonorità insolita, un andante-adagio molto espressivo con un’armonia dissonante. Ottima nella fluidità e nel controllo Stefania Ballone che apre il balletto “riempendo” da sola il palco, nonché apre diversi momenti della coreografia.

Gli abiti ampi e morbidi di colori tenui sulle tonalità del grigio ghiaccio e del celeste viaggiano fluidi con il movimento del corpo e annullano le linee del danzatore ‘classico’. La scelta di distinguere i costumi femminili (con una gonna ampia) e i costumi maschili (con un pantalone alla turca – stile Aladdin) non rispecchia, però, pienamente la realizzazione coreica. Infatti, non si riscontrano differenze di genere nella danza di Aszure Barton e per di più le gonne non offrivano una bella figura alle danzatrici, anzi la tagliavano. L’uso degli stessi costumi maschili per danzatori e danzatrici avrebbe potuto offrire lo stesso effetto; in fondo, i duetti maschio-femmina presenti non sarebbero stati inficiati nella realizzazione, in particolare i momenti intensi di Virna Toppi e Nino Sutera.

Jiří Kylián sulle note di Mozart, che creano un dialogo scherzoso a botta e risposta tra il pianoforte e l’orchestra, racconta l’abbandono alla passione nella sua intimità, attraverso una continua metafora, a partire dal titolo. In francese «petite mort», letteralmente ‘piccola morte’, è un’espressione per descrivere l’orgasmo: molte sono infatti i movimenti che a questo alludono, nei giochi di prese complesse e linee ora fratte ora estese. Belle le figure create con controllo e precisione da Antonella Albano e Nino Sutera e da Gioacchino Starace e Paola Giovenzana.

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L’amore è morte, la dicotomia di Eros e Thanatos è nota già ai Greci, ripresa fino ai giorni nostri, basti pensare allo «Jeune homme e la mort» di Roland Petit. L’altra grande metafora mostra la relazione d’amore come una guerra: infatti, di grande effetto scenico è tutta la prima parte con i sei solisti che “danzano” insieme a sei fioretti, che lo stesso coreografo non esita a considerare «veri e propri partner danzanti […] più indisciplinati e ostinati di un partner in carne ed ossa».

Sintesi della drammatugia dei primi due balletti è il Boléro di Béjart che chiude il trittico del Teatro alla Scala. Tutto il turbinio della passione e l’abbandono violento si concretizzano nel crescendo di erotismo e sensualità che si conclude sul tavolo rosso. Una danzatrice risveglia e richiama un po’ maga Circe, un po’ sirena omerica gli uomini in un vortice di passione, che ha il saproe di un rituale antropologico. Ognuno ha il suo spazio, ognuno ha il proprio tempo, ognuno è in relazione con gli altri e con la protagonista, eppure ognuno è immerso in una sua propria trance.

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Splendida Martina Arduino, neopromossa prima ballerina del Balletto della Scala, che ha presentato il suo proprio Boléro. Già pienamente sé stessa alla sua prima prova nel ruolo, impossibile da rassomigliare alle altre grandi interpreti che hanno fatto la storia di questo balletto, Sylvie Guillem, Luciana Savignano, Majja Pliseckaja. È già pienamente Martina Arduino: solo da guardare con i propri occhi. Ottimo il corpo di ballo maschile con le braccia a U come le corna del toro che insegue il drappo rosso – come il tavolo – alla corrida, in particolare Marco Agostino, Christian Fagetti e Francesco Mascia.

 

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano (Teatro alla Scala): 1. Il corpo di ballo, scene e costumi in «Mahler 10»; 2. Gioacchino Starace e Paola Giovenzana in «Petite Mort»; 3. Martina Arduino e il corpo di ballo nel «Boléro».

questa rubrica è a cura di Domenico Giuseppe Muscianisi e di Paolo Rausa
rubriche@arcipelagomilano.org



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