23 gennaio 2024

UN ASSASSINO A PALAZZO MARINO

Il delitto Matteotti un delitto “milanese”


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Sugli scranni di Palazzo Marino si sono seduti autorevoli protagonisti della vita politica e culturale nazionale: diversi presidenti del consiglio, un premio Nobel, un beato, grandi industriali, un duce, rettori universitari, scrittori di fama, luminari della scienza, leader politici e sindacali di levatura nazionale, una caterva di ministri e parlamentari etc. , ma anche un assassino per la precisione l’organizzatore di un assassinio: quello di Giacomo Matteotti, perché l’omicidio Matteotti fu un delitto “milanese” .

422ad1190381e6db1631d7aaed035dCesare Rossi nato a Pistoia nel 1887 era un dirigente della gioventù socialista di cui divenne segretario nazionale. Nel 1911 è sindacalista dell’USI a Milano, interventista legato a De Ambris nel dopoguerra è un collaboratore del Popolo D’Italia e nel 1919 è in piazza San Sepolcro tra i fondatori dei Fasci di combattimento.

Nel 1920 è vicesegretario nazionale dei Fasci. In quella veste firma il patto di pacificazione con i socialisti il 2 agosto a Roma, con la supervisione del Presidente della Camera De Nicola, con Rossi i firmatari sono a nome del Consiglio Nazionale dei Fasci e del Gruppo parlamentare, Benito Mussolini, Cesare Maria De Vecchi, Giovanni Giurati, Umberto Pasella, Gaetano Polverelli, e Nicola Sansanelli; per la direzione del Partito socialista italiano Giovanni Bacci, ed Emilio Zannerini, per il Gruppo parlamentare socialista Elia Musatti, e Oddino Morgari; per la Confederazione generale del lavoro (CGL) Gino Baldesi, Alessandro Galli ed Ernesto Caporali. 

La conclusione del patto provocava una dura reazione dei gerarchi fascisti che dopo aver attaccato esplicitamente Mussolini (chi ha tradito, tradirà, si leggeva sui manifesti) gli imposero di disdettarlo (formalmente il 7 novembre) e questo provoca un momentaneo accantonamento del Rossi.

1402078912173_603459_479117868773952_226330260_nCon la marcia su Roma e la conquista del potere da parte di Mussolini, il recupero di Rossi fu tuttavia completo: il duce lo mise a capo del suo ufficio stampa, con il ruolo che oggi definiamo di spin doctor, ha scritto Montanelli: “L’unico con cui Mussolini si apriva seguitava ad essere Cesare Rossi, l’uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri.”

Mussolini gli affidò fu la costituzione della ‘Ceka fascista’, una struttura illegale e violenta, che agiva (nel senso bastonava) gli oppositori più pericolosi, insomma il lavoro sporco. 

Responsabili esecutivi furono Amerigo Dumini, e l’ardito milanese Albino Volpi; la Ceka si rese protagonista, tra l’altro, di pestaggi ai danni del repubblicano Ulderico Mazzolani, dei dissidenti fascisti Cesare Forni, Guido Giroldi e Alfredo Misuri, della devastazione dell’abitazione di Francesco Saverio Nitti.

Per effettuare il rapimento di Matteotti, Volpi (fondatore della Federazione nazionale degli Arditi d’Italia, del Fascio milanese e del gruppo Arditi di guerra fascisti) coinvolge nel gruppo gli arditi milanesi, principalmente malavitosi di basso profilo che conducono l’operazione con tale maldestria che vengono tutti arrestati, nonostante vari tentativi di depistaggio.

Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, che ammettono di aver partecipato, vengono rinviati a giudizio sotto l’accusa di sequestro di persona e omicidio volontario.

I cinque negano di aver voluto la morte del deputato. Secondo la loro fantasiosa versione, Matteotti è deceduto a causa di uno sbocco di emottisi a seguito delle percosse o per aver battuto la testa sul marciapiedi durante la colluttazione e il sequestro non è stato premeditato ma il gruppo, in giro per Roma, ha incontrato casualmente (e qui si scivola nel ridicolo), il deputato socialista e ha deciso di bastonarlo.

