5 marzo 2024

PALAZZO MARINO E IL PANE

Mercati rionali, carovita e calmieri nella storia della città


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Il 14 gennaio 1860 si svolgono le prime elezioni comunali milanesi, il 1° febbraio il “consiglio comunale” si riunisce per eleggere la giunta. Il primo problema che dovrà affrontare è quello del prezzo del pane, il 1° gennaio era infatti stato abolito il prezzo calmierato, la soluzione prospettata era semplice. “Volete voi derrate a buon prezzo? Togliete ogni impedimento alla produzione e allo smercio…cessare gli impicci amministrativi e doganali…”.

Una scelta liberista confermata dal primo manifesto comunale del 3 aprile 1860 dove la giunta “fa un appello caloroso perché in un avvenire sollecito e vicino, abbiano a sorgere tra noi quegli istituti di utile pubblico che invoca la nostra città. Questi edifici devono essere: pubblici macelli…mercati coperti per le erbe…mercato pel grano, per le castagne e pei bozzoli…bagni e lavatoi pubblici…pubbliche fontane…case per gli operai (in questo ordine di priorità ndr). A compiere questi edifici è ora chiamata l’intrapresa e il capitale privato”.

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Ma già nel maggio 1861, in occasione di un nuovo rincaro del prezzo del pane, gli abitanti di Porta Ticinese diedero l’assalto alla distilleria Sessa e Fumagalli, la prima distilleria industriale italiana, accusata, per il suo alto consumo di granaglie, di essere la causa del rincaro.

La storia amministrativa e politica del municipio milanese è storia di prezzo del pane, di mercati e di commerci, di dazi e di calmieri, di igiene e di assistenza; sulle scelte compiute in questi settori si organizzerà la politica per oltre un secolo, anche se troverete decine di volumi sull’urbanistica ma pochi sui mercati e il caro vita.

Il principale obiettivo delle amministrazioni comunali milanesi fu da una parte garantire igiene e sanità negli approvvigionamenti attraverso la regolamentazione e la gestione dei mercati generali dall’altra andare incontro alla popolazione più povera, ovviamente come raggiungere gli obbiettivi era molto diverso a seconda dei gruppi e dei partiti.

Il primo mercato coperto (dei formaggi) fu in piazza Santo Stefano. Nel 1872 fu realizzata una struttura fissa decisa dal sindaco Bellinzaghi, un mercato che occupava l’isolato tra Foro Bonaparte, via Tivoli, via Mercato e via delle Erbe; tuttavia, nonostante il ruolo che gli veniva attribuito di calmieratori dei prezzi fino agli anni ‘30 in città funzionavano 4 mercati comunali mentre molti erano gli spacci cooperativi.

Più incisiva l’azione sui mercati generali: fin dal 1863 si realizzò il macello nei pressi di via Olona, con centodiciassette macellai, che aveva accanto lo “Scalo del Bestiame” (attuale Parco Solari), da dove le carni, arrivate sulla strada ferrata, venivano introdotte nel macello tramite un corridoio ricavato nelle mura stesse, ma dei mercati generali parleremo un’altra volta.

Nel 1882 toccherà al radicale Mussi denunciare come nonostante bei progetti Milano fosse in ritardo nella realizzazione sia dei mercati all’ingrosso sia di quelli rionali in risposta come innumerevoli altre volte nella sua storia il consiglio comunale vota un odg per lo studio di un progetto definitivo.

Mercato coperto comunale Monza Crespi, 1933

Mercato coperto comunale Monza Crespi, 1933

È nel 1886 la prima rivolta popolare organizzata in città contro l’aumento del prezzo del pane, conclusasi con una vittoria dei manifestanti e Palazzo Marino che ritirava i provvedimenti; quello stesso anno viene fondata l’Unione Cooperativa dal cattolico moderato Luigi Buffoli che aveva tra i soci principalmente impiegati e dipendenti pubblici: “La cooperazione è un terreno neutro … ogni società che vi aderisce riconosce che la cooperazione non deve servire di strumento ad alcun partito”, che diverrà un colosso con oltre 30 filiali in città.

