20 febbraio 2024

LA FOLLA DELINQUENTE

Storia di un presunto plagio e di un’intestazione imbarazzata



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Normalmente le strade di Milano sono intitolate a un personaggio di cui sulla targa si declina nome, data di nascita/morte e professione. Non sempre però, qualche volta per tradizione, per imbarazzo, per dimenticanza mancano alcuni degli elementi soliti.

È il caso di via Sighele che ha come specifica “famiglia di patrioti”, forse perché il membro più illustre della famiglia e presumibilmente quello titolato ad avere intestata una strada fu uno dei leader del nazionalismo italiano e autore di un saggio Contro il parlamentarismo che già dal titolo (in realtà fuorviante, la critica di Sighele alla Camera, al parlamentarismo non va nella direzione di proporre la dittatura come rimedio) è tutto un programma.

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Nato a Brescia il 2 giugno 1868, di origini trentine, studia a Milano, il padre magistrato morirà essendo procuratore generale a Milano, mentre il nonno era stato pretore a Milano sotto gli austriaci e poi presidente onorario della Corte di Cassazione.

Sighele è un intellettuale difficile da definire, scrive Stefano Bruno Galli: “Non è per nulla facile attribuire una esatta definizione all’eclettica figura di Sighele; nel tempo di una breve esistenza (visse, infatti, appena quarantacinque anni) la sua produzione scientifica e la sua attività intellettuale hanno abbracciato molteplici ambiti disciplinari e diversi campi del sapere. E tuttavia, se esiste una categoria interpretativa della vicenda intellettuale di Sighele, questa deve essere rintracciata nelle pieghe del pensiero politico italiano e più in generale europeo poiché ad esso, oltre gli studi giuridici, egli appartiene a pieno titolo, tra i problemi della psicologia delle folle e la crisi del parlamentarismo, la questione meridionale e il decentramento amministrativo, l’irredentismo e il nazionalismo”.

Nel 1891 pubblica il suo testo più famoso La folla delinquente dove “sottolineò come l’essere umano, inserito in un contesto di folla, perda il suo autocontrollo razionale lasciando entrare in gioco la sua natura crudele e i suoi istinti criminali”. Secondo la Treccani “se il potere suggestivo era la chiave per comprendere i comportamenti delle folle, la responsabilità del singolo veniva conseguentemente alleggerita e con essa la durezza delle pene da infliggere, che andavano commisurate non tanto alla gravità del reato quanto alla pericolosità di chi lo aveva commesso, ponendo come fondamentale la distinzione fra chi istiga e chi è istigato, tra i capi e i gregari, fra i delinquenti abituali e quelli occasionali.”

Lo si potrebbe definire il padre della psicologia collettiva se non fosse che nessuno se lo ricorda. Riteneva che il Parlamento si comportasse come una folla, cioè irrazionalmente, e propose come rimedi la riduzione del numero dei parlamentari, il riconoscimento di un’indennità ai deputati per favorire la selezione di politici di professione, il rafforzamento delle autonomie locali.

Criminologo allievo di Lombroso che aveva scritto L’uomo delinquente, studioso del diritto, critico letterario pubblicò tra l’altro La coppia criminale 1892; Cronache criminali 1896; La delinquenza settaria 1897; L’intelligenza della folla 1903; Morale privata e morale pubblica; Pagine Nazionaliste 1910; Letteratura e sociologia.

RAV0037037_1899_1042.PDF_page-0001Fu avvocato della difesa nel celebre processo Murri ma ebbe come principale obbiettivo quello di dare vita a un grande movimento nazionalista e nel 1910 presiederà il congresso nazionalista di Firenze che abbandonerà poco dopo: “Ed io che sognavo un nazionalismo democratico, confesserò di essermi sbagliato […] era ora di uscir dall’equivoco, e di lasciare al nazionalismo il suo vero carattere: conservatore, clericale, reazionario”.