Gli altri del gruppo Filippo Panzeri, Aldo Putato e Otto Thierschald (una curiosa figura di spia internazionale dai risvolti romanzeschi che più volte contattò Matteotti a Roma), vengono prosciolti, mentre furono imputati per concorso nel delitto quali mandanti Rossi, Marinelli e Filippelli (cosentino emigrato a Milano, segretario di Arnaldo Mussolini poi editore poi imprenditore ma principalmente faccendiere), molti altri pur coinvolti come Enrico Finzi restarono fuori dai processi.

Fu lo stesso Mussolini a suggerire ai giudici con un articolo su “Gerarchia”, la tesi dell’omicidio involontario “Il carattere involontario del delitto…è storicamente e giuridicamente provato. Si trattava di una beffa che all’infuori e contro la volontà dei suoi autori doveva degenerare in orribile tragedia”.

Becco-Giallo

Al processo farsa, il collegio di difesa degli imputati venne guidato da Roberto Farinacci segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista interessato principalmente a Dumini, svoltosi a Chieti, Dumini, Volpi e Poveromo vengono condannati per omicidio preterintenzionale alla pena di anni 5 e mesi 11, nonché all’interdizione perpetua dai pubblici uffici ma prevedendo l’amnistia del 31 luglio 1925 ( la cosiddetta amnistia Dumini, con la quale, in virtù del 25° anniversario dell’incoronazione del sodale Vittorio Emanuele III, venivano posti in libertà tutti gli autori di violenze di natura politica) il condono di quattro anni, avendone essi già scontato un anno e nove mesi tornano liberi appena dopo qualche settimana.

Viola e Malacria vengono assolti per non aver commesso il fatto.

Cesare Rossi e Giovanni Marinelli vengono riconosciuti colpevoli solo di aver dato l’ordine di sequestro di Matteotti ma non quello di ucciderlo. Filippo Filippelli è riconosciuto invece colpevole per aver cooperato al sequestro. Siccome questi reati sono previsti dall’amnistia promulgata il 31 luglio 1925 tornano subito in libertà. 

Dopo il processo è tutto un fiorire di memoriali, testamenti, interviste, complotti, rivelazioni che dicono e non dicono, ma sicuramente ricattano il duce che effettivamente in un modo o nell’altro garantirà tranquillità economica a tutto il gruppo ad eccezione di Rossi.

Marinelli viene infatti reintegrato nella sua funzione di Segretario amministrativo del PNF; diviene membro del Gran Consiglio e sarà fucilato a Verona l’11 gennaio del 1944. 

Giuseppe Viola tornò a Milano dove divenne affermato costruttore, la polizia riferisce che “a motivo del fatto Matteotti è protettissimo e ha già messo a tacere diverse losche faccende” di lui si perderanno le tracce alla fine della guerra. 

71kpx5bfN1L._SL1500_Amleto Poveromo torna a fare il macellaio in porta Venezia frequentando osterie e lupanari dove si vanta dell’assassinio; dopo la conquista dell’Abissinia “spintaneamente” si trasferisce in Eritrea, dove diventa un ricco imprenditore di trasporti, condannato nel secondo processo muore in carcere a Parma nel 1952.

Filippo Panzeri emigrerà in Francia, dopo aver cercato come i suoi sodali di trarre profitto da rivelazioni e maneggi, rientrato a Milano farà l’edicolante.

Albino Volpi si occuperà con successo di foraggio e stalle in quel di Porta Vittoria di fatto creando un racket al verziere che aveva come punto di forza il “recupero crediti” fatto a suon di sberle, muore nel 1939 omaggiato da una corona di fiori del duce.

Aldo Putato, il giovane basista, sarà un agente Agip, nel 1934 un’informativa di polizia lo descrive come sfoggiante un tenore di vita lussuoso.