Proprio Mussi diverrà sindaco come reazione alla rivolta sempre originata dall’aumento dei prezzi, del 1898 quando Bava Beccaris sparò sulla folla (un centinaio i morti), proclamò lo stato d’assedio come richiesto del sindaco Vigoni: “Situazione gravissima sono in pericolo le proprietà e la vita dei cittadini invoco solleciti efficaci provvedimenti”, sciolse 430 associazioni e mandò a processo 830 cittadini di cui 688 condannati tra questi il deputato repubblicano De Andreis e il socialista Turati a 12 anni.

sciopero a Milano

sciopero a Milano

Con l’arrivo dei socialisti a Palazzo Marino l’obiettivo principale della giunta diventa la lotta al caro vita, scrive Caldara nel suo rendiconto di fine mandato: “Giova notare che indipendentemente dall’azione eccezionale che in questo campo hanno dovuto spiegare Stato ed Enti locali a causa della guerra europea la nostra Amministrazione aveva un preciso programma così formulato: …Intervento vigoroso del comune nel problema delle abitazioni e dei consumi popolari, sia direttamente, sia a mezzo di potenti organismi di carattere pubblico ispirati alle direttive comunali… Senonché, era appena avviata la costituzione degli organi per la politica annonaria del comune e cominciavano a concentrarsi i primi parziali provvedimenti, quando scoppiava improvvisa la conflagrazione europea, gettando il mercato dei generi di consumo popolare in un caos apparente per i profani, ma in cui male si dissimulavano i fili del movimento di domanda e di offerta manovrati dalla speculazione più esosa.

Il panico dei consumatori, in parte spontaneo e in parte provocato, aggravava la situazione. In quel frangente il Comune iniziava simultaneamente tutti gli ordini di rimedi che scienza ed esperienza suggeriscono … istituiva e metteva in vigore il calmiere per molti generi annonari di prima necessità e il 13 agosto deliberava d’urgenza l’acquisto di grosse partite di grano per l’importo complessivo di L. 800.000, che costituì il primo atto di una gigantesca gestione granaria, cui presto si aggiunsero acquisti di riso, patate, lardo, candele, legumi, ecc., più tardi l’importazione diretta del carbone e da ultimo quella delle carni congelate e gli accordi col Comitato nazionale del lavoro per la fornitura continuativa di pesce fresco”. In pratica mezza città mangiava grazie al comune.

l'interno del mercato di viale Monza, negli anni 50

l’interno del mercato di viale Monza, negli anni 50

Non si trattava solo di un piano d’emergenza ma delle basi di un radicale intervento per la giunta riformista che nel 1916 darà vita all’azienda consortile dei comuni. Dice l’assessore Giani: “Se si vuole procurare radicali, larghi vantaggi al consumatore, occorre che gli acquisti vengano fatti direttamente presso i produttori, che i trasporti vengano compiuti con mezzi propri senza il tramite di alcun intermediario, che possibilmente si provveda alla produzione creando fabbriche, assumendo la gestione dei terreni in modo da spingere gli esercenti alla loro organizzazione e alla eventuale creazione di forti imprese di rifornimento in concorrenza o a rinunciare al loro ufficio”, di sicuro per Caldara e soci piccolo non è bello.

Nell’estate del 1919 viene smantellato dal governo il sistema annonario creato durante la guerra provocando un aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Tumulti e assalti a magazzini e negozi si susseguono in varie regioni, Nitti presidente del Consiglio dichiara che “l’ora è grave, forse la più grave della storia d’Italia” (questo a pochi mesi da Caporetto).

Alcuni negozianti chiudono bottega e consegnano direttamente le chiavi alla sede sindacale, altri affiggono sulla saracinesca abbassata il cartello “a disposizione della Camera del lavoro”, sperando così di evitare vandalismi.

In viale Monza e corso Buenos Aires furono saccheggiati non solo i negozi di alimentari ma anche gli altri; i cronisti raccontano del calzaturificio cui furono asportati oltre la merce gli arredi e financo le vetrine. Tutte le sedi dell’Unione Cooperativa (che collaborava strettamente con il comune) furono saccheggiate ed anche vandalizzate.

Il mercato in via Calatafimi in costruzione, 1930-circa

Il mercato in via Calatafimi in costruzione, 1930-circa

1200 gli arrestati, un centinaio i ricoverati negli ospedali ma ricorda il Corsera: “Fatto curioso è che mentre si svolgevano quei dolorosi fatti la città conservava la sua fisionomia, coi tram, le vetture, le automobili, la folla domenicale che circolava, i teatri e i locali pubblici aperti e frequentatissimi”.