Normalmente ritenuto un minore, antidemocratico, antifemminista (anche se propose il voto alle donne), reazionario, timoroso delle masse che diventavano protagoniste, autore di vademecum per il controllo delle stesse, in pratica un protofascista, in realtà fu un liberal democratico con venature progressiste, ma va detto che inizialmente concepì la folle e le masse quasi sempre come soggetto deviante e quindi criminale per poi cambiare idea negli anni.

Ebbe anche l’intuizione nei suoi saggi letterari del brillante avvenire che sarebbe toccato alla letteratura “gialla”: “Se c’è un genere di letteratura oggi alla moda, è senza dubbio la letteratura dei processi. Questi drammi veramente vissuti che hanno il loro epilogo in Corte d’Assise interessano assai più dei drammi immaginari che si rappresentano sui palcoscenici dei teatri. E noi li seguiamo nella stampa, sia nella cronaca affrettata del giornale quotidiano, sia nel volume che è o pretende di essere imparziale e scientifico, con una intensità che segna il ritmo della nostra ansia febbrile. La stampa che divulga questa letteratura, il pubblico, che la divora, non ne hanno che una responsabilità relativa e secondaria: la responsabilità vera è dell’ingranaggio della nostra macchina giudiziaria, […] In nessun paese civile infatti […] le istruttorie durano così a lungo come da noi, e in nessun paese civile i processi arrivati alla luce del pubblico dibattimento impiegano tanto tempo prima di giungere all’epilogo del verdetto. Che importa se l’istruttoria è per legge segreta? Pensano i giornali a renderla pubblica! E da questo punto si stabilisce una specie di gara fra la stampa e l’autorità inquirente, una specie di sfida a chi saprà scovare le cose più importanti, a chi saprà seguire la pista migliore per scoprire il colpevole o per dare la chiave psicologica del dramma, – tanto che un processo celebre non è ormai che una forma di sport intellettuale, ove si cerca di conquistare il record nella velocità e nella novità delle informazioni.” (In La letteratura dei processi letteratura tragica, 1906).

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La folla delinquente ebbe un buon successo, con recensioni positive anche su Critica Sociale e fu tradotta subito oltre che in francese, in spagnolo, in russo, in polacco; ebbe diverse edizioni con diversi titoli, uno sarà pubblicato dalle edizioni Avanti; “I suoi saggi ed i suoi articoli sulla folla e sui gruppi sociali in genere assumono un carattere quasi pedagogico: il tentativo di comprendere le problematiche e i mutamenti in atto nella società del tempo, si trasforma in una serie di insegnamenti, esortazioni e indicazioni di comportamento rivolte ad orientare l’azione dei governanti e dei legislatori” ricorda Borghesi.

Diventato un conferenziere di successo girerà l’Europa. Nel novembre del 1899 il quotidiano socialista in prima pagina annuncerà un suo banchetto a Bruxelles con l’amico e maestro Enrico Ferri ma analoghe iniziative si tennero anche a Tripoli, Parigi e in molte altre città. A Roma nel 1912 a una sua conferenza oltre al rettore e ai ministri assistette la regina madre.

Ma il successo non fu che una infinitesima parte di quello che arrise al suo “plagiatore” Gustave Le Bon, che nel 1895 pubblica la Psicologia delle folle in cui il primo capitolo è preso direttamente da Sighele che non viene mai citato e infatti intenterà causa al francese ottenendo pieno successo presso il tribunale di Milano ma senza alcun effetto pratico. Solo nell’edizione del 1905 quando ormai il libro era diventato un best seller mondiale Le bon citerà (ma in una nota a piè di pagina e storpiandone il titolo) il Sighele.

In ballo non c’erano quattrini ma il prestigio di essere l’inventore di un nuovo filone di studi. Il nostro protestò, scrisse lettere coinvolgendo Tarde che gli diede parzialmente ragione (ma poi Sighele accusò pure lui di avere trattato dell’argomento al III Congresso di Antropologia Criminale a Bruxelles tacendo l’esistenza del suo studio) e articoli parlando di “pirateria letteraria” ma alla fine desistette da azioni giudiziarie e anzi ironizzò sul piacere di essere stato ispiratore di Le Bon che per sminuirlo con i suoi seguaci definirà Sighele reazionario.