Augusto Malaria l’autista del sequestro, è milanese, giovane di distinta famiglia, come scrive Walter Galbusera, “Un volto diverso dalle facce patibolare degli altri sicari” secondo il magistrato Mauro Del Giudice, dopo un’accusa di bancarotta fraudolenta e di appropriazione indebita andrà in Cirenaica come ufficiale e li morirà nel 1934. https://www.startmag.it/mondo/delitto-matteotti-milano/

Amerigo Dumini, scrive un memoriale di denuncia e lo invia ad uno studio di avvocati amici, negli Stati Uniti: è la sua assicurazione sulla vita. Tenta anche di espatriare, torna diverse volte in carcere e al confino. Trasferitosi in Cirenaica Mussolini gli concede concessioni, terreni, sussidi che gli consentono una vita di grande agiatezza. Durante la Seconda Guerra Mondiale è “protagonista di una ambigua storia di spionaggio e controspionaggio per la quale sembra finisca dinanzi ad un plotone di esecuzione inglese, non si sa come però, riesce a salvarsi”.

Emilio Lussu ne fa un ritratto efficace: “La squadra fascista che aveva compiuto l’impresa era comandata da Amerigo Dumini. Io lo conoscevo di fama …si era battuto in duello con il giornalista Giannini, socialista, che egli aveva fatto aggredire in un teatro di Roma. Giannini era uno schermidore abilissimo, e Dumini durante lo scontro, preso dal panico, era fuggito. Negli ambienti fascisti passava per intrepido. Era molto celebre e, fra gli assassini politici, teneva il primato assoluto. Amava presentarsi dicendo: “Dumini, nove omicidi!” La sua azione più brillante l’aveva compiuta in pubblico, a Carrara. A causa di un garofano rosso, egli aveva schiaffeggiato una ragazza. La madre e il fratello, presenti, avevano fatto delle rimostranze. Egli aveva risposto freddando entrambi a colpi di pistola. Ora viveva a Roma, al servizio dell’Ufficio Stampa del presidente del Consiglio. Per quanto sapesse appena leggere e scrivere, era considerato una buona penna. Aveva stipendio lauto e regolare e viaggiava in prima classe, attorniato da segretari particolari, fissi ed avventizi.”

L’ex capo della Polizia, il senatore Emilio De Bono, denunciato il 6 dicembre 1924 dal direttore del “Popolo” Giuseppe Donati, viene processato dallo stesso Senato riunitosi in Alta Corte di Giustizia ed il 12 giugno 1925 assolto. Nominato governatore della Tripolitania, nel 1929 diventa ministro, è poi nominato maresciallo d’Italia. Nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 vota contro Mussolini: per questo arrestato e fucilato l’11 gennaio 1944.

Il Sottosegretario agli Interni Aldo Finzi dopo essersi dimesso espatria in Francia dopo aver anch’egli scritto memoriali e carteggi ambiguamente rivelatori torna in Italia negli anni 30 come agiato imprenditore agricolo.  Arrestato dai tedeschi viene ucciso il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine.

targaUn nuovo processo vi fu nel dopoguerra e la Corte di Assiste di Roma, con la sentenza del 4 aprile 1947, condannò Dumini, Viola e Poveromo alla pena dell’ergastolo, commutata nella reclusione per trent’anni, e dichiarò non doversi procedere nei confronti di Rossi, Giunta e Panzeri, Filippelli per i reati loro ascritti, per estinzione di questi a seguito all’amnistia disposta dal Dpr 22.6.1946 n.4. 

Dumini ottiene la grazia e viene definitivamente liberato il 23 marzo 1956.

L’unico degli assassini, dei mandanti e complici che trascorse un lungo periodo in galera, più di dieci anni, fu proprio Cesare Rossi ma per antifascismo! 

Espatriato nel febbraio del 1926 in Francia diventa oppositore del regime e il principale testimone accusatore di Mussolini come mandante del delitto, il Mondo pubblica un suo memoriale il 28 dicembre 1924.