Anche in questo caso i pieni poteri furono assunti dal sindaco Caldara, questo si legge tra l’altro nel decreto: “1) Tutti i generi di prima necessità devono essere posti in vendita col ribasso in via di massima del 50% sui prezzi praticati fino ad oggi; 2) Gli esercenti che non intendessero continuare i loro esercizi sotto l’impero di tale disposizione possono entro le ore 12 dichiarare di cedere detti esercizi al comune che li rileverà a prezzo di perizia; 3) Vivande negli alberghi e ristoranti sono soggetti alla riduzione del 40%”; ed il prefetto aggiungeva: “Il comune fissa il calmiere e a mezzo dei propri dipendenti e degli agenti della forza pubblica  deve curare che i prezzi siano osservati” denunciando i contravventori, sequestrando la merce e chiudendo i negozi e ancora “il comune per accertarsi che tutti i negozianti si attengano alle disposizioni si avvarrà di squadre rionali di vigilanza composte da cittadini probi e pratici e da esso nominate…”, siamo quasi ai vigilantes.

Ricorda un testimone, Umberto Ricci uno dei tre Accademici dei Lincei a rassegnare le dimissioni nel 1933 dall’Accademia stessa, pur di non giurare fedeltà al regime fascista: “Finiti i saccheggi, rimasti tuttavia i calmieri, i cooperatori di Milano e provincia si riuniscono a convegno. Ed osservano con malinconia che l’ira cieca della folla non ha risparmiato le cooperative, nonostante la loro opera in difesa dei consumatori.

Il mercato in via Calatafimi in costruzione, 1930-circa

Il mercato in via Calatafimi in costruzione, 1930-circa

Chiedono pertanto che il governo le risarcisca, con la medesima indennità stabilita per le provincie di Udine e Belluno. (Chissà che cosa avrà pensato l’on. Nitti nell’apprendere che le squadre di guastatori paternamente invigilate dalla sua polizia venivano equiparate alle colonne di un esercito nemico). Domandano ancora, i cooperatori, che le successive perdite cagionate dai decreti di ribasso vengano compensate dalle autorità locali”.

Ricci nelle lezioni tenute in Bocconi era stato ferocemente critico contro i calmieri: “Giacché, non appena una burocrazia, con l’intento di salvare il popolo dall’indigenza e dall’ineguaglianza, si metta a produrre e distribuire beni economici, o a regolamentare l’attività economica degli uomini, essa è cagione di impoverimento collettivo. I più intelligenti fautori del socialismo annonario non ne ignorano i deleteri effetti economici; lo giustificano tuttavia con ragioni politiche. Se il popolo a gran voce reclama requisizioni, tesseramenti e calmieri, l’autorità fissi razioni e prezzi, perché, attraverso una consaputa distruzione di ricchezze, i governanti comprano la pace sociale …E l’autorità tenta di farlo, trascinata dal malcontento generale, e impone il calmiere. Oramai anche le domestiche diffidano del calmiere. Sanno che il suo primo effetto è di rendere introvabile o più difficilmente trovabile la merce. C’è voluto qualche anno di guerra perché il pubblico imparasse a sue spese un’antica ed elementare verità economica, cioè che il calmiere aggrava il male, invece di guarirlo”.

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Nell’aprile del 1921 Palazzo Marino sarà invaso dai fornai preoccupati che la giunta fissasse un prezzo del pane troppo basso e non remunerativo, scrive il Corsera: “L’invasione produsse un primo momento di allarme, si credette ad una invasione dei fascisti ed accorsero guardie regie e pompieri con varie autopompe. Ma visto di cosa si trattava si allontanarono…rimasero solo alcune decine di vigili urbani”, stesso comportamento che ebbero quando furono effettivamente i fascisti un anno dopo ad occupare Palazzo Marino e il comune fu sciolto.