Del resto sulla psicologia delle masse o delle folle (al tempo erano pressoché sinonimi) si eserciteranno decine di autori anche italiani, basta ricordare il socialista cosentino Pasquale Rossi che diresse l’Archivio di psicologia collettiva e scienze affini.

Sighele muore a Firenze il 21 ottobre 1913. A Riva del Garda c’è una scuola media dedicatagli. Si potrebbe finire qui, non fosse che proprio il suo “plagiatore” (e quindi i temi di Sighele) avrà una significativa importanza nelle vicende italiane: Riosa scrive che La psicologia delle folle fu per Mussolini una sorta di breviario, Mosse che “Il fascismo si impadronì della piattaforma che Sorel e Le Bon avevano preparato non solo accettando la loro concezione della natura umana ma seguendo anche il contenuto che essi le diedero e le relative soluzioni… Il conservatorismo delle masse rinacque nel fascismo stesso sotto forma di attaccamento istintivo alle tradizioni nazionali e alla restaurazione dei legami personali… L’elemento rituale era essenziale nell’addomesticamento della rivolta; poneva l’accento sui valori eterni che non si dovevano mai dimenticare. La messa in scena era un elemento fondamentale…”.

image1-p8294637L’opinione di Mussolini (che al periodico La folla di Valera collaborerà) su Le Bon era del resto nota: “Uomini che io considero come i più notevoli e che, a mio avviso, sono tra quelli che più onorano l’umanità: Le Bon ad esempio” e ancora “Ho letto tutta la sua opera immensa e profonda, alla sua Psychologie des foules mi rapporto spesso. D’altra parte, mi sono ispirato ad alcuni dei principi che vi sono contenuti per edificare il regime attuale in Italia”. Lo stesso Le Bon era particolarmente orgoglioso di una lettera di Mussolini che gli scriveva di avere messo in pratica i suoi insegnamenti.

In un’intervista concessa ai primi del giugno 1926 a “La Science et la vie” di Parigi il duce afferma: “Ho letto tutta l’opera di Le Bon e non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle Folle. È un’opera capitale, alla quale ancor oggi spesso ritorno”.

E ancora De Felice: “Con il dopoguerra il problema delle masse divenne uno dei più tipici dell’ideologia mussoliniana”. A renderlo tale concorsero indubbiamente le esperienze della guerra e della Rivoluzione russa; non vi è però dubbio che molto influì su Mussolini anche la lettura di Psychologie des foules.

Influenza altrettanto importante Le Bon sembra averla avuta su Hitler e sui suoi collaboratori, tant’è che Goebbels si vantava di essere l’uomo che aveva meglio capito l’anima delle masse “dopo Le Bon” ed era solito dire: “Principio fondamentale della nostra propaganda deve restare questo: fare appello all’istinto non alla ragione”. Scrive A. Mucchi: “Leggendo il Mein Kampf, non è difficile rendersi conto che quanto Hitler diceva sulla massa e sui modi in cui questa si lascia influenzare è già tutto in Le Bon”. Drastici Horkheimer e Adorno: il Mein Kampf, nella parte dedicata a come influenzare le masse, “si legge come una copia a buon mercato di Le Bon.” (Horkheimer-Adorno Aspects of sociology Londra, Heinemann, 1973).

Scipio Sighele fu quindi un precursore, forse incompreso, cui si possono applicare le parole di Schumpeter: “Ci ricorda un fenomeno sinistro che tutti conoscono ma che nessuno vuole ricordare, il ruolo dell’irrazionale nelle scelte politiche delle masse”.

Così si capisce il perché della imbarazzata, semi intitolazione, di una traversa di Viale Argonne.

Walter Marossi

3 Via Sighele - Google Maps_page-0001



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  1. Cesare MocchiPurtroppo i contributi italiani alla cultura del 900 sono questi: Sighele, Douhet. Uno peggio dell' altro
    21 febbraio 2024 • 20:54Rispondi
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