 Nel 1928 va convinto con la promessa di aiuti finanziari ad un incontro in quel di Campione d’Italia con il complice Filippo Filippelli che ormai lavora per il capo della polizia Bocchini, e viene arrestato. Rossi si era fidato di Filippelli perché da anni trafficavano insieme soprattutto nella ricerca di danari anche per la creazione del fantomatico quotidiano corriere italiano dove aveva come socio un altro indagato Finzi.

IL tribunale speciale lo condanna 30 anni di carcere per la sua attività contro il Regime e vive tra prigione e confino a Ponza, ottenendo la libertà condizionale nel 1942. 

Rossi era stato eletto in consiglio comunale a Milano con 87046 preferenze terz’ultimo della lista bloccarda che aveva vinto le amministrative del 1922 e ottenuto 64 seggi. La minoranza era costituita dai 16 socialisti matteottiani tra cui Turati, Gonzales Caldara, Levi, Mondolfo, D’Aragona che ebbe come trombato illustre l’ex sindaco Filippetti arrivato ultimo per preferenze, non rappresentati in consiglio massimalisti e comunisti.

La sua presenza in consiglio di Rossi è insignificante ma non quella politica.

Nel febbraio del ‘24  Mussolini indirizza una lettera pubblica a Rossi ringraziandolo della rinuncia alla candidatura al parlamento: “tu hai dimostrato in questi anni tempestosi di avere attitudini necessarie per la visione storica dei fatti che trascendono le persone e gli egoismi loro …amo ripeterti che il tuo gesto di rinuncia t’innalza nella mia estimazione personale e credi fermamente in quella di tutto il fascismo italiano…il partito non deve tutto parlamentarizzarsi… per evitare che il fascismo attenui la sua anima guerriera”. 

Rossi rispose: “Penso – pur non essendo stato mai un anti-elezionista fin dai primordi sindacalisti, e ciò per criterio di opportunità tattica – che al fascismo occorra, per gli sviluppi dell’azione fascista, una riserva extra parlamentare composta di uomini provati e noti nel Partito”

Senza-titolo-1L’animosità dei fascisti milanesi nei confronti di Matteotti si spiega anche con il risultato elettorale in quelle elezioni: nelle 328 sezioni cittadine i socialisti di Matteotti presero 45579 voti contro i 61891 della lista nazionale ,se si considera che i massimalisti presero 21785 voti e i comunisti 7069 si capisce che il PSU presente in comune, in provincia e in parlamento con una forza significativa fosse il loro primo problema. In Lombardia il PSU prese il 12,17%, contro il 5,90 nazionale.

Come spin doctor elettorale Rossi è piuttosto brutale: minaccia Albertini,  il Popolo cita questa frase “con questa gente la parola non può che essere alla rivoltella” e progetta per il giorno dopo le elezioni un assalto al Corriere simile a quello che avevano fatto all’Avanti con il contemporaneo sequestro di Albertini, Treves e Turati (ma su quest’ultimo con qualche dubbio); dovevano essere assaltati anche la Giustizia, L’Avanti e l’unità ma in questo caso solo le redazioni e i redattori perché le tipografie erano di industriali amici. In effetti alcuni camion della distribuzione del Corriere furono dati alle fiamme nei giorni precedenti il presunto preventivato assalto.

A bloccare l’assalto, dice lo stesso Corriere fu Mussolini preoccupato dell’estremismo dei fasci milanesi. 

Ma la sua avventura politica è agli sgoccioli, Il nome di Rossi compare nelle indagini fin dai giorni successivi al sequestro di Matteotti.

Il 21 giugno 1924 il Corriere pubblica un articolo le idee e l’attività occulta di Cesare Rossi che svela tutte le manovre che il nostro aveva messo in atto per controllare la stampa e assumere forse il controllo del fascismo milanese e si domanda se lo schema del preventivato sequestro di Albertini non fosse stato poi attuato su Matteotti.