La prima giunta a partecipazione fascista farà fronte ai problemi del carovita con schemi non dissimili da quelli socialisti. Il 15 dicembre 1924 titola il Corsera “la Giunta decide di municipalizzare la raccolta e la distribuzione del latte” scelta inattesa al pubblico dice il cronista che toccherà all’assessore Federico Jarach un liberale, mettere in pratica. Nel 1926 il commissario prefettizio Belloni che sarà poi podestà si rifiuto di emettere un calmiere dei beni di prima necessità anche se dovette ammettere che i tentativi di trovare meccanismi di riduzione dei prezzi attraverso la concorrenza erano falliti “per la solidarietà che lega la classe degli esercenti”, la soluzione trovata fu quella di avviare “studi allo scopo di preparare provvedimenti concreti”.

Coop soc_milaneseSaranno i podestà a sviluppare i mercati coperti rionali; il 22 novembre 1930 il podestà, annuncia la decisione di costruire cinque nuovi mercati coperti rionali (ma sarà demolito quello di piazza Santo Stefano) “strumenti poderosi ed efficaci di riduzione dei prezzi”.

Lo sviluppo dei mercati coperti e non, va di pari passo con l’intenzione di razionalizzare tutto il quadro milanese “dove le organizzazioni di vendita sono malate, artificiose, antieconomiche, vi è un’esagerata quantità di botteghe dello stesso genere per cui si può citare a Milano l’esempio di una strada lunga ottocento metri e provvista di ben otto negozi di verdura senza contare i carretti ambulanti”. Il 21 dicembre 1930 fu inaugurato quello di piazzale Lagosta cui seguiranno viale Umbria, viale Zara, via dei Mille etc.  https://blog.urbanfile.org/

La commistione tra politica e mercati fu evidentissima fin dall’inizio perché non si poteva avere una concessione senza un padrinaggio politico e si doveva pagare una sorta di tangente ai fascisti assumendo collaboratori che non svolgevano alcun compito ma erano “militanti” di uno dei molti gruppi in guerra tra loro del fascismo milanese; tra questi “consulenti” anche Albino Volpi uno degli assassini di Matteotti.

Con gli anni i costi aggiuntivi di questa “protezione” divennero insostenibili e costrinsero ad un intervento di pulizia gli stessi fascisti che tuttavia ancora nel 1939 soccombettero alle richieste di alcuni squadristi, (la storia è descritta sul bollettino ufficiale del comune del 1947).

Con la guerra i mercati coperti divennero “semplici organi distributori capillari del razionamento nazionale” e di lì a poco con i bombardamenti furono tutti pressoché distrutti ad eccezione di quello in vle Monza.

Saranno quindi i sindaci socialdemocratici e socialisti a rivitalizzare i mercati coperti.

Il primo ad essere ricostruito a spese dei posteggianti fu quello in viale Abruzzi, nel 1948 erano operativi 11 mercati “a compenso delle spese che i posteggianti han sostenuto per la ricostruzione e sostengono per la gestione dei servizi generali non di carattere pubblico il comune concesse gratuitamente per un certo numero di anni l’area occupata dalle costruzioni. La novità principale è che l’azione calmieratrice e di concorrenza che i mercati rionali svolgono non è più dovuta a privilegi gravanti sul bilancio comunale: essa è la conseguenza del fatto che nei mercati rionali coperti sono possibili forti vendite che consentono minori margini unitari a favore dei venditori, minori margini che il comune con la sua azione disciplinatrice e di controllo rende obbligatori nell’interesse del consumatore”.

immagine_tribuna_illustrata_6_20_luglio_1919_caroviveriNel 1947 il Comune racconta la storia dei mercati coperti: “Il comune non ha mai pensato di rifornire attraverso ai mercati rionali tutta la popolazione, ma ha contato sul fatto che l’esistenza di spacci pubblici nei quali ognuno può fare acquisti a prezzi modici risulta vantaggiosa non solo per coloro che vi si riforniscono ma anche per l’intera cittadinanza perché per stare in concorrenza i negozi sono costretti ad abbassare i propri prezzi a livello quasi pari a quello praticato sui mercati”.

Nel 1959 il sindaco Ferrari licenziando il volume un rendiconto di 9 anni di amministrazione democratica, scrive: “I mercati comunali coperti assolvono innegabilmente ad una funzione di particolare importanza per quanto riguarda la necessità di un’azione calmieratrice dei generi alimentari…”, i mercati coperti in attività erano allora 24 (Gorla, Monza, Abruzzi, Mille, Fusina, Montegani, Ticinese, Coni Zugna, Washington, Brunelleschi, Lorenteggio, Tirana, Baggio, Wagner, Gramsci, Zara, Dergano, Bovisa, Prealpi, Musocco, Vialba, Selinunte) frequentati dalla metà circa, secondo l’ufficio statistiche del comune, delle famiglie milanesi. Altri 7 mercati erano in costruzione e progettazione.