Sempre nel giugno del 1924 quando alcuni testimoni lo indicano ora in quel di Londra, ora a Livorno, ora in fuga attraverso il San Bernardo o i valichi per la Svizzera (non pochi omonimi passarono i loro guai) ormai additato come traditore e profittatore viene dimesso d’ufficio dal raggruppamento fascista Amatore Sciesa, e gli viene revocato il titolo di caporale d’onore della milizia.

Farinacci nelle settimane successive descriverà il Rossi come al soldo dei nemici di Mussolini, in combutta con i fuoriusciti parigini e la massoneria, ricordandone l’amicizia con De Ambris e soprattutto Zaniboni; addirittura, Farinacci dichiarò che il Rossi “si mosse contro il Matteotti per abbattere l’onorevole Mussolini e subentrargli come presidente del Consiglio!”. 

Questa sarà la tesi anche di quel cialtrone del sindaco di Milano Mangiagalli: “quella lama che ha colpito Matteotti ha colpito ancor più profondamente l’anima e il cuore di Mussolini, l’uccisione di Matteotti deve essere scontata dai colpevoli non dal paese e dalla nostra città.” 

cesare-rossi-1Il 23 giugno Rossi si costituisce a Regina Coeli da dove il 9 luglio manda le dimissioni dal consiglio comunale accolte all’unanimità e senza discussione; in città, peraltro, la violenza non diminuisce il 27 viene ammazzato in via Canonica da un gruppo di fascisti (tutti assolti tranne uno condannato a 4 anni, perché non volevano uccidere ma solo bastonare, in pratica gli spaccarono il cranio) il tramviere socialista Attilio Oldani ai suoi funerali cariche della polizia e 42 arresti.

La vicenda Matteotti segna anche la fine della democrazia in quel di Palazzo Marino: il 7 luglio i socialisti non si presentano in aula e con una lunga lettera comunicano che: “sentono indeclinabile il dovere di associarsi alla secessione dichiarata dei partiti di opposizione in parlamento”, è l’Aventino milanese, non rientreranno più in consiglio che verrà commissariato nell’agosto del 1926.

Anche il partito popolare decide che la collaborazione con i fascisti non è più possibile e che occorre uscire dalla maggioranza che sostiene Mangiagalli, ma gli eletti prima tergiversarono poi restarono in maggioranza con l’eccezione di Luigi Gallinoni, saranno espulsi. Solidali con l’amministrazione il radicale Mario d’amico “non diserto il campo” così come i liberali che con Raneletti magistrato, avevano già dichiarato: “noi siamo i nuovi liberali… noi stiamo con il fascismo”.

Che fine fece Rossi?

Arrestato più volte nel 1943, fu condannato a 4 anni per il suo coinvolgimento nell’organizzazione della marcia su Roma graziato fu nuovamente processato per il delitto Matteotti e assolto il 4 aprile 1947 per insufficienza di prove al processo si narra dicesse al giudice: “si ricordi che quando lei indossava la camicia nera sotto l’ermellino, io ero in carcere come antifascista”.

Tornò a fare il giornalista collaborando a diverse testate: il Globo, Il Tirreno, il Giornale della sera, Il Tempo, il Momento, il Corriere di Napoli, La Gazzetta del Mezzogiorno, Epoca, Concretezza, organo della corrente andreottiana della Democrazia cristiana (DC) e scrisse diversi libri: Mussolini com’era, 1947; Trentatré vicende mussoliniane,  romanzo-saggio di ucronia dove risponde a domande del tipo se Mussolini non avesse fatto la guerra, se Mussolini aveste resistito al Re, 1958; Il delitto Matteotti nei procedimenti giudiziari e nelle polemiche giornalistiche, 1965, senza mai nulla aggiungere di significativo al dibattito che da cent’anni cerca di identificare moventi e mandanti.

Morì a Roma il 9 agosto 1967, nel più totale disinteresse della stampa e della politica.

Walter Marossi

 



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