Palazzo Marino sottolineava anche : “Il mercato comunale, non è più considerato luogo di sfogo di generi che, seppur commestibili, si ritenevano di qualità inferiore a quelli venduti nei negozi, ma è l’emporio che da maggiore garanzia al consumatore, sia per la qualità delle merci sia per la moderazione dei prezzi…inoltre determinati generi alimentari di più largo consumo popolare sono fissati dal comune i prezzi massimi di vendita”,  e proseguiva, ma come sempre nei rendiconti dei sindaci milanesi c’è un po’ di bauscismo, scrivendo:  “Altri stati europei progettano di realizzare la costruzione di mercati comunali coperti come stanno a dimostrare, le continue richieste di delucidazioni che riceviamo”.

Proprio in quegli anni fu presentato il progetto di un emporio “all’americana”, con parcheggio per i clienti, scaffali forniti di migliaia di articoli, tutti preconfezionati e prepesati.

Piazza Wagner, mercati comunali

Piazza Wagner, mercati comunali

La commissione comunale competente si espresse contro la concessione della licenza così come Giunta anche perché l’Unione Commercianti aveva minacciato vendette elettorali ma il sindaco Ferrari, che fece riferimento, anche alle iniziative annonarie del cugino Caldara, impose una decisione favorevole. L’Unione Commercianti “per reazione, mise in discussione la competenza del Comune in materia di supermercati e un centinaio di commercianti fecero ricorso alla giunta provinciale amministrativa per le licenze concesse da Palazzo Marino…Per giungere a una risoluzione della controversia, il sindaco fece svolgere al Servizio lavoro e statistica del Municipio un’indagine finalizzata a stabilire quanto i supermercati costituissero effettivamente un vantaggio per i consumatori, in particolare in termini di prezzi, rispetto ai tradizionali negozi. Dall’inchiesta emerse che i supermercati offrivano prezzi inferiori, a volte anche in misura consistente, e che davano maggiori garanzie in termini di peso, caratteristiche originarie e igiene dei prodotti; il sindaco, consentì l’apertura di altri due empori”.

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L’idea che il comune dovesse favorire il calmieramento dei prezzi regolando i punti vendita era passata pari pari attraverso il nuovo regno d’italia, il giolittismo, il municipalismo socialista, il regime fascista, la repubblica e si confermava  il 27 novembre del 1957, quando  aprì a Milano, in Viale Regina Giovanna, il primo supermercato che apparteneva alla Supermarkets Italiani S.p.a. di proprietà  per il 51% dei  Rockefeller, e per il resto di diversi  industriali: Bernardo e Guido Caprotti,  Marco Brunelli e altri. Proprio l’arrivo dei supermercati all’americana avvierà il lento declino dei mercati rionali comunali.

Di calmiere si riparlerà ancora nel 1976 quando l’ente di consumo comunale svolgerà anche la funzione di grossista per i negozi che volevano partecipare.

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Oggi di calmiere non parla più nessuno, ma il fascino dei mercati rionali rimane intatto, con delibera Comunale del 29/12/2017 sono state approvate le Linee indirizzo per il miglioramento dei Mercati Comunali Coperti. Stante il calo di interesse della collettività verso tali realtà, il progressivo degrado delle strutture mercatali e la contrazione delle risorse economiche pubbliche da dedicare agli interventi manutentivi, l’Amministrazione intende promuovere la “trasformazione evolutiva” del concetto di mercato, facendo sì che i Mercati Comunali Coperti (MCC) possano diventare punto di scambio non solo di merci, ma anche di idee e di relazioni, attraverso forme di ibridazione tra attività commerciali classiche – comunque prevalenti – e attività con finalità sociali, culturali, aggregative e ricreative, anche di tipo occasionale o temporaneo, che possano favorire, inoltre, lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile e dell’occupazione.

Non è più tempo di rivolte per il pane, non è più tempo di calmieri, non è più tempo di socialismo annonario. Forse.

Walter Marossi